Le difficoltà del modello della democrazia occidentale ha numerose sfaccettature, diversificate per aree geopolitiche. Ivan Krastev, noto politologo bulgaro e presidente del centro per le strategie liberali di Sofia, ha recentemente messo in luce su le Grand Continent quanto la crisi demografia sia al centro di quella più generale delle democrazie europee. C’è un’ansia demografica che colpisce in particolare le nazioni piccole e medie, quelle che sentono maggiormente il declino e sfogano la loro inquietudine votando per partiti populisti o sovranisti. Salvo Israele, tutti i paesi ricchi hanno un problema più o meno grave di decrescita demografica, che provoca nelle opinioni un cortocircuito emotivo. La paura dell’invecchiamento (e dello spopolamento) non è un tema nuovo in Europa ma tende a diventare un’ossessione, soprattutto a est.

La grande sostituzione

Una parte degli europei pensa (o è istigata a farlo) che diverranno minoranza nel proprio paese. La destra francese la chiama “le grand remplacement”, la grande sostituzione. Si tratta di una delle ragioni per cui il nostro modello di società è sottoposto a tensioni: se hai il timore di diventare minoranza, la democrazia rappresentativa diviene il tuo peggior nemico.

Si ricorre allora a ogni strategia per restringere il corpo elettorale, come accade ai repubblicani negli Stati Uniti che tentano di limitare il diritto al voto. Le accuse di “brogli” che Donald Trump e i suoi sostenitori fanno ai risultati elettorali del 2020, non riguardano il voto in sé ma l’allargamento delle facilitazioni per recarsi alle urne, favorevoli a chi in genere votava poco o nulla. I repubblicani accusano la politica del favor votis applicata alle minoranze (come gli afro-americani), che finiranno per diventare maggioranza saldandosi tra loro.

Profeti della fine in patria

I simpatizzanti di Trump contestano le politiche volte ad allargare il popolo degli elettori, com’è accaduto in Georgia dove i due seggi senatoriali sono andati ai democratici dopo decenni di dominio repubblicano, solo per aver aumentato gli elettori afro-americani abituati a non recarsi alle urne. Secondo Krastev in occidente i partiti di estrema destra stanno diventando «i profeti dell’apocalisse demografica».

A dividere gli europei si confrontano due immaginari catastrofisti: da una parte quello ambientalista, popolare soprattutto tra i più giovani e nel ceto abbiente, preoccupati dal disastro ecologico incipiente; dall’altra quello demografico, tipico dei più anziani e dei ceti sfavoriti o impoveriti, angosciati dalla paura che il “mio popolo scompaia”. Ciò si riflette nelle scelte di vita: i primi pensano che fare figli sia un’idea scellerata in un mondo in cui siamo già troppi; i secondi che una famiglia senza figli sia un tradimento contro il proprio popolo. Siamo troppi o troppo pochi? Entrambi gli schieramenti vivono una specie di panico per il futuro.

Lo spauracchio

In Europa lo spauracchio dell’ondata migratoria africana è continuamente ripreso dai leader della destra ma anche da una parte di quelli moderati, e ormai dalla sinistra scandinava. L’immaginario ecologista viene considerato patrimonio delle classi colte e ricche, cosmopolite e globaliste; quello demografico è il sostrato dei ceti poveri, nativisti nazional-populisti.

Entrambi tuttavia hanno un tema comune: quello della fine del mondo. Il divario tra le due posizioni ha provocato in Europa una divisione sempre in evoluzione: in una prima fase l’Europa occidentale era più propensa a dare ascolto agli ambientalisti a differenza dell’Europa orientale. Ora entrambe le parti del continente si stanno progressivamente allineando su posizioni sovraniste e la divisione si sposta fra generazioni. Nel quadro di una mentalità spaventata, più aumentano gli spostamenti di popolazione e più cresce l’allarme sociale manipolato dalle destre. Il messaggio che queste ultime offrono al grande pubblico è simbolico: così come non si vuole la svalutazione dell’euro (ma non è il caso dei paesi Euromed che spendono a debito), allo stesso modo si cerca di non svalutare il “passaporto rosso” europeo concedendolo a troppa gente.

