La sera del 6 luglio nel centro di Amsterdam il giornalista di inchiesta Peter R de Vries è stato ferito gravemente e trasportato d’urgenza in ospedale. Il cronista olandese è stato colpito da cinque colpi di arma da fuoco da una distanza ravvicinata, è stato ferito alla testa ed è in condizioni gravi. La polizia ha fermato tre sospettati, tra cui potrebbe esserci l’esecutore materiale dell’attacco.

Il 64enne De Vries è conosciuto per le inchieste sulla criminalità organizzata e sul narcotraffico. Ha aiutato la polizia a risolvere casi importanti e per il suo lavoro investigativo ha spesso subito minacce. Le autorità gli hanno assegnato la scorta per alcuni periodi. La sindaca della città, Femke Halsema, lo ha definito «un eroe nazionale, un giornalista insolitamente coraggioso, che cerca instancabilmente giustizia».

Il primo ministro, Mark Rutte, invece ha parlato di «episodio scioccante e inconcepibile» e, non solo di un attacco a un giornalista, ma di un attacco alla libertà di stampa.

L’attacco è avvenuto nelle strade del centro, in via Lange Leidsedwarsstraat, alle 19.30. De Vries aveva appena partecipato al programma televisivo RTL Boulevard in cui ha parlato dell’omicidio di Seif Ahmed, un parrucchiere ucciso nel 2019 a colpi di arma da fuoco nella sua auto.

Il caso Heineken

Due dei sospettati sono stati fermati sull’autostrada nei pressi di Leidschendam, una cittadina a sud di Amsterdam, vicino a L’Aia, le indagini sono in corso e la polizia sta tentando di recuperare le immagini dell’agguato riprese dai passanti.

Tra le inchieste di Peter R de Vries, la più nota risale al 1983, quando si era occupato del sequestro di Freddy Heineken, il presidente dell’omonima società che produce birra. Nel 2013, Willem Holleeder, considerato il più pericoloso criminale dei Paesi Bassi e tra i sequestratori di Heineken, è stato condannato per le minacce dirette a de Vries.

Il giornalista ha poi avuto un ruolo fondamentale in alcune indagini, in cui ha agito come portavoce di testimoni davanti alla polizia o alle corti dei tribunali, aiutando anche Nabil B., uomo che apparteneva a una banda criminale, a testimoniare contro il narcotrafficante Ridouan Taghi, marocchino olandese accusato di omicidio e traffico di droga. Un caso che aveva già sconvolto l’opinione pubblica nel 2019 perché Derk Wiersum, ex avvocato di Nabil B., fu ucciso.

Giornalisti minacciati

L’attentato a de Vries mostra che i giornalisti e la libertà di stampa sono in pericolo anche nelle democrazie europee. Negli ultimi anni si è registrato un aumento degli attacchi ai giornalisti. I dati raccolti nel rapporto annuale 2021 promosso dal Consiglio d’Europa e preparato da 14 organizzazioni internazionali di giornalisti, mostrano una crescita del numero di segnalazioni: nel 2020 gli allarmi sono aumentati del 40 per cento circa rispetto al 2015, quando si contavano 108 segnalazioni in 25 paesi, 12 omicidi, 118 detenuti e 25 casi di impunità per le uccisioni di giornalisti.

Il 2020 ha visto invece 201 segnalazioni in 32 paesi, 2 uccisioni, 118 privati della libertà e 25 casi di impunità. Tra le segnalazioni poi c’è un record di aggressioni fisiche: sono infatti 52 i casi di attacchi fisici e 70 i casi di molestie o intimidazioni.

Francia, Grecia, Italia, Polonia, Russia, Serbia, Spagna, Turchia e Regno Unito sono i paesi in cui si sono registrate più segnalazioni durante le manifestazioni. E l’Italia è al secondo posto, dopo la Federazione russa e prima del Regno Unito, per il numero di aggressioni fisiche. Ma Ricardo Gutierrez, segretario generale della federazione europea dei giornalisti, ha spiegato che “bisogna essere cauti nel comparare i dati di diversi paesi”, perché le segnalazioni dipendono dal lavoro delle associazioni nazionali.

La denuncia è arrivata anche dalla Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatović, che ha definito il giornalismo «una professione pericolosa» e ha evidenziato come la pandemia abbia esasperato una tendenza già allarmante. «L’omicidio rappresenta solo la punta dell’iceberg. L’impunità dei crimini contro i giornalisti è inaccettabile perché legittima l’aumento della violenza», ha affermato Mijatović.

Ján Kuciak, Jamal Khashoggi, Akhmednabi Akhmednabiyev, Rohat Aktaş, Mikhail Beketov, Daphne Caruana Galizia sono solo alcuni nomi di giornalisti uccisi dal 2017 a oggi, omicidi ancora oggi impuniti. Nel 2021 il Consiglio d’Europa ha denunciato finora 25 omicidi impuniti, 146 segnalazioni e quattro omicidi.

Fuori dall’Europa

I dati sono ancora più drammatici fuori dai confini europei: dal 2011 Reporter senza frontiere ha registrato su scala globale 937 giornalisti uccisi, 50 solo nel 2020. Negli ultimi dieci anni i numeri sono diminuiti, anche se Rsf sottolinea come nel 2020 i giornalisti sul campo siano stati molti meno a causa della pandemia. «Sette giornalisti su dieci vengono uccisi in zone di pace», ha evidenziato Rsf nel rapporto.

Nell’analisi di Rsf emergono poi altri due elementi importanti: nel 2020, l’84 per cento degli omicidi sono stati omicidi mirati e premeditati, contro il 63 per cento del 2019, eseguiti in modo sempre più cruento. L’ong ha poi rilevato un aumento delle uccisioni di giornalisti d’inchiesta. Quattro giornalisti sono infatti stati uccisi nel 2020 perché si stavano occupando di organizzazioni criminali, dieci per aver indagato in tema di corruzione locale o uso improprio di fondi pubblici.

Tre infine sono stati uccisi perché si stavano occupando di casi legati a questioni ambientali.

Messico, Iran, Afghanistan, India e Pakistan sono stati individuati da Rsf come i paesi più pericolosi per i media.

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