Ogni ciclo elettorale è sempre una prova della capacità manageriale del processo di formazione del consenso popolare del regime politico russo. Anche la consultazione di ieri sembra confermare la tendenza emersa in questi anni sul livello di partecipazione elettorale che si attesta al 65% (alle elezioni presidenziali del 2018 era al 67,5%) e sul test di gradimento dell’operato del presidente Vladimir Putin.

Nonostante gli ultimi sondaggi rilevati dal Levada Center registrino uno dei livelli più bassi di fiducia (59%) nei suoi confronti, decretandone troppo frettolosamente il declino politico, l’esito elettorale conferisce una nuova autorevolezza e popolarità che Putin deve saper sfruttare per affrontare le prossime sfide: la gestione economica post-Covid 19, le elezioni parlamentari del settembre 2021 e la sua eventuale successione.

Con il 77,9 di voti favorevoli e 21.9% contrari, le previsioni degli analisti e dei media occidentali sono state confermate. L’escamotage istituzionale del presidente Putin per rimanere in carica sino al 2036 ha avuto una positiva legittimazione popolare che può essere utilizzata non solo nella dinamica politica interna, ma anche nell’immagine internazionale.

Tuttavia, questa narrazione, volta a descrivere Putin come un “Presidente a vita” (proposta avanzata ieri dal leader ceceno Ramzan Kodyrev), sembra superficiale e basata prevalentemente sull’esito della “votazione popolare” del 1 luglio.

Vi sono, in realtà, questioni procedurali e motivazioni politiche che ci fanno comprendere quanto Putin abbia superato solamente una prima fase di un lungo e articolato processo sulla successione al potere; un tema presente nell’agenda politica di Putin già dalle ultime elezioni presidenziali del marzo 2018.

In verità, la riforma costituzionale era già stata approvata dall’Assemblea federale (il parlamento russo) e dai parlamenti locali nei mesi scorsi sulla base della procedura indicata negli artt. 134-137 della Costituzione del 1993.

Non era, quindi, obbligatorio il passaggio di questa “votazione popolare” (termine utilizzato in Russia), impropriamente paragonata ai referendum occidentali confermativi di modifica costituzionale.

Il nuovo testo è stato, infatti, distribuito nelle scorse settimane in tutte le librerie russe per consentire – in base al messaggio diffuso dalla propaganda - al popolo di comprendere i contenuti della riforma che vede la modifica di ben 45 articoli su 137 complessivi, ma va oltre ad una mera ridefinizione dei rapporti tra potere esecutivo e legislativo.

A differenza della Costituzione elaborata da Boris El’cin e sottoposta a referendum senza quorum nel dicembre 1993, Putin ha voluto coinvolgere il popolo russo - “La Costituzione siamo noi (…) la nostra vita, il futuro dei nostri figli e del paese” - nella ridefinizione/aggiornamento dei valori, degli obiettivi e delle priorità che riguardano tematiche ambientali, culturali, tecnologiche, storiche, sociali ed economiche.

Ricorrendo alla retorica del patriottismo, della stabilità, dell’ordine e della difesa della verità storica del proprio Paese, efficacemente celebrata anche nell’ultima parata militare dello scorso 24 giugno alla presenza dei veterani a cui Putin si è rivolto per sollecitarli ad essere protagonisti del cambiamento della Costituzione, e veicolata dal sistema dei mass media - che costituisce una fonte determinante di legittimità del regime politico - il presidente della Federazione russa ha depotenziato i conflitti interni all’élite.

Vladimir Putin alle celebrazioni nazionali del Giorno dei difensori della patria a Mosca (Alexei Druzhinin, Sputnik, Kremlin Pool Photo via AP)

Il risultato elettorale consente a Putin di gestire con maggiore tranquillità i diversi orientamenti politici delle fazioni – siloviki tradizionalisti e liberali, nazionalista, slavofila, occidentalista – che sinora ha saputo gestire con notevoli doti di negoziazione, con riconoscimenti, avanzamenti di carriera, ma che costituiscono la principale e costante minaccia alla stabilità politica del Paese.