Ecco perché in stati come l’Italia l’idea dello ius culturae/scholae viene contrastato da Lega e Fratelli d’Italia mentre in altri paesi euroccidentali gradualmente si restringe il diritto alla cittadinanza. Il tema delle frontiere è al centro della contraddizione europea: da una parte la loro apertura è il segnale della libertà individuale e collettiva e una spinta alla maggior integrazione; dall’altra viene considerata una minaccia. Uno dei temi più difficili della tradizione politica liberaldemocratica europea è proprio quello di armonizzare il diritto individuale ad attraversare le frontiere con quello degli stati di proteggere i propri confini.

Restare in equilibrio tra le due giurisprudenze è molto difficile anche per gli Stati Uniti. Ciò è particolarmente vero nei paesi dell’est Europa in cui il controllo delle frontiere non serve solo a impedire agli stranieri di entrare ma anche ai propri connazionali di uscire: dopo una prima fase di emigrazioni verso occidente, le nuove destre dell’Europa orientale (ungherese o polacca ad esempio) stanno facendo di tutto per indurre i propri connazionali a rientrare e comunque a smettere di spostarsi.

Veri patrioti

La loro definizione dell’Unione europea è quella di un’entità predatoria che svuota le rispettive nazioni sia dal punto di vista valoriale che numerico.

Nei paesi euromediterranei un medesimo programma politico è offerto agli elettori da parte di partiti come Fratelli d’Italia, Vox, Chega o Rassemblement National. La propaganda di tali formazioni punta a convincere i giovani di smettere di sognare il loro futuro altrove, per ridiventare “veri patrioti”.

I leader dei partiti nazionalisti dell’est europeo incitano i propri elettori a smettere di credere che imitare l’ovest sia la cosa più giusta da fare, scimmiottando in questo l’ideologia dei nazionalisti russi. Per tutti – come si evince dalle dichiarazioni di Vladimir Putin - il nemico comune è il liberalismo considerato decadente, cosmopolita e contrario alle identità nazionali. Alla fin fine si tratta della stessa critica trita e ritrita che gli autoritarismi di destra (ma anche il comunismo sovietico) hanno fatto alle democrazie occidentali dal XIX° secolo a oggi.

Se il grande pubblico europeo inizia a pensare che le elezioni assomiglino a dei censimenti, progressivamente si rifiuteranno di andare a votare o cercheranno di impedire altre porzioni della popolazione dal farlo. Così si consuma la fiducia nello strumento elettorale, base del modello democratico. Una società con sempre più anziani e immigrati, diviene instabile e perde consistenza se tale evoluzione non è accompagnata da un lavoro sul tessuto sociale, per contrastare la crescita di rabbia e rancore.

Quando una parte sempre più consistente della popolazione si sente irrilevante e non ascoltata (i forgotten di Trump), facilmente si rassegna all’egoismo o si organizza in senso antagonistico. L’isolamento sociale si trasforma in solitudine che per molti diviene una condanna ma per altri una vertigine di onnipotenza. Ecco perché nelle società occidentali crescono movimenti di destra protestatari e isolazionisti. Una volta era la sinistra a contestare la società e le sue ingiustizie, mentre la destra preferiva la conservazione.

Oggi le parti si sono invertite: la destra è diventata fortemente protestataria e vuole che “tutto torni come prima” mentre la sinistra è establishment. La società è divenuta quella dell’iperscelta individuale (si può scegliere tutto, anche il proprio genere o la propria identità). Contemporaneamente monta la paura di perdere il controllo del futuro che si teme riservi solo cattive sorprese. L’uomo contemporaneo è più libero ma anche più spaventato e insoddisfatto. L’unico modo per uscirne è costruire continuamente le ragioni del vivere insieme e il senso collettivo, rifiutando i destini separati che la storia, le decisioni personali o politiche paiono imporci.

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