Il controllo degli armamenti sta morendo, mentre la corsa agli armamenti ritorna con gran clamore. Nell’ultimo ventennio i pilastri chiave del programma di controllo degli armamenti delle superpotenze, stilato durante la Guerra fredda, sono crollati uno dopo l’altro: il Trattato sui missili antibalistici, il Trattato sulle forze armate convenzionali in Europa, il Trattato sulle forze nucleari a raggio intermedio e il Trattato cieli aperti. L’accordo più importante rimasto tra Stati Uniti e Russia, New Start, potrebbe decadere nella guerra del presidente russo Vladimir Putin in Ucraina. Nel frattempo, la Cina sta rapidamente sviluppando le proprie forze convenzionali e nucleari come parte di una spinta per il dominio del Pacifico e non solo. In tutto il mondo le tecnologie emergenti promettono enormi progressi nella forza militare.

Benvenuti in un mondo pronto per la corsa agli armamenti: un mondo in cui le tensioni sono forti, l’equilibrio militare è duramente contestato e ci sono sempre meno vincoli sulla tipologia e la quantità di armi che le grandi potenze possono brandire. Questo nuovo mondo di fatto sarà pieno di sfide che ricordano un’èra precedente di rivalità. Per evitare il disastro, gli Stati Uniti dovranno reimparare ciò che hanno imparato durante la Guerra fredda: come essere strategici nel riarmo.

Reputazione ambigua

A dire il vero la corsa agli armamenti, in cui due o più rivali competono per assicurarsi un equilibrio militare favorevole, ha una reputazione terribile. Nel migliore dei casi è vista come un irrazionale accumulo di armi o il prodotto di un complesso militare industriale sinistro e, nel peggiore dei casi, come una delle cause principali di tensioni crescenti e guerre catastrofiche.

«Gli Stati Uniti ammassano armamenti pur sapendo bene che non daranno mai la sicurezza definitiva», ha detto il presidente degli Stati Uniti Dwight D. Eisenhower al suo Consiglio di sicurezza nazionale nel 1956, secondo un appunto dell’incontro. «Mettiamo insieme queste armi perché non sappiamo cos’altro fare».

Ma la corsa agli armamenti si è ingiustamente guadagnata una brutta fama. Quanto più l’ambiente geopolitico diventa grave, offrire uno sguardo più obiettivo aiuta.

Come i più acuti pensatori statunitensi della Guerra fredda hanno capito, la corsa agli armamenti non è certo irragionevole. Preservare un equilibrio di potere favorevole contro un avversario aggressivo è il miglior mezzo per scoraggiare la guerra, non un incitamento a essa. Una corsa agli armamenti, inoltre, è un’interazione profondamente strategica che può essere plasmata attraverso investimenti intelligenti e piegata a proprio vantaggio nel tempo. Il controllo degli armamenti, infine, è propriamente visto non come un’alternativa alla corsa agli armamenti, ma come una componente vitale di una strategia per raggiungere un vantaggio competitivo.

Oggi gli Stati Uniti hanno la possibilità di prosperare in mezzo alle crescenti rivalità militari, ma per questo Washington dovrà tornare a familiarizzare con l’arte del riarmo.

L’evoluzione militare

Le corse agli armamenti esistono da sempre, ma il termine è diventato un luogo comune soltanto all’inizio del Ventesimo secolo. Le nuove tecnologie, così come le navi da battaglia corazzate e l’aeroplano, stavano creando il potenziale per rapidi cambiamenti nell’equilibrio militare. L’intensificarsi delle tensioni tra le grandi potenze ha reso la ricerca della superiorità militare più urgente. Nei decenni precedenti la Prima guerra mondiale, ad esempio, la competizione tra la Gran Bretagna e una Germania in ascesa si è svolta in una febbrile gara per costruire le migliori navi da guerra.

