Il presidente russo, Vladimir Putin, ha escluso passi avanti diplomatici dopo gli ultimi raid ucraini: «Dubito che dopo gli ultimi attacchi ci siano possibilità di summit o cessate il fuoco con l’Ucraina». Il governo ucraino, accusa, sarebbe «degenerato in un’organizzazione terroristica». E in risposta alla richiesta di un incontro diretto chiesto dal presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha tagliato corto: «Come si possono tenere incontri del genere in queste condizioni? Di cosa dovremmo parlare? Chi negozia con i terroristi? Gli ucraini vogliono la tregua solo per riarmarsi».

Parole bellicose anche da Zelensky, che ha definito superflue le attuali trattative condotte in Turchia: «Nuovi colloqui nel formato di Istanbul non hanno senso». Delle richieste russe per un cessate il fuoco presentate all’ultimo incontro dice che «si tratta di un ultimatum che la parte ucraina non accetterà, né sarà mai preso sul serio da nessuno».

Putin ha poi telefonato a Trump, che ha riferito della telefonata di un’ora e un quarto sul suo social network, Truth. Abbiamo avuto «una buona conversazione – ha scritto il presidente – Ma non una conversazione che porterà a una pace immediata. Putin ha detto che dovrà rispondere ai recenti attacchi». Il Cremlino ha anche riferito della prima telefonata tra papa Leone e il presidente russo, in cui, quest’ultimo, lo avrebbe ringraziato per le offerte di mediazione sull’Ucraina.

Nuovo scambio

La tregua, insomma, non sembra mai essere stata così lontana. Ma d’altro canto, tutti sapevano che sarebbe stato un negoziato difficile. A voler essere ottimisti, o forse solo realisti, anche nel fuoco di sbarramento di dichiarazioni bellicose, destinate sopratutto all’uso e consumo delle proprie opinioni pubbliche interne, si affaccia qualche spiraglio: russi e ucraini, ad esempio, hanno annunciato che questo fine settimana ci sarà un nuovo scambio di 500 prigionieri per parte, circa la metà degli oltre mille su cui le delegazioni si sono accordate lunedì in Turchia.

Il Cremlino, intanto, annuncia di essere pronto a concedere brevi tregue umanitarie e localizzate lungo il fronte, della durata di due o tre giorni. Kiev ha già respinto l’offerta accusandola di essere solo un modo di prendere tempo – gesto che il ministero degli Esteri russo ha definito «un grave errore». Ma sono segnali che indicano come anche in questi momenti critici non si parli solo di guerra e bombe.

L’incognita Donald

Dopo la telefonata Trump-Putin, sembra sia andata delusa ancora una volta la speranza di Kiev che la Casa Bianca si fosse finalmente decisa a considerare il leader russo come principale ostacolo alla pace. Kiev non sembra riuscire a dimostrare che non è poi così «priva di carte» come Trump l’aveva accusata di essere, e che, di conseguenza, non è una cavallo sbagliato su cui puntare.

Battere su questo punto era l’obiettivo del braccio destro di Zelensky, il capo di gabinetto, Andrii Yermak, impegnato fino a mercoledì in una due giorni di incontri serrati a Washington. Dopo i senatori repubblicani alleati dell’Ucraina, al lavoro su un pacchetto di nuove sanzioni contro la Russia, Yermak ha visto il segretario di Stato Marco Rubio a cui ha chiesto nuove difese aeree per il paese e ulteriori sanzioni alla Russia.

Vaste programme. Il segretario alla Difesa, Pete Hegseth, per la prima volta non ha partecipato nemmeno in videoconferenza alla riunione dei ministri della Difesa dei paesi alleati dell’Ucraina che si è svolta mercoledì a Bruxelles.

Secondo fonti consultate dal Financial Times, diversi diplomatici europei temono che questa mossa sia il preludio allo stop completo degli aiuti americani all’Ucraina. L’ambasciatore Usa alla Nato, Matthew Whitaker, ha anche ribadito che l’ingresso di Kiev nell’alleanza «non è attualmente all’ordine del giorno e non siamo gli unici alleati a sostenere questa posizione. Tuttavia, la decisione finale spetta al presidente Trump».

La visita di Merz

L’Ucraina sarà uno dei temi che il neocancelliere tedesco, Friedrich Merz, affronterà giovedì 5 giugno nel suo primo viaggio a Washington, dove incontrerà Donald Trump. Secondo la stampa, l’obiettivo del cancelliere è tornare in Germania senza una rottura aperta con Trump su uno dei tanti dossier aperti (non solo l’Ucraina, ma anche i dazi e l’appoggio aperto della Casa Bianca all’opposizione di estrema destra, l’Afd).

Dalla riunione di Bruxelles, il suo ministro della Difesa, Oscar Pistorius, fa arrivare però una richiesta agli Stati Uniti: «Fornite all’Ucraina sistemati Patriot o simili. Noi non siamo in grado di fornirne altri».

I Patriot sono i più efficaci sistemi di difesa aerea a disposizione di Kiev. Sono prodotti soltanto dagli Stati Uniti in quantità relativamente basse. La Germania ha già fornito a Kiev un quarto del suo intero arsenale di queste armi.

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