Mentre il Ruanda si mette d’accordo con Londra per accogliere i migranti espulsi, l’Uganda chiede che i rifugiati inizino a pagare per il loro mantenimento. O almeno lo facciano i governi dei loro paesi di provenienza. Piccolo ma ben gestito, il paese dell’Africa dei grandi laghi è uno di quelli più stabili malgrado i suoi turbolenti vicini.

In passato coinvolto nelle guerre del Kivu e del Congo, ora l’Uganda dà accoglienza a molti profughi della regione. Dei circa 45 milioni di abitanti, oltre 1,5 sono rifugiati, quasi tutti provenienti dal Sud Sudan e dalla Repubblica Democratica del Congo.

Le guerre e le crisi politiche dei due paesi limitrofi provocano continue fughe oltre frontiera, verso Kampala considerata una meta sicura. Esther Anyakun Davina, ministro di stato ugandese per i Rifugiati, ha dichiarato a The Africa Report che secondo le previsioni delle organizzazioni umanitarie dell’Onu, il paese deve aspettarsi nuove ondate di profughi nei prossimi mesi.

L’allarme è tanto più grave in quanto stanno finendo i fondi con i quali l’Alto commissariato per i rifugiati (Unhcr) e le altre agenzie come l’Oim, si occupano dei campi. Secondo le autorità ugandesi la quantità di cibo per i profughi è diminuita di quasi la metà. Di conseguenza Kampala chiede ora un contributo ai loro paesi di origine.

Il Sud Sudan è un produttore di petrolio mentre la Rdc ha grandi giacimenti di terre rare e altri minerali preziosi: perché dunque – si chiedono gli ugandesi – non possono fare la loro parte, visto che oltretutto si tratta di loro concittadini? La risposta è controversa. Se è vero che entrambi questi due paesi sono ricchi di risorse, è anche vero che la loro capacità di governance è ridotta e l’abilità di gestire le risorse pubbliche molto limitata.

Fondi e risorse naturali

Com’è noto in Africa i proventi delle risorse geologiche sono nelle mani di ditte o paesi stranieri che remunerano i governi nazionali con royalty. Spesso i bilanci statali nemmeno beneficiano dei risultati di tale settore economico i cui ricavi vengono immessi in fondi neri o occulti, prodromo della corruzione, o perché sono destinati a coprire i debiti sovrani contratti nel tempo.

L’alternativa sarebbe quella di creare dei fondi regionali con la partecipazione pro-quota dei paesi delle varie aree africane – in questo caso dell’Africa orientale – con un meccanismo anche minimo di solidarietà. Finora tutta la responsabilità dei rifugiati è sempre stata gettata sulle spalle della comunità internazionale, mediante l’impegno dell’Alto commissariato per i rifugiati e delle altre agenzie dell’Onu.

Nell’ultimo decennio l’aumento dei rifugiati nel mondo (si pensi solo ai 5 milioni di ucraini oggi, agli afghani ieri, ai siriani e così via) è stato esponenziale, conseguenza delle crisi politiche a ripetizione e delle numerose guerre. Da soli i conflitti siriano e afghano hanno creato una situazione di crisi umanitaria di decine di milioni di sfollati che rischia di durare decenni.

Attualmente la Turchia è il paese che ospita più rifugiati del mondo, ma l’Uganda è salito ai primissimi posti e secondo alcune stime forse addirittura al secondo. La reazione sud sudanese alla proposta ugandese è stata quella di chiedere ai profughi di rientrare: l’idea del governo di Juba è che vi sia una situazione di «pace relativa» che permetta il ritorno. Ma vista da più vicino la condizione del paese (che attende la visita di papa Francesco a luglio) è più complessa, senza che si riesca a uscire del tutto dall’instabilità.

Intanto l’Unhcr afferma che il suo appello per le risorse del 2022 è rimasto «ampiamente non finanziato»: a fine marzo l’agenzia delle Nazioni unite per i rifugiati aveva ricevuto solo 30 milioni di dollari del suo budget annuale di 343,4 milioni di dollari per tale ambito. È evidente che due anni di pandemia e la guerra in Ucraina hanno peggiorato le cose e ridotto i contributi dei paesi ricchi. L’Alto commissariato non ha ricevuto nemmeno la metà del bilancio previsto per l’Uganda negli ultimi cinque anni.

Kampala ha una politica di accoglienza dei profughi spesso lodata a livello internazionale: i rifugiati sono sistemati in campi non troppo grandi disseminati in tutto il paese e hanno diritto al medesimo accesso dei cittadini ugandesi ai servizi sociali, compresa l'istruzione e la salute. Ma ora la situazione sta virando al disastro: vi sono già segnali di malnutrizione nei campi, complice anche l’aumento vertiginoso dei prezzi dei prodotti alimentari, un altro fruito amaro della guerra ucraina.

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