Eppure è stato durante la Guerra fredda, con l’avvento delle armi nucleari e l’ascesa degli studi strategici come disciplina accademica, che la nostra comprensione della corsa agli armamenti è davvero maturata. Studiosi come Samuel P. Huntington e Colin S. Gray hanno affinato la definizione come, sostanzialmente, una competizione senza fine, avanti e indietro, in cui i rivali cercano di dominare l’equilibrio militare e cogliere i frutti strategici che ne derivano. Nel governo e nell’accademia, gli esperti hanno studiato lo sviluppo degli arsenali militari statunitensi e sovietici e la misura in cui una mossa da una parte ha influenzato una mossa dall’altra parte. In mezzo a una lunga lotta bipolare per la supremazia, le complessità della corsa agli armamenti delle superpotenze sono diventate un’ossessione sia per gli intellettuali che per i politici.

La tensione Usa Urss

La competizione militare tra Usa e Urss, ovviamente, ha assunto in fretta proporzioni spaventose. E mentre sia Mosca sia Washington ottenevano entrambe la capacità di distruggere la civiltà umana con le armi nucleari, “corsa agli armamenti” è diventato un marchio di infamia. La corsa agli armamenti nucleari è stata spesso vista come un esercizio di assurdità: un promemoria di come la ricerca della sicurezza può causare invece insicurezza esistenziale. 

I patti sul controllo degli armamenti degli anni Settanta e successivi sono stati in parte un tentativo di ridurre questa insicurezza limitando gli arsenali nucleari delle superpotenze e quelle capacità che erano considerate destabilizzanti, come i sistemi di difesa missilistica. La teoria era che una fazione avrebbe potuto considerare più prontamente di lanciare un primo attacco nucleare se così facendo avesse potuto abbattere la raffica di missili di rappresaglia dell’altra parte.

Il linguaggio dell’assicurazione di mutua distruzione, ovvero l’idea che nessuno avrebbe potuto vincere una corsa alle armi nucleari e che fosse pericoloso tentare, è diventato pervasivo. «Non vogliamo una corsa agli armamenti nucleari con l’Unione sovietica», ha dichiarato il segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Robert McNamara, in un discorso del 1967. «Il fenomeno di azione-reazione lo rende sciocco e futile».

Ma in realtà le cose non erano così semplici. «La corsa agli armamenti», riconosceva Eisenhower al segretario di Stato degli Stati Uniti John Foster Dulles nel 1957, «fu un risultato più che una causa»: le superpotenze si sono armate perché erano nemiche, non viceversa. Vincere la corsa agli armamenti, quantomeno non perderla, era un imperativo: la minaccia della guerra, o semplicemente di un crollo geopolitico occidentale, sarebbe certamente aumentata se un rivale espansionista avesse raggiunto un vantaggio militare decisivo.

La logica Marshall

Gli osservatori più accorti si sono poi resi conto che la corsa agli armamenti non era uno sforzo sciocco e robotico. Era una disciplina che premiava il pensiero creativo e la visione strategica.

Questo più sofisticato approccio degli Stati Uniti alla corsa agli armamenti è stato impersonato da Andrew Marshall, un intellettuale della difesa di vecchia data che è diventato il primo direttore dell’Ufficio di valutazione della rete, il think tank interno del dipartimento della Difesa degli Stati Uniti che valutava rigorosamente l’equilibrio militare.

Marshall sosteneva che il modello “azione-reazione” di McNamara era troppo semplicistico: i programmi degli armamenti sovietico e statunitense riflettevano eredità storiche e pregiudizi burocratici tanto quanto qualsiasi processo di rappresaglia. Ancora più importante, siccome Washington non poteva responsabilmente evitare una competizione militare con Mosca, ha avuto bisogno di modellare quell’interazione a suo vantaggio.

«Gli Stati Uniti devono essere più furbi dell’Unione sovietica», scriveva Marshall nel 1972, dal momento che non potevano «continuare a spendere più di loro». La chiave fu di fare alzare i costi sovietici e moltiplicare le difficoltà identificando «aree di vantaggio comparato degli Stati Uniti» e dirigere «la competizione strategica delle armi in queste aree».

