Lo scorso 9 aprile alcuni clienti irlandesi che si appoggiano ai servizi in cloud di un data center di Amazon Web Services (Aws) a Dublino si sono visti rifiutare la possibilità di accedere all’uso delle cosiddette Gpu; ovvero processori molto potenti che, dopo una lunga e onorata carriera nei videogiochi e negli effetti speciali, stanno vivendo una seconda giovinezza nell’addestramento delle intelligenze artificiali. La ragione del “blocco” non è stata del tutto chiarita da Amazon, ma si sospetta che abbia a che fare con una riduzione delle forniture elettriche destinate al data center dublinese di Aws, decisa dai vertici della compagnia elettrica (di Stato) irlandese EirGrid.

Il caso irlandese

Negli ultimi anni l’Irlanda ha investito pesantemente nell’economia dei data center. Dal 2018 a oggi ne sono stati inaugurati 82, ce ne sono in cantiere altri 14 entro il 2024, e ulteriori 40 nei successivi due anni. Da qualche mese, tuttavia, la questione è diventata un tema politico. Negli ultimi anni, il consumo di elettricità di questi data center è cresciuto enormemente: un incremento del 31 per cento rispetto ai livelli del 2021. Un ritmo di crescita che non era neppure immaginabile fino a pochi anni fa, quando cioè i data center erano stati approvati e costruiti tra l’approvazione generale per ciò che essi rappresentavano per l’isola in termini di economia e posti di lavoro.

La ragione del vertiginoso aumento ha a che fare con la diffusione di strumenti di computazione sempre più intensivi – inclusi processori e chip sempre più specializzati e potenti, tra cui appunto le Gpu – per addestrare e sviluppare i cosiddetti “large language models”, su cui si basano le Ia di ultima generazione, inclusa ChatGpt.

Secondo le previsioni più pessimistiche dell’International Energy Agency (Iea), da qui al 2026 questi modelli arriveranno a consumare il 32 per cento della fornitura elettrica irlandese. Una percentuale enorme che non è solo poco sostenibile dal punto di vista ambientale e infrastrutturale, ma anche da quello economico e sociale.

L’Irlanda ha uno dei costi della fornitura elettrica più elevati del mondo, e un simile aumento dei consumi in un settore finirà inevitabilmente per far lievitare i costi in tutti gli altri, incluse le utenze domestiche. Anche per questo motivo, la diffusione indiscriminata dei data center è divenuta terreno di scontro tra politica, cittadini e imprese (oltre ad Amazon, in Irlanda sono attivi grandi data center di Google e Microsoft).

Intelligenzaartificiale

Il caso irlandese è il sintomo di un problema più ampio che non riguarda solo l’Irlanda, ma tutta l’Europa. La Iea ha calcolato che, dal 2010 a oggi, la voracità di energia elettrica dei modelli Ia sia raddoppiata in media ogni sei mesi. Di recente persino Elon Musk è intervenuto sul tema, prevedendo che, di questo passo, le aziende Ia finiranno per non riuscire ad avere «abbastanza elettricità per far funzionare tutti quei chip». Era una provocazione, ma solo in parte. La verità è che lo sviluppo dell’Ia sta mettendo in evidenza come i presupposti delle tecnologie digitali, a lungo presentate come incorporee e slegate dalle logiche del ruvido capitalismo industriale, siano in realtà estremamente fisici e materiali. Dipendono dalla disponibilità o meno di grandi bacini di risorse naturali. Proprio come facevano i sistemi del “vecchio” capitalismo industriale, i modelli Ia chiamano sempre più in causa questioni che hanno a che fare con la geografia delle fonti energetiche e dunque, in ultima analisi, con la geopolitica.

Un problema europeo

Nel caso dell’Ia si sta, per esempio, evidenziando un divario sempre più grande tra le possibilità energetiche che sono in grado di mettere in campo gli Stati Uniti e quelle di cui dispone l’Europa. L’abbondante produzione di gas naturale dei primi (su cui si basa il 40 per cento della produzione di elettricità nel paese), frutto anche della rivoluzione del gas da argille dei Duemila, fa sì che oggi gli Usa abbiano una delle tariffe elettriche più basse del mondo. Viceversa il Vecchio Continente che, negli ultimi anni, ha assistito a un calo cumulativo della produzione energetica del 5 per cento (legato anche all’abbandono dell’opzione del nucleare in paesi chiave come la Germania), ha dovuto far fronte alla crisi ucraina, ha alcune tra le tariffe più elevate, in numerosi casi superiori al doppio della media americana. Nonostante gli sforzi per diversificare il mix energetico del continente, la produzione elettrica europea dipende infatti tra il 30 per cento e il 45 per cento (a seconda dei paesi) da costose importazioni di gas naturale. È evidente che, con simili statistiche, difficilmente l’Europa potrà sostenere a lungo la fame di elettricità dei data center in cui si addestrano le intelligenze artificiali.

A dispetto delle roboanti dichiarazioni dei vertici dell’Unione in merito al desiderio di una maggiore autarchia tecnologica, questa situazione minaccia di porre un chiaro tetto materiale allo sviluppo di Ia autoctone nel nostro continente, creando così i presupposti per una ulteriore dipendenza europea dall’estero. Perché se è vero che i “large language models” si addestrano (anche) in cloud lo è anche che, ovviamente, la localizzazione geografica delle infrastrutture in cui essi fisicamente risiedono conta pur qualcosa.

Già oggi il mercato dei data center sembra sempre più orientato a privilegiare altre mete rispetto alla “costosa” Europa, regioni con una maggiore disponibilità naturale di energia. Oltre agli Stati Uniti, una crescita degli investimenti in queste infrastrutture si sta perciò verificando in Medio Oriente, soprattutto in Arabia Saudita, Kuwait, Qatar ed Emirati Arabi. Paesi che, per ovvie ragioni, vantano alcune delle tariffe elettriche più economiche del pianeta.

In tutto questo scenario non sarà sfuggito il paradosso di una escalation energetica proprio nel momento in cui, in realtà, il buon senso e l’acuirsi della crisi climatica imporrebbero atteggiamenti votati a una maggiore parsimonia. Gli evangelisti dell’Ia rispondono che le intelligenze artificiali sono destinate a svolgere un cruciale ruolo di ottimizzazione anche per quanto riguarda un migliore uso delle risorse per produrre energia, con effetti tali da controbilanciare la loro vasta impronta. Secondo le stime della Iea, sono più di 50 gli utilizzi noti dell’intelligenza artificiale nel miglioramento dell’efficienza dei sistemi energetici. La portata quantitativa e qualitativa dei loro effetti tuttavia è ancora da mettere in numeri. I loro costi energetici (e geopolitici) sono invece già evidenti.

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