Il piano del Regno Unito di spedire i richiedenti asilo in Ruanda per adesso è stato sospeso. Decisivo l’intervento della Corte europea dei diritti dell’uomo, di cui la Gran Bretagna nonostante la Brexit fa ancora parte, che ha accolto i ricorsi di alcuni migranti che Londra vuole trasportare nel paese africano.

Il ricorso

Erano sette le persone sulla lista che dovevano partire ieri sera per il Ruanda. Tra di loro anche K.,N., un cittadino iracheno di 54 anni scappato dal suo paese, attraverso la Turchia e l’Europa, poi giunto sul suolo britannico dopo aver attraversato il canale della Manica su una barca. La Corte di Strasburgo, dopo un suo ricorso, ha applicato l’articolo 39 del proprio regolamento, che prevede il potere di indicare misure provvisorie nei confronti di qualsiasi stato che fa parte della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, quindi anche il Regno Unito. La Corte ha sottolineato che il caso di K.N. rientra nelle eccezioni, visto il «rischio reale di subire un danno irreversibile».

Un medico aveva infatti affermato che l’uomo potesse essere stato vittima di torture. La Corte, intanto, ha riferito al governo britannico che l’uomo non dovrebbe essere trasferito in Ruanda fino a tre settimane dopo la pronuncia della decisione sulla sua richiesta di asilo nel Regno Unito. Lo stop è arrivato poco prima della partenza, fermando il volo e costringendo Londra a sottostare nuovamente alle direttive europee, visto che i giudici britannici avevano dato il via libera al piano del governo.

Il piano di Londra

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Il Regno Unito ad aprile ha stretto un accordo con Kigali da 120 milioni di sterline per l’invio di migliaia di richiedenti asilo in Ruanda, in modo da non ospitarli sul suolo britannico durante l’iter burocratico di accoglienza.

L’esecutivo di Boris Johnson però promette battaglia. Priti Patel, la ministra dell’Interno di Londra ha affermato: «Non saremo dissuasi dal realizzare i nostri piani per controllare i confini della nostra nazione». La promessa è che i legali che assistono il governo stanno «riesaminando ogni decisione presa riguardo il primo volo. La preparazione per il prossimo inizia ora» conclude Patel.

Per i conservatori, oltre ad avere il controllo sulle proprie frontiere, il piano servirebbe anche a contrastare il business delle migrazioni e i trafficanti di esseri umani. Il premier Johnson ha anche ventilato l’ipotesi di abbandonare la Cedu, in modo da poter attuare senza limiti i propri propositi.

Intanto però, per adesso, da Strasburgo hanno frenato le ambizioni del Regno Unito. Un piano che rimane contestato anche all’interno del paese, sia dal partito laburista di Keir Starmer, sia dai vertici della chiesa d’Inghilterra. Gli arcivescovi di Canterbury e di York, Justin Welby e Stephen Cottrell, hanno protestato in maniera veemente, scrivendo una lettera insieme a una ventina di autorità religiose, definendo il progetto «una scorciatoia immorale che getta vergogna sulla Gran Bretagna».

I ricorsi

Una fonte del governo, si legge sul Guardian, ha confermato il fatto che per il volo bloccato fossero già state pagate dalle casse pubbliche 500mila sterline. Ma i ricorsi dei migranti, anche sostenuti da ong e legali di associazioni per i diritti umani, stanno ritardando il piano. La scorsa settimana doveva essere 130 il numero di richiedenti asilo pronti per essere mandati in Ruanda, poi venerdì era sceso a 31, arrivando poi ai sette di ieri, 14 giugno.

I ricorsi presentati hanno premuto sui rischi per la salute e sul fatto che l’invio nel paese africano violi i diritti umani, tenuto anche conto che nel paese africano quest’ultimi non siano così rispettati. Tra coloro che sono stati avvertiti dell’imminente partenza verso il Ruanda, ci sarebbero 35 sudanesi, 18 siriani, 14 iraniani, 11 egiziani e anche nove afghani che scappano dal regime talebano.

Da una parte c’è sia Londra che Kingali che sostengono come il Ruanda sia una destinazione sicura e affidabile, pronta ad accogliere nel prossimo futuro migliaia di richiedenti asilo. Dall’altra ci sono le Nazioni unite e Human Rights Watch che invece non lo ritengono verosimile, per via delle «gravi violazioni dei diritti umani, inclusa la repressione della libertà di parola, la detenzione arbitraria, i maltrattamenti e la tortura» che avvengono nel paese africano.

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