Il caso in questione è stato il programma dei bombardieri strategici degli Stati Uniti. Marshall segnalava che Mosca aveva una paura esagerata degli attacchi aerei perché la Luftwaffe di Adolf Hitler aveva distrutto gran parte dell’aviazione sovietica a terra nel 1941. Costruendo anche soltanto una modesta flotta di bombardieri, Washington aveva potuto e di fatto è riuscita a spingere il Cremlino a investire pesantemente nella difesa aerea, spostando le risorse dalle capacità offensive più minacciose per l’occidente. E durante l’ultimo decennio decisivo della Guerra fredda, la logica di Marshall è stata pervasiva: una serie di investimenti mirati dell’esercito statunitense ha messo molta pressione sull’Unione sovietica annullando piani e un potenziale che Mosca aveva messo insieme con costi altissimi.

Il deterrente per Mosca

Lo sviluppo di munizioni a guida di precisione, missili cruise a bassa quota e aerei stealth ha capovolto il concetto sovietico di operazioni in Europa dando al Pentagono la possibilità di devastare le retrovie del nemico. L’impiego di missili balistici intercontinentali ad alta precisione (Icbm), accanto a una migliore funzionalità di targeting, ha minacciato il piano di Mosca di tenere in vita i suoi leader durante una guerra nucleare mettendoli al sicuro in un complesso di bunker straordinariamente costoso.

L’iniziativa di difesa strategica del presidente Ronald Reagan – un piano per uno scudo missilistico spaziale – rappresentava un pericolo potenzialmente terribile, seppur distante, per l’efficacia della forza dei missili di terra che Mosca aveva sviluppato in decenni. I programmi della difesa statunitense, secondo un documento strategico del Pentagono del 1982, dovevano «imporre costi sproporzionati, aprire nuove aree di maggiore concorrenza militare e rendere obsoleti gli investimenti sovietici precedenti».

Contrariamente alla maggior parte delle previsioni, le corse agli armamenti aggressive hanno effettivamente consentito lo storico controllo degli armamenti: l’accumulo strategico di Reagan ha offerto a Mosca un incentivo per attuare tagli profondi e sproporzionati al suo arsenale di missili balistici di medio raggio e missili balistici intercontinentali pesanti. E ha anche messo l’Unione sovietica, in declino dal punto di vista economico e tecnologico, in un tale deficit competitivo che alla fine i suoi leader hanno scelto di perseguire la pace.

«Se non ci sposteremo dalle posizioni che abbiamo tenuto per lungo tempo, alla fine perderemo», ha affermato il leader sovietico Michail Gorbaciov nel 1986. «Saremo trascinati in una corsa agli armamenti che non siamo in grado di gestire». Per gli Stati Uniti vincere la competizione militare delle superpotenze era un prerequisito per vincere la più ampia Guerra fredda.

Da Mosca a Pechino

L’inclinazione di Washington per la corsa agli armamenti è diminuita dopo la fine della Guerra fredda: gli Stati Uniti avevano una tale superiorità militare che apparentemente avevano meno bisogno di una strategia creativa e spietata. Eppure quel generoso margine di sicurezza ora è svanito, il che significa che Washington deve tornare a padroneggiare la vecchia disciplina.

L’invasione russa dell’Ucraina ha segnato l’apice dell’accumulo ventennale di forze convenzionali e nucleari intese a consentire a Mosca di colpire i suoi vicini mentre usava la minaccia di un’escalation nucleare per tenere a bada Washington. L’esercito russo potrebbe essersi comportato in modo abominevole in Ucraina, ma le sue capacità convenzionali e nucleari, insieme al comportamento sempre più aggressivo di Putin, minacceranno la Nato negli anni a venire.

La Cina segue un copione simile: sviluppa capacità di proiezione di potenza per contenere i suoi vicini, capacità anti accesso e di negazione dell’area per tenere le forze statunitensi a distanza e un crescente arsenale nucleare per scoraggiare i politici americani dall’intervenire. La Russia e la Cina si sono armate per sostenere i loro determinati programmi di revisionismo geopolitico e hanno assorbito molte lezioni sulle corse agli armamenti che gli Stati Uniti hanno dimenticato.

