Un manganello di gomma batte ripetutamente su una tela orizzontale bianca. Ogni colpo lascia un’impronta di sangue. Alla fine della ripresa video, ad azione conclusa, quel che rimane sulla tela richiama la bandiera bielorussa in uso dal 1991 al 1995, sostituita in seguito a un referendum voluto dal neopresidente Aleksandr Lukashenko, eletto un anno prima.

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Riproporre nelle piazze una bandiera che rimanda a una fase storica del paese antecedente all’ascesa al potere di Lukashenko spiega perché la bandiera biancorossa campeggia nelle recenti manifestazioni di protesta come espressione di libertà.

L’opera, intitolata Belarus, è stata realizzata dal trentaquattrenne artista russo Artyom Loskutov nella notte tra il 9 e il 10 agosto, quando centinaia di migliaia di bielorussi sono scesi in piazza con bandiere biancorosse per protestare contro i brogli elettorali che avevano riconfermato presidente con l’80 per cento delle preferenze Lukashenko, al potere da 26 anni. Com’è noto, in quei giorni e nei successivi, catene umane e scioperi furono repressi con violenze, arresti e torture.

Il video di Loskutov con la bandiera biancorossa è diventato presto virale in molti paesi dell’ex Unione sovietica. Contattato su Instagram, come altri artisti bielorussi che stanno diffondendo il proprio lavoro di protesta sulla rete, Loskutov ha subito risposto e spiegato che, essendo siberiano, si sente legato alla Bielorussia. Ha realizzato il dipinto dopo aver visto in un video i poliziotti picchiare i manifestanti a Minsk.

Desiderio di indipendenza

Accettata nel 1917 dal Movimento nazionale e poi dalla Repubblica bielorussa nel 1918, oltre a rappresentare l’identità nazionale, la bandiera bianca, rossa e bianca esprime oggi simbolicamente il desiderio di indipendenza dei bielorussi. Questo nonostante quegli stessi colori erano stati in passato adottati dalle organizzazioni che durante l’occupazione collaborarono con i nazisti. Anche i nazionalisti ne fecero il simbolo della loro rivolta antisovietica.

«Avevo già usato questa tecnica un anno fa – racconta Loskutov – quando a Mosca ho visto la polizia picchiare in maniera irragionevolmente crudele delle persone che partecipavano pacificamente a una manifestazione di protesta. Sono un artista, ho cercato di reagire attraverso il mio lavoro. Ho comprato un manganello da poliziotto su internet e ho iniziato a batterlo su delle tele, arrivando a creare una cinquantina di dipinti. Ho chiamato questa tecnica dubinopis’ (termine inventato mettendo insieme la parola pittura e manganello).

Essendo russo avverto che gli eventi di Minsk potrebbero ripetersi a Mosca tra qualche anno. Ho sentito la necessità di filmare il processo con il mio iPhone mentre lo realizzavo e postarlo sulla rete. Il video non è nato per una mostra ma espressamente per Twitter e Instagram. Internet mi permette di raggiungere molte più persone di quante ne possa raggiungere con una mostra in galleria».

Dopo la pubblicazione del video, come sua abitudine, Loskutov ha messo all’asta la tela su Facebook.

«Metto le mie opere all’asta più o meno regolarmente il venerdì, a partire da un rublo. In autunno ho smesso di farlo, ma riprenderò presto. Questo mi permette di fare a meno di una galleria. Secondo me le gallerie come istituzione stanno morendo. Almeno a Mosca è così.

Metà del ricavato della vendita di Belarus è andato a sostegno della raccolta fondi per pagare le cure mediche, le multe e gli avvocati necessari dopo le proteste di Minsk. L’asta ha portato il valore dell’opera a tre milioni di rubli (circa 30.000 euro), un record per il mio lavoro».

Il Guardian ha scritto che i soldi offerti da Loskutov costituiscono la maggior donazione privata ricevuta dalla resistenza bielorussa.

Dalla Russia a Parigi

Quella Loskutov non è stata la sola azione di protesta fuori dalla Bielorussia. La stessa notte in cui gli exit poll dichiaravano la schiacciante vittoria elettorale di Lukashenko, mentre le manifestazioni di piazza infiammavano Minsk, Brest, Kobryn, Pinsk, Baranovichi, Gomel e Grodno, a Parigi una mano misteriosa ha incollata la scritta “free Belarus” al monumento di Giovanna d’Arco in Place des Pyramides, coprendo con la bandiera bianco, rossa e bianca quella tenuta dall’eroina francese.

Per capire il senso di questo intervento artistico va tenuto presenze che in Bielorussia sono in molti ad associare la figura della candidata presidenziale dell’opposizione, Svetlana Tikhanovskaya, a quella della martire Giovanna D’Arco. Quando infatti il marito di Svetlana, Sergey Tikhanovsky, finì in carcere perché intendeva partecipare alle elezioni, la donna ha sentito l’obbligo di tenere in vita l’azione politica del marito. Dopo l’annuncio della vittoria di Lukhashenko, Svetlana è stata prima interrogata da una commissione d’inchiesta e poi bandita dal paese.

Altro artista ad aver pagato a caro prezzo una sua performance di dissenso è stato Alexei Kuzmich. Il giorno delle elezioni Kuzmich è uscito dalla cabina elettorale indossando un perizoma e con la scheda elettorale su cui aveva disegnato un fallo attaccata sul petto.

Sempre all’interno del seggio elettorale si è bendato gli occhi con l’attuale bandiera della Bielorussia e ha assunto la posa di un uomo crocifisso. Quella stessa sera Kuzmich ha ripetuto la performance sulla strada, frapponendosi tra la folla di manifestanti e i blindati della polizia. Dopo le elezioni la polizia ha sfondato con un’ascia la sua porta di casa, lo ha arrestato e, dopo averlo ripetutamente colpito in varie parti del corpo a manganellate, lo ha recluso in una cella di nove metri quadrati insieme ad altre trenta persone.

Uscito dal carcere si è reso necessario ricoverarlo in ospedale. Accusato di pornografia, Kuzmich è stato costretto a lasciare il paese. Si è trasferito un mese e mezzo a Kiev, in Ucraina – dove ha raccontato la sua vicenda alla radio – oggi vive tra Parigi e Berlino.

La mia telefonata lo raggiunge a Berlino. In cella non era nemmeno possibile sedersi, racconta, figuriamoci sdraiarsi. «Non ci hanno dato da mangiare e la possibilità di avere acqua e di usare i servizi igienici era limitata a due volte al giorno. Sono stato picchiato e umiliato. È impensabile che nel XXI secolo, in un paese europeo, sia possibile trattare un essere umano in quel modo».

Kuzmich, inizialmente sospettoso, si è tranquillizzato quando gli ho spiegato che l’articolo sarebbe stato pubblicato su un quotidiano italiano. «Sento l’azione artistica e l’azionismo politico come due cose diverse», racconta. «Il mio lavoro stratifica più significati, l’intento principale non era esprimermi contro Lukashenko. La mia performance poneva domande sulle dinamiche delle elezioni come istituto politico in generale. Nella nostra realtà i politici coltivano i propri interessi e i profitti di gruppi ristretti, mai quelli del popolo.

Tuttavia le persone credono loro, per questo ho usato la religione come metafora della fede nella democrazia e ho disegnato il fallo, nel quale vedo il simbolo degli albori dell’evoluzione, quando tutto si risolveva con la forza. Oggi non siamo andati molto avanti rispetto all’idea di dominio dell’uomo sull’uomo. Mi sono bendato con la bandiera bielorussa del dopo Lukashenko per simboleggiare la fede cieca nell’ideologia».

«Ho diviso questa performance in due apparizioni – prosegue –, la prima nel seggio elettorale, la seconda, di sera, richiamando la seconda venuta di Cristo nell’Apocalisse davanti a una folla della polizia con centinaia di protestanti dietro di me. Quando il governo mi ha preso in custodia e picchiato è diventato coautore della mia performance. Sulle fotografie che documentano l’azione si possono vedere le impronte del manganello sul mio corpo, come se il risultato delle reazioni del governo, compresa la mia espulsione dal paese, fossero parte dell’opera. In questo senso l’azione non è ancora conclusa».

Un’altra figura emergente dell’opposizione artistica bielorussa è il graphic designer Yuri Ledyan, di Minsk, che ha comparato le fotografie delle proteste bielorusse con immagini di capolavori dell’arte mondiale. Il 17 agosto ha pubblicato un numero di Novaya Gazeta con in copertina un enorme livido la cui forma richiama la sagoma della Bielorussia. Il livido è stato realizzato con Photoshop, ma è stato percepito dal pubblico come una vera contusione.

Le azioni artistico-politiche di dissenso si sono susseguite incessanti. Moltissime quelle di gruppo nelle quali le persone che si tenevano per mano mostravano i lividi procurati dalle manganellate sul proprio corpo o foto di lividi sul corpo degli amici.

Queste proteste si distinguono non tanto come rappresentazioni artistiche quanto per la loro natura pacifica. I manifestanti in Bielorussia non vogliono guerra, non vogliono violenza, vogliono pace, ordine e decenza. Ecco perché c’è stata così tanta arte e così poca violenza fisica nell’azione degli artisti bielorussi.

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