Ne è una dimostrazione quanto è accaduto lo scorso gennaio dopo le dimissioni del capo del governo, Dmitrij Medvedev, e l’annuncio di Putin sul progetto di riforma costituzionale.

Le diverse ipotesi e congetture sul ruolo di Putin dopo il 2024 a capo di un altro organo istituzionale – il consiglio di Stato - hanno innescato i primi segnali di turbolenza all’interno dei siloviki che sostengono la leadership di Putin.

Dinanzi ad un pericolo di destabilizzazione della politica del paese, aggravata anche dall’emergenza del Covid – 19 che ha colpito duramente il paese con quasi 9.536 morti e 654.405 casi, si sono create circostanze improvvise che necessitavano una soluzione immediata e anche un cambiamento di rotta rispetto alla strategia iniziale del presidente.

E, così, da una prima ipotesi di effettivo passaggio delle consegne ad un altro candidato presidenziale nel 2024, riservandosi il ruolo di “batjuška, il padre della patria” (come ha fatto Nusultan Nazarbaev, ex presidente del Kazakistan), la prima donna nello spazio, grande amica di Putin e deputata della Duma, Valentina Tereškova, ha proposto di resettare i mandati presidenziali di Putin per consentirgli di ricandidarsi alle prossime elezioni del 2024.

Putin ha ripetuto in diverse occasioni che bisogna pensare a lavorare e non alla sua successione, consapevole che la percezione positiva del proprio status economico costituisce la condizione necessaria per mantenere il consenso dell’elettore.

Con la votazione di ieri Putin ha rinnovato il proprio contratto sociale con il suo popolo, investendo anche nel welfare con l’introduzione in Costituzione di misure quali il reddito minimo, l’indicizzazione delle pensioni e il riconoscimento dei diritti dei lavoratori.

Indubbiamente la condizione economica dell’elettorato russo potrà incidere anche sul voto delle elezioni della Duma nel 2021; una crescente insoddisfazione e l’aumento della disoccupazione determinati dalla pandemia possono influenzare le scelte di voto attraverso una più incisiva richiesta di cambiamento e rinnovamento della classe politica, verso la quale aumentano la sfiducia e le accuse di frodi elettorali e di corruzione, rivolte soprattutto ad esponenti di Russia unita, il partito del Cremlino.

Testimonianze di frodi elettorali che hanno riguardato soprattutto la modalità del voto elettronico e della possibilità di votare due volte nel periodo 25 giugno – 1 luglio e proteste pubbliche si sono verificate anche nella giornata di ieri in diverse zone del paese e rese pubbliche dall’associazione indipendente, Golos (Voce), che monitora le elezioni.

(AP Photo/Dmitri Lovetsky)

In questo contesto, rimane, tuttavia, inefficace e debole l’attività delle opposizioni parlamentari. In primis troviamo il Partito Comunista della Federazione russa (PCFR) che spesso vota provvedimenti governativi e la frammentazione ed eterogeneità dei movimenti extra-parlamentari – come quelli del noto blogger Aleksej Navalny – incapaci di costruire un blocco più unito e coeso, al di là degli ostacoli, spesso procedurali (registrazione, raccolta firme, spazio televisivo) imposti dal regime.

Inoltre, la riforma determina conseguenze rilevanti anche nell’ambito della politica estera attraverso la supremazia delle norme costituzionali interne su tutto il diritto internazionale in nome del consolidamento del concetto di sovranità nazionale e proibendo ogni azione favorevole alla separazione del territorio nazionale, rendendo l’annessione della Crimea de jure irreversibile.

L’esito elettorale ha, quindi, temporaneamente posticipato il dibattito sulla successione del potere e placato qualche velleitaria ambizione tra i suoi “seguaci”. Nel 2014 Vjačeslav Volodin affermava che “Putin è la Russia e non ci può essere nessuna Russia senza Putin”.

Paradossalmente Putin sembra essere prigioniero del sistema di potere, ereditato da El’cin e da lui perfezionato. Avrà imparato la lezione, scaturita dagli errori dei suoi predecessori, che gli consentirà una via di fuga senza una nuova rivoluzione?

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