Per anni Pechino non ha cercato di eguagliare la piattaforma militare di Washington. Ha investito in capacità specifiche – missili anti-nave, difesa aerea e armi anti-satellite, solo per citarne alcuni – che minacciano le portaerei, i satelliti per le comunicazioni e le basi regionali che gli Stati Uniti utilizzano per proiettare la propria potenza in tutto il mondo.

In altre parole, Pechino ha seguito attentamente il consiglio di Marshall: sta forgiando una modalità di guerra cinese che potrebbe rendere obsoleta la modalità di guerra americana, proprio come Washington aveva reso obsoleta la modalità di Mosca negli anni Ottanta.

Le risorse per il riarmo

Non c’è sollievo in vista. Se le tendenze attuali continueranno, Washington dovrà affrontare non uno, ma due sfidanti nucleari entro la fine di questo decennio. Nonostante le perdite della Russia in Ucraina, l’equilibrio delle forze convenzionali lungo le periferie eurasiatiche del sistema di alleanze degli Stati Uniti sarà teso, se non sfavorevole. Come durante la Guerra fredda, un pericoloso squilibrio militare potrebbe tentare i rivali degli Stati Uniti a mettere in discussione lo status quo con la forza, o potrebbe semplicemente minare le fondamenta della fiducia su cui si fonda la rete di alleanze degli Stati Uniti. Preservare gli interessi statunitensi richiederà ancora una volta di condurre una corsa agli armamenti, e di vincerla.

La vittoria sarà in parte una questione di risorse. Anche i cervelli più brillanti non possono compensare per sempre la mancanza di fondi. Il Pentagono richiederà una maggiore spesa per la difesa per preservare contemporaneamente un vantaggio convenzionale nei confronti di Cina e Russia. Avrà anche bisogno di un arsenale nucleare più ampio per scoraggiare due rivali nucleari invece che uno. Potrebbero essere necessari grandi esborsi per trasformare tecnologie allettanti – intelligenza artificiale, informatica quantistica, biologia sintetica – in capacità reali che possono essere messe in campo su vasta scala. Le spese militari equivalenti ad almeno il 5 per cento del Pil, rispetto a meno del 3,5 per cento attualmente speso dagli Stati Uniti, saranno probabilmente il prezzo minimo della pace in questo decennio e oltre.

Ma anche se il denaro scorre, Washington dovrà essere più scaltra dei suoi rivali per superarli.

Essere più scaltri richiede innanzitutto di non ingannare se stessi. I sostenitori del controllo degli armamenti a volte sostengono che Washington dovrebbe limitare unilateralmente le proprie capacità, che si tratti dello sviluppo di armi termonucleari nel 1950 o delle applicazioni militari dell’IA oggi, nella speranza che gli avversari facciano lo stesso. Questo non funziona quasi mai.

Ora sappiamo che la decisione degli Stati Uniti di rinviare la costruzione della bomba a idrogeno all’inizio degli anni Cinquanta avrebbe semplicemente permesso all’Unione sovietica di costruirla per primi. Quando McNamara ha bloccato l’accumulo strategico statunitense negli anni Sessanta, Mosca è scattata in avanti per rivendicare una posizione di parità.

«Quando noi costruiamo, loro costruiscono. Quando tagliamo, loro costruiscono», aveva scherzato il segretario alla Difesa Harold Brown nel 1979. Le tecnologie particolari cambiano, ma la dura verità no: limitazioni rassicuranti da un avversario autocratico in genere richiedono la dimostrazione che non può condurre una corsa agli armamenti incontrastato.

In secondo luogo, la corsa agli armamenti richiede effettivamente di conoscere intimamente il nemico. Una delle intuizioni di Marshall è stata quella di capire i meccanismi dei sovietici, e questo è stato vitale per renderli più instabili. Allo stesso modo, non esiste un buon modo per prendere decisioni sui programmi militari degli Stati Uniti oggi senza capire cosa vogliono Russia e Cina, cosa temono e come intendono operare. Purtroppo non ci sono scorciatoie: durante la Guerra fredda, ci è voluto un investimento generazionale in sovietologia per entrare nella testa del nemico.

