Re Starmer è nudo: attivisti pro Gaza arrestati in massa

Londra – Potremmo pensare a Minsk, Mosca, o a una Washington trumpiana, e invece no: questa è l’Inghilterra, «madre di tutte le democrazie» stando a Wikipedia. Sabato scorso, nel cuore di Londra, si è svolto uno degli arresti di massa più imponenti nella storia della capitale. 521 persone – 532 contando anche i fermi per aggressione – sono finite in manette a Parliament Square. Il “reato”? Esporre un foglio di carta, sette parole a sostegno del gruppo Palestine Action: «I oppose genocide. I support Palestine Action». I manifestanti che rifiutavano di farsi portare via venivano sollevati uno a uno da agenti della polizia visibilmente tesi, mentre la folla urlava: «Genocide police!» o «Fascist scum!». Rischiano fino a 14 anni di carcere. Fra loro anche Sir Jonathan Porritt, consigliere nei governi Blair e Brown. Il macigno sulla coscienza dell’Occidente, su Gaza è in gioco la sua reputazione Il pragmatismo illiberale A fine luglio Palestine Action è stato inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche al pari di al-Qaida e di National Action (estrema destra): l’ennesima nemesi storica del New Labour, dato che l’approvazione della legge usata per questi arresti – il Terrorism Act del 2000 – si deve al governo Blair. La maggioranza dei manifestanti ha più di sessant’anni: una generazione politicamente attiva negli anni della seconda guerra in Iraq e raccoltasi attorno a un atavico anti-blairismo. Ma continuare a indicare solo lui serve a poco, così come scaricare tutta la responsabilità su Keir Starmer è magra consolazione. L’enorme sproporzione tra il presunto reato – una protesta pacifica a sostegno di un gruppo espressione della società civile il cui appello contro la decisione del governo di messa al bando è stato accolto dall’Alta Corte – e la pena, paragonabile a quella prevista per l’istigazione alla violenza o per la radicalizzazione ideologica di matrice islamista, è la misura della crisi in cui versa lo stato britannico. Migranti, Starmer come Trump, la stretta su rider e università Starmer è sotto assedio da sinistra – il nuovo partito di Corbyn e Sultana potrebbe costargli le prossime elezioni – ma la pressione più forte arriva da destra, con Reform di Farage in ascesa. Di fronte a queste pressioni, il pragmatismo a oltranza del premier, la sua leadership deideologizzata e liquida, finisce per fare acqua da tutte le parti: quello che sembra un disordinato tentativo di governare il caos, più che un piano razionale per limitare la democrazia, va letto anche nel quadro di altre proteste che, negli stessi giorni, si sono registrate a partire da Epping, estrema periferia della capitale, fino ad altre città. La serie di proteste anti immigrati – che associa il rifugiato al criminale, costruendo quello che il sociologo Stanley Cohen ha definito «panico morale» – è stata convocata da gruppi di estrema destra e esponenti di Reform in reazione all’uso di hotel per ospitare richiedenti asilo. Anche in tal caso, scontri con la polizia e arresti; ma rispetto all’anno precedente, queste proteste sono state meglio organizzate: viene da pensare a un’organizzazione meditata in anticipo, capace di capitalizzare sul clima di paura. L’ambasciata cinese a Londra è una grana per Keir Starmer. Gli oppositori: «Base di spionaggio» Regressione democratica e austerità sono cresciute insieme in Gran Bretagna, man mano che la spesa pubblica si restringeva e nuove ondate di attivismo radicale si formavano attorno alla crisi climatica e alla distruzione della Palestina; il paradosso è che l’austerità rende lo stesso autoritarismo economicamente meno sostenibile. Il diritto di protesta e gli spazi legali della libertà di espressione rischiano di rimanere schiacciati da una burocrazia post-neoliberale che non dispone di strumenti finanziari per gestire la crisi e rimane impantanata nella propria natura a-ideologica. È così che muoiono le democrazie?