La Francia è stata sconvolta da una nuova ondata di terrorismo jihadista. Questa mattina, 29 ottobre, un uomo ha ucciso due persone e ha decapitato una donna nella Cattedrale di Nizza. Altri due presunti attacchi si sono registrati poche ore dopo ad Avignone e nel consolato francese di Gedda, in Arabia Saudita.

Il paese è ancora sotto shock per la decapitazione dell’insegnante Samuel Paty, avvenuta il 16 ottobre vicino a Parigi. Nel terrorismo la dimensione del caso può giocare un ruolo non trascurabile; anche le speculazioni più raffinate possono poi rivelarsi infondate. Tuttavia, in attesa di ulteriori informazioni su queste vicende, vale la pena di notare di attirare l’attenzione sul giorno in cui gli ultimi attacchi sono avvenuti.

L’attacco del 16 ottobre contro Paty, così come quello del 25 settembre di fronte alla vecchia sede di Charlie Hebdo, era avvenuto di venerdì: non sarebbe affatto la prima volta che terroristi jihadisti selezionano strumentalmente il giorno più sacro della settimana per i fedeli musulmani, dedicato alla preghiera, per portare a termine le loro azioni.

La nascita del profeta

Gli attacchi di oggi cadono fuori dal venerdì, ma in un giorno non meno rilevante: quest’anno, infatti, il 29 ottobre corrisponde al Mawlid al-Nabi, ovvero il giorno di nascita del profeta dell’islam. Se è vero che gli jihadisti tipicamente non amano questo genere di ricorrenze legate alla devozione popolare, al momento non si può escludere che gli attentatori di oggi intendessero “onorare”, a loro modo, la figura del profeta. Figura del profeta che, com’è noto, in questo periodo è diventata oggetto di furiose contese politiche.

Purtroppo, gli ultimi atti di violenza in Francia non giungono totalmente inaspettati. Martedì il ministro dell’Interno, Gérald Darmanin, aveva dichiarato che il rischio terrorismo nel Paese era “molto elevato”, mentre venivano intensificati i controlli di sicurezza proprio per i luoghi di culto, specialmente in previsione delle festività cristiane dei santi e dei morti.

Sfortunatamente anche un paese ben organizzato e consapevole della minaccia come la Francia fa fatica a prevenire attacchi a sorpresa da parte di individui o, al più, di piccolissimi gruppi che colpiscono da soli, senza avere bisogno di piani complessi e di armi sofisticate. Questi attacchi avvengono poi in una fase in cui il paese sta già affrontando l’acuirsi dell’emergenza coronavirus.

(Eric Gaillard/Pool via AP)

Orrore jihadista

Oltretutto, la decapitazione di una persona a Nizza, che ricorda altri episodi simili degli ultimi anni (compreso lo sgozzamento di un sacerdote proprio in una chiesa il 26 luglio 2016), aggiunge un supplemento di efferatezza e orrore.

La Francia è da anni il paese il più colpito dalla minaccia jihadista in tutto l’occidente; lo dimostrano, per esempio, il numero degli attacchi realizzati (oltre 30 dal 2014, secondo dati dell’autore), le dimensioni del suo contingente nazionale di foreign fighters jihadisti (quasi duemila persone), la frequenza del numero di riferimenti al Paese nella propaganda jihadista (in ulteriore crescita nelle ultime settimane).

La blasfemia

Una differenza significativa, e preoccupante, rispetto al passato appare essere la centralità assunta dall’utilizzo (strumentale) della questione, complessa, della blasfemia nell’islam. Come si ricorderà, il 7 gennaio 2015 i fratelli Kouachi avevano attaccato la redazione di Charlie Hebdo per punire i giornalisti per la pubblicazione di caricature del Profeta dell’Islam.

Poco meno di due mesi fa, si è finalmente aperto a Parigi il processo contro i presunti complici di quella strage; in quell’occasione la rivista satirica ha deciso di ripubblicare le controverse vignette del Profeta. In un clima arroventato, dopo oltre cinque anni, terroristi jihadisti sono ritornati a colpire in Francia per punire con la morte individui accusati di pubblicare o di mostrare le caricature.

Poiché queste pubblicazioni sono considerate decisamente offensive da gran parte dei fedeli musulmani, la questione generale della blasfemia rischia di alimentare sentimenti di ira tra settori piuttosto ampli del mondo musulmano; atteggiamenti che gli jihadisti, minoranza relativamente sparuta ma assai attiva, potrebbero abilmente sfruttare per i propri scopi violenti. Il punto dirimente ovviamente non è la legittima valutazione di queste caricature, ma la discussione radicale in merito all’obbligo di punire i blasfemi e con quale pena: per gli jihadisti essi meritano di essere uccisi, da qualunque simpatizzante o militante sia pronto a passare all’azione.  

(Eric Gaillard/Pool via AP)

Laïcité

Oltretutto, la questione della blasfemia nella religione, è diventata, com’è noto, oggetto di dispute e scontri a livello internazionale. Da un lato, il Presidente francese, Emmanuel Macron, ha difeso con molta nettezza il “diritto alla blasfemia” e si è scagliato contro quello che chiama il “separatismo islamista” in Francia, ovvero la tendenza di alcuni settori della comunità islamica francese ad adottare regole e pratiche non in linea con i principi della laïcité, anche con il supporto di Paesi stranieri. La posizione di Macron aveva come orizzonte principale l’arena politica interna, a meno di due anni dalle elezioni presidenziali, ma ha finito per avere notevoli ripercussioni sul piano internazionale.

Infatti, dall’altro lato, in non pochi paesi a maggioranza musulmana sono state organizzate dimostrazioni e iniziative di boicottaggio contro la Francia. In particolare, il presidente turco ha attaccato molto duramente Parigi: Recep Tayyip Erdoğan, importante sponsor dell’Islamismo (o Islam politico), ha sostenuto che Macron avrebbe bisogno di cure mentali, ha chiamato al boicottaggio dei prodotti francesi e ha persino equiparato le attuali discriminazioni contro i musulmani in Europa alle persecuzioni contro gli ebrei prima della Seconda guerra mondiale.

(AP Photo/Daniel Cole)

Il nodo politico

Appare evidente come il nodo del contendere non sia autenticamente religioso, quanto politico. Parigi e Ankara si fronteggiano da tempo su campi opposti su vari dossier internazionali, dalla Libia al Mediterraneo orientale. Erdoğan ambisce poi a presentarsi come campione dell’intero Islam sunnita, specialmente in contrapposizione ai rivali sauditi, e nel breve periodo ha presumibilmente l’intenzione di oscurare con le sue esternazioni provocatorie la crisi economica e monetaria in cui versa il suo paese.

Naturalmente, islam politico, da un lato, e jihadismo, dall’altro, sono - o almeno dovrebbero essere - mondi distinti e lontani. Il primo prospetta l’obiettivo di plasmare gradualmente l’ordine sociale e politico su basi religiose, ufficialmente con mezzi pacifici; il secondo fa invece della violenza sistematica contro “infedeli” e “apostati” musulmani lo strumento essenziale per costruire un nuovo ordine.

Nonostante queste indubbie differenze, sarebbe utile considerare se iniziative politiche che alimentano strumentalmente ostilità e risentimenti, come quelle promosse o supportate da alcuni islamisti, non rischino alla fine di danneggiare la convivenza nelle società multireligiose dell’Occidente e non finiscano addirittura per offrire indirettamente opportunità per la propaganda e il proselitismo della causa jihadista.

© Riproduzione riservata