Pensare in modo asimmetrico

Sapere queste cose è importantissimo perché una corsa agli armamenti non richiede né premia la competizione equa ovunque. Gli Stati Uniti non hanno bisogno di rincorrere ogni progresso cinese nelle armi ipersoniche. Queste armi non possono fornire, a un costo ragionevole, il volume di potenza di fuoco di cui Washington avrebbe bisogno nel Pacifico occidentale. Anche il Pentagono non dovrebbe eguagliare il vasto arsenale nucleare a corto raggio del Cremlino: gli Stati Uniti hanno semplicemente bisogno di opzioni nucleari sufficientemente limitate per impedire agli avversari di sentirsi incoraggiati a sondare lo spazio tra le forze convenzionali degli Stati Uniti e l’arsenale nucleare strategico.

L’approccio migliore è pensare in modo asimmetrico, sfruttando gli specifici vantaggi americani per fermare la teoria della vittoria nemica e aumentare i loro costi. Il modo per svalutare la formazione militare cinese nei confronti di Taiwan, ad esempio, è che Washington e i suoi alleati sfruttino un vantaggio chiave: difendere un’isola frastagliata circondata da mari agitati è molto più facile che conquistarla. Dovrebbero farlo schierando un numero schiacciante di missili antinave, mine sottomarine, veicoli aerei e subacquei senza pilota e altri strumenti non costosi che possono trasformare un’invasione nello Stretto in un sanguinoso incubo per le forze cinesi.

Allo stesso modo, se Pechino vuole condurre una corsa missilistica a raggio intermedio, Washington può usare la sua rete di alleati per trasformare un attuale vantaggio cinese in uno svantaggio futuro. Dopotutto i missili convenzionali americani a raggio intermedio in territorio alleato possono facilmente raggiungere la Cina continentale, mentre i missili cinesi a raggio intermedio non possono raggiungere gli Stati Uniti.

E mentre la Cina spende di più in portaerei e altre grandi navi, Washington può mettere a rischio un percorso di modernizzazione navale mantenendo il suo vantaggio nella guerra sottomarina. Sfidando costantemente i piani di Pechino e svalutando le sue capacità, Washington può alla fine costringere i leader cinesi a mettere in discussione ciò che una corsa agli armamenti realizzerà.

Il lato difensivo

Una regola torna utile qui: non dimenticare il lato difensivo della corsa agli armamenti. Oggi, come in passato, i sostenitori del controllo degli armamenti spesso affermano che le difese dei missili balistici sono destabilizzanti, o semplicemente inutili, perché possono essere sconfitte con contromisure economiche. Eppure le difese missilistiche statunitensi migliorano rapidamente, mentre l’uso di armi a energia diretta (come i laser) e altre nuove tecnologie potrebbero presto attenuare problemi come i costi elevati e la quantità limitata di intercettori.

Mettere in campo limitate difese missilistiche balistiche contro Russia e Cina, non solo contro stati canaglia come la Corea del nord, può complicare le dottrine di Mosca e Pechino sulla coercizione nucleare, che prevedono di ricorrere a un piccolo numero di attacchi nucleari per interrompere o scoraggiare l’intervento degli Stati Uniti in un conflitto regionale. Può anche far schizzare i costi per russi e cinesi, costringendo loro a investire di più in nuovi e costosi vettori nucleari, come un drone sottomarino dotato di armi nucleari e altre armi dispositivi “da giorno del giudizio” che Putin ha brandito, che possono battere le difese missilistiche solo a caro prezzo.

Quantità, qualità e deterrenza

Le corse agli armamenti, ovviamente, hanno una dimensione sia qualitativa che quantitativa. Questo ci ricorda un altro principio: non contano solo i numeri. Il successo chiave degli Stati Uniti negli anni Ottanta è stato quello di fare un balzo in avanti anche in una situazione di parità numerica. Miglioramenti rivoluzionari nella precisione degli Icbm americani hanno fatto temere ai funzionari sovietici per la sopravvivenza delle loro forze nucleari.

Anche se è chiaro che l’arsenale nucleare di Washington dovrà crescere nei prossimi anni, mantenere un equilibrio favorevole richiederà ugualmente di sfruttare il vantaggio degli Stati Uniti in termini di precisione dei missili, Isr (capacità di intelligence, sorveglianza e ricognizione che forniscono una consapevolezza globale senza precedenti) e altri fattori qualitativi.

La deterrenza, tuttavia, è uno stato mentale: dipende interamente da ciò che una parte pensa che l’altra possa fare e farà. Quindi i politici statunitensi dovrebbero ricordare che la percezione è importante quanto la realtà. Negli anni Ottanta il Pentagono si è avvalso di astute strategie informative – divulgando notizie sulla tecnologia stealth, pubblicizzando la capacità di affondare sottomarini missilistici nucleari sovietici, rivelando drammaticamente (e talvolta esagerando) gli effetti delle munizioni telecomandate di precisione – per manipolare le percezioni di Mosca sull’equilibrio militare.

Questa volta gli Stati Uniti potrebbero cercare di instillare cautela in Russia o Cina dimostrando alcune nuove sofisticate capacità o attirandole in aree poco gratificanti facendo loro temere qualche svolta tecnologica che in realtà non c’è stata. La nuova tecnologia crea nuove possibilità: il campo cibernetico offre molte possibilità per l’inganno perché è difficilissimo sapere il vero equilibrio di capacità.

Tutto ciò implica una competizione più aspra e tesa. Eppure, un’ultima lezione dal passato è che la corsa agli armamenti può andare di pari passo con il controllo degli armamenti. A volte quest’ultimo favorisce il primo: negli anni Settanta Washington usò il trattato sui missili anti balistici per rallentare la corsa agli armamenti difensivi fino a quando gli Stati Uniti non si furono ripresi dalla guerra del Vietnam e furono meglio preparati a scattare in avanti. E il primo può portare anche al secondo, come ha mostrato l’esperienza di Reagan negli anni Ottanta.

Accumulare per smontare

Il controllo degli armamenti è ancora una buona idea: l’estensione di New Start nel 2021 aveva senso dal punto di vista della corsa agli armamenti perché Mosca è in una posizione migliore per costruire le sue forze nucleari strategiche nel breve periodo, anche se farà fatica nel tempo a superare gli Stati Uniti, più forti economicamente. E accumulare per smontare è ancora la formula giusta.

Alla fine potrebbero diventare possibili accordi trilaterali per limitare i missili a raggio intermedio, le forze nucleari strategiche o le applicazioni potenzialmente destabilizzanti dell’IA e di altre nuove tecnologie, ma molto probabilmente ci sarà bisogno che gli Stati Uniti dimostrino dapprima che una corsa agli armamenti senza limiti alla fine lascerebbe i suoi rivali più poveri e più vulnerabili.

«Il termine corsa agli armamenti», ha scritto Gray nel numero dell’inverno 1972-1973 di Foreign Policy, «suggerisce ostilità, pericolo e tasse elevate». Tuttavia può essere necessario condurre una corsa agli armamenti per evitare esiti peggiori, come la sconfitta in guerra o la graduale perdita di influenza che deriva dall’inferiorità militare. E la ricompensa della corsa agli armamenti può essere sostanziale se una strategia intelligente costringe un avversario revisionista a modificare il suo approccio, e forse anche a riconsiderare i suoi obiettivi a lungo termine.

Le competizioni militari ad alto rischio stanno già infuriando oggi e gli Stati Uniti hanno un disperato bisogno di dare loro una forma. Una corsa agli armamenti è inutile soltanto per chi la perde.


Il testo è apparso su Foreign policy. Traduzione di Monica Fava.

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