Primo. La fine «completa» degli aiuti militari per l’Ucraina da parte americana come «condizione fondamentale» per la pace. Secondo. Il via libera da parte del Cremlino ad una «rinuncia reciproca delle parti in conflitto alle infrastrutture energetiche per 30 giorni» (Vladimir Putin, così Mosca, avrebbe «già dato ordine» in tal senso all’esercito). Terzo. Russia e Ucraina procederanno allo scambio di 175 prigionieri di guerra, dice sempre il Cremlino.

Nella loro telefonata (attesa freneticamente da tutto il mondo, iniziata più tardi del previsto e durata almeno un’ora e mezza), Vladimir Putin e Donald Trump «hanno discusso la necessità di un cessate il fuoco» nel paese attaccato ormai tre anni fa dalla Russia, concordando sul fatto che il conflitto debba «concludersi con una pace duratura», come si legge in un comunicato diffuso dalla Casa Bianca al termine del colloquio telefonico, in cui si afferma che «il sangue e i tesori che sia l'Ucraina che la Russia hanno speso per questa guerra sarebbero spesi in modo migliore per i bisogni dei loro popoli».

Come aggiunge solerte il Cremlino, a stretto giro verranno creati «gruppi esperti americani e russi che lavoreranno per raggiungere un accordo di pace». È sempre Mosca, però, a mettere le mani avanti, parlando di «gravi rischi legati all'incapacità di negoziare del regime di Kiev, che ha ripetutamente sabotato e violato gli accordi raggiunti».

«Enormi vantaggi»

Per il resto, mentre risulta molto difficile capire quali possano essere i vantaggi dell’Ucraina, così come non s’intravedono chiare garanzie di sicurezza per Kiev, sembra sia stata tutta rose e fiori la chiacchierata tra i due presidenti.

Dice il Cremlino che è stato uno «scambio di opinioni dettagliato e franco» sulla situazione in Ucraina, volto a «elaborare insieme soluzioni» che siano «sostenibili», è invece la Casa Bianca a specificare, significativamente, che il miglioramento dei rapporti tra Stati Uniti e Russia porterà ad ambedue i paesi «enormi vantaggi», ivi compresi «enormi accordi economici», oltre alla «stabilità geopolitica» una volta che raggiunta la pace.

Subito prima della diffusione dei resoconti arrivati da Washington e da Mosca, la linea l’aveva data Kirill Dmitriev, l’inviato speciale del Cremlino per l’economia e gli investimenti internazionali: «Sotto la leadership dei presidenti Putin e Trump oggi il mondo è diventato un posto molto più sicuro».

Ma sullo sfondo, quel che il capo della Casa Bianca sembra avere in mente è una specie di riedizione della conferenza di Yalta in cui le potenze si dividono le sfere di influenza. In questo caso, la trattativa si concentra sulla quantificazione delle perdite territoriali dell’Ucraina, dove la certificazione dell’annessione della Crimea appare inevitabile, mentre le regioni del Donbass diventano oggetto di trattative più specifiche.

Secondo una ricostruzione del New York Times, i consiglieri di Trump non escludono che si possa arrivare anche alla cessione del porto di Odessa, eventualità che sarebbe una totale capitolazione di fronte alle pretese dell’aggressore. Del resto, i funzionari del Cremlino hanno spesso incluso fra le conquiste «irrinunciabili» per Mosca le quattro regioni che adesso controllano solo parzialmente – Donetsk, Lugansk, Kherson e Zaporizhzhia – e anche le zone di Mykolaiv, Odessa e Dnipro.

Le pretese russe

La giornata si era aperta con parole di fiduciosa attesa da parte di Trump, che aveva scritto sul social Truth: «Molti elementi di un accordo finale sono stati concordati, ma molto rimane ancora da fare».

L’ottimismo trumpiano sulla trattativa con l’autocrate russo non era evidentemente stato smorzato nella conversazione della sera prima con il primo ministro del Regno Unito, Keir Starmer, il quale aveva detto che l’Ucraina deve essere messa «nella posizione più forte possibile» per assicurare una «pace giusta e duratura». Starmer ne aveva approfittato per «aggiornare il presidente sulla sua chiamata con la coalizione dei volenterosi», l’iniziativa guidata da Londra per rispondere al repentino cambiamento di linea della Casa Bianca.

La speranzosa attesa di Trump è stata bilanciata da Putin, che è rimasto fedele a sé stesso, in questo caso facendo trapelare, invece di segnali distensivi, altre pretese sulle condizioni per il cessate il fuoco. Spavaldo è stato anche l’atteggiamento mostrato in occasione dell’incontro con la comunità degli imprenditori russi: lì Putin ha detto che le aziende occidentali che ora desiderano ritornare a fare affari in Russia non potranno riacquisire i loro asset a prezzo stracciato, ma dovranno affrontare la norme regolatorie.

Stretto fra un nemico e un non-alleato, il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, da parte sua ha ribadito che che è «Putin che continua a portare avanti questa guerra. Per una settimana non è stato in grado di tirare fuori un “sì” alla proposta di cessate il fuoco». Mercoledì Zelensky sarà in visita in Finlandia.

Attacco al giudice

L’impegno sul fronte della guerra non ha impedito a Trump di attaccare pesantemente James E. Boasberg, il giudice che ha disposto (invano) che il trasferimento di presunti membri di gang venezuelane nelle prigioni di El Salvador fosse fermato. L’amministrazione ha tirato dritto ignorando la decisione, e Trump ha chiamato Boasberg un «fanatico della sinistra radicale», chiedendone l’impeachment.

La posizione – senza precedenti – ha suscitato la risposta del capo della Corte Suprema, John Roberts, che in una dichiarazione inusuale almeno quanto la decisione del presidente di calpestare un tribunale ha scritto: «Per oltre due secoli è stato chiaro che l’impeachment non è una risposta adeguata ai disaccordi su una decisione giudiziaria. L’appello esiste esattamente per quello scopo».

È un nuovo capitolo dell’aspro scontro fra la Casa Bianca e il potere giudiziario, che ora coinvolge la massima corte, l’organo a schiacciante maggioranza di giudici conservatori che nei calcoli del si sarebbe limitato ad assecondare i suoi desideri.

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