Nelle elezioni americane, ormai, a guidare il dibattito, non ci sono più solo i punti dei programmi, le qualità dei leader e la sostenibilità della spesa. Ci sono le sentenze dei tribunali. Non soltanto per Donald Trump, ma anche per moltissimi altri candidati le aule dei tribunali sono una consuetudine con cui fare i conti.

Difficile determinare cosa abbia provocato questa preponderanza giudiziaria, fatto sta che da qualche anno le corti sono entrate prepotentemente nell’agone politico. Nel caso di Donald Trump, è praticamente da inizio anno che le incriminazioni si stanno affastellando: prima il caso newyorchese che riguarda il pagamento avvenuto nel 2016 di 130mila dollari alla pornostar Stormy Daniels da parte di quello che allora era il suo avvocato, Michael Cohen, usando una falsa dicitura nei libri contabili della Trump Organization.

Poi è arrivato un caso federale, che vede l’ex presidente accusato di aver trafugato decine di documenti riservati e averli piazzati nella sua residenza di Mar-a-Lago, in Florida. Nei prossimi mesi, poi, dovrebbero arrivare altri inviti a comparire di fronte al tribunale, per il coinvolgimento nei fatti insurrezionali nel Campidoglio di Washington, avvenuti il 6 gennaio 2021 e per le pressioni indebite nei confronti del segretario di Stato della Georgia affinché gli trovasse “diecimila voti” per ribaltare le elezioni.

Ognuno di questi casi ha provocato una lunga scia di difese e di reazioni che hanno polarizzato l’opinione pubblica americana tra chi crede che Trump sia una vittima della più grande “caccia alle streghe” di sempre e chi invece lo ritiene un mentitore seriale e un criminale che va fermato ad ogni costo.

Il caso di Hunter

Anche per Joe Biden ci sono problemi che non lo riguardano direttamente, ma hanno coinvolto il figlio Hunter: secondo i procuratori, il figlio del presidente avrebbe comprato un’arma nel 2018 quando faceva regolare uso di droghe, rendendo il suo acquisto illegale. Per questo ha scelto di patteggiare una pena ridotta con il tribunale per questo e per due casi di frode fiscale.

Una notizia che ha subito mandato in estasi il mondo ultra-Maga di fan di Trump, che ha subito fatto un’equivalenza azzardata tra i due inquilini della Casa Bianca. Insomma, un circo mediatico senza fine che riguarda anche la politica locale. Nel 2021 una violazione del lockdown da parte del governatore della California Gavin Newsom ha portato a un’elezione di recall.

Newsom è riuscito comunque a prevalere, ma comunque scatenando un polverone. Stesso caso che adesso capita al procuratore generale del Texas Ken Paxton, che deve affrontare un processo al Senato dopo essere stato sospeso nell’incarico da un voto bipartisan della Camera statale, con diverse accuse di malversazioni. A volte può anche capitare che le accuse portino a perdere un’elezione che sembrava vinta, come nel 2017 in Alabama, quando il giudice Roy Moore, candidato repubblicano al Senato, perse per un pugno di voti a causa di pesanti accuse di rapporti illeciti con minori, accuse poi rivelatesi senza un consistente fondamento.

Le accuse giudiziarie poi hanno anche portato alla turbolenta fine di una delle stelle del partito democratico, il governatore di New York Andrew Cuomo. Per aver coperto le morti dei malati di Covid nelle case di ripose e per accuse di molestie seriale ricevute da parte di numerose donne.

La Corte suprema

Altre volte sono le stesse sentenze a cambiare gli scenari politici: lo scorso anno la sentenza Dobbs v. Jackson, dove la Corte Suprema americana ha rimosso la protezione federale del diritto di aborto, è stata usata dai democratici come arma per mobilitare il proprio elettorato contro i repubblicani che gioivano per quella che definivano “una vittoria della vita”.

La cosa ironica è che quella sentenza è il prodotto di due forzature successive architettate dal leader repubblicano al Senato federale Mitch McConnell per rendere più conservatrice la Corte: prima nel febbraio 2016, quando impedì a Barack Obama di nominare un giudice in sostituzione dell’ultraconservatore Antonin Scalia, nomina che venne poi effettuata nel febbraio 2017 da Donald Trump, poi nel settembre 2020 forzò una conferma affrettata della giudice Amy Coney Barrett in sostituzione dell’icona progressista Ruth Bader Ginsburg.

Un piano ben architettato che però ha portato a conseguenze inaspettate. Non sfugge nemmeno però che il ruolo sempre più accentuato delle corti derivi dalle continue impasse che avvengono sia a livello statale che federale in quell’eventualità che il governo sia “diviso”: ovvero quando i governatori e i presidenti devono avere a che fare con maggioranze ostili. Anche per questo l’elezione di un giudice nella Corte Suprema del Wisconsin lo scorso aprile ha portato a una spesa complessiva di 42 milioni per sostenere i due candidati, il conservatore Dan Kelly e la progressista Janet Protasiewicz.

La vittoria di quest’ultima dovrebbe consentire ai dem che sostengono il governatore Tony Evers di smontare la mappa elettorale per i seggi statali di Camera e Senato. Una modifica impossibile, data l’impasse con due rami dell’assemblea locale in mano in repubblicani.

La polarizzazione politica quindi, di fatto ha congelato i poteri delle assemblee legislative e di chi occupa le cariche esecutive, potenziando il ruolo dei tribunali, a scapito del volere dei cittadini.
 

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