Il premier costruisce il consenso in vista delle elezioni sul piano per i vaccini, prendendosi anche meriti non suoi. Ma i palestinesi dei territori occupati rischiano di riceverlo molto più tardi: non è chiaro chi debba occuparsi della fornitura e se nei prossimi giorni ci sarà un accordo con l’Autorità palestinese
- Se la campagna vaccinale sta andando infatti a gonfie vele è infatti soprattutto grazie alle caratteristiche del paese e al sistema sanitario israeliano: la popolazione e l’estensione geografica sono relativamente limitate, dieci milioni di abitanti in uno spazio grande quanto l’Emilia-Romagna in cui il percorso più lungo da coprire per lo spostamento dei vaccini da Tel Aviv ai luoghi di somministrazione è di un’ora e mezza.
- In un paese dove si registrano 8mila nuovi casi al giorno, in proporzione più del doppio di quelli contati quotidianamente in Italia, riuscire a raggiungere un calo dei contagi a metà marzo, dopo l’ennesimo lockdown che dovrebbe entrare in vigore nei prossimi giorni, potrebbe fare la differenza alle elezioni.
- Resta però irrisolta la gestione della fornitura dei vaccini ai palestinesi della striscia di Gaza e in Cisgiordania. Secondo le norme internazionali, Israele, in quanto paese occupante, sarebbe responsabile della vaccinazione degli abitanti di quei territori, ma per il momento la campagna non li ha ancora raggiunti.
Il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha scommesso tutto sulla campagna vaccinale anti-Covid: da qui passa la sua eventuale conferma a fine marzo, alla quarta elezione nazionale in due anni, dopo che il partner di governo Likud ha archiviato l’alleanza che durava soltanto da maggio. Per ora l’operazione sembra andare al meglio e Israele è in cima a ogni classifica nella velocità di somministrazione delle prime dosi: dal 20 dicembre un milione e mezzo di cittadini sono stati vaccinati (la po



