Isis reloaded, si potrebbe dire. Sia in Siria sia in Iraq, anche grazie alla guerra in Ucraina che distrae i russi. Fonti militari del governo siriano riportano continue uccisioni di soldati nel deserto di Palmira e nelle campagne attorno a Homs, mediante imboscate e attacchi. Con il supporto aereo degli elicotteri russi rimasti, le forze siriane stanno rastrellando una vasta area alla ricerca di cellule dell’Isis. Secondo un bilancio che include i caduti delle due parti, durante le operazioni militari in corso nel deserto orientale siriano ci sarebbero state 136 vittime dall’inizio del 2022 (69 membri dell’Isis e 67 delle forze governative).

Il fatto che non ci sia scarto tra perdite degli aggressori e dei lealisti fa riflettere. Per i jihadisti è fondamentale rivendicare la responsabilità di ogni attacco allo scopo di dimostrare la propria esistenza. Con la guerra in Ucraina, la Russia sembra aver ridotto la sua presenza in Siria, soprattutto per ciò che concerne la copertura aerea delle operazioni. Secondo gli analisti l’Isis ha a disposizione più combattenti di quanti ne metta attualmente in campo per preservarli: è diventato difficile reclutarne di nuovi a causa della perdita di sostegno tra le comunità sunnite.

Il futuro del gruppo dipende dalla strategia che adotterà il nuovo leader, Abu al Hassan al Hashemi. Per ora gli attacchi dimostrano che l’Isis ha ancora capacità di pianificare ed eseguire operazioni usando cellule mobili che si spostano su motociclette per essere meno visibili (simile a come fanno i Boko Haram in Nigeria). L’attacco jihadista di gennaio scorso al carcere siriano di Hassaké (zona controllata dai curdi dove sono detenuti parte dei minori dell’Isis che nessuno rivuole indietro), come quello contro un avamposto dell’esercito iracheno a al-Udhaim nella provincia irachena di Diyala, nei pressi di Baghdad, avevano già dato segnali di allarme sulla vitalità di Isis che pare si stia lentamente ricostruendo. Le forze curdo-siriane hanno combattuto per giorni prima di riprendere il controllo della prigione.

I cuccioli del califfato

In Iraq si è trattato della completa distruzione di un posto di comando con l’uccisione di tutti i soldati e del loro comandante. Il portavoce delle Syrian democratic forces (Sdf) ha affermato che gli Stati Uniti hanno appoggiato l’azione per riprendere il controllo degli edifici del complesso carcerario che contiene 5mila sospetti dell’Isis, la maggior parte dei quali foreign fighters, cioè di origine straniera. I giovani (talvolta ragazzi) imprigionati ad Hassaké erano stati catturati dopo la caduta di Baghuz, l’ultimo lembo della Siria jihadista caduto nel marzo del 2019.

Occorre precisare che tra di essi ce ne sono alcuni accusati di aver combattuto con l’Isis ma anche numerosi altri che sono soltanto figli di estremisti. Nel novembre dell’anno scorso era stata sventata un’azione simile sempre nello stesso carcere. Anche il famigerato campo di al Hol, che ospita circa 10mila donne e bambini (i cosiddetti “cuccioli del califfato”) sospettati di essere stati legati all’Isis, ha subìto vari attacchi.

Spazi per il jihad

È evidente che l’Isis sta cercando di ricostituire le proprie forze mediante la liberazione di detenuti adattando la strategia: non è più possibile fare proselitismo alla luce del sole come avveniva in passato. Queste vicende fanno infuriare le autorità curde che vorrebbero disfarsi almeno dei foreign fighters e dei loro familiari ma ottengono dall’Europa e da altri paesi soltanto rifiuti. Nessuno vuole riprendersi “cuccioli”, mogli, familiari o, peggio ancora, ex combattenti terroristi.

Strategicamente i jihadisti si sono radunati nelle aree controllate dall’Sdf (soprattutto nella provincia di Deir ez Zor nella parte orientale e desertica della Siria) dove la situazione è più fluida e incerta, taglieggiando le popolazioni locali, rubando e vendendo carburante prodotto localmente (una pratica molto diffusa anche prima della guerra). Lo stato di prostrazione dell’economia siriana acuito dall’attuale siccità, offre spazi e opportunità per i traffici dei jihadisti.

Rapimenti

Inoltre i curdi sono indeboliti dalle loro polemiche transfrontaliere tra siriani e iracheni: il governo regionale del Kurdistan accusa le Sdf di non rendersi autonome dall’influenza del Pkk, cioè i ribelli curdi di Turchia. È noto che i curdi d’Iraq sono più vicini ad Ankara con cui commerciano di quelli siriani che invece sono sempre a rischio di essere attaccati dalle forze turche e dai loro alleati. Sul fronte iracheno l’attacco all’avamposto dell’esercito ha fatto scalpore per la sua efficacia, al punto che l’Iraq sta costruendo un muro per contenere le infiltrazioni.

Secondo fonti iraniane l’assalto è stato effettuato da una cellula composta da nove membri proveniente dall’area settentrionale di Kirkuk. È la conferma che l’Isis ha cambiato metodi, avvicinandosi al mordi e fuggi tipico di al Qaida. Lo stesso fondatore di al Qaida in Iraq e successivamente iniziatore della scissione che portò alla fondazione dell’Isis, il giordano Abu al Zarqawi, era noto per dirigere attacchi di quel tipo nella medesima provincia.

In quell’area i rapimenti rimangono una delle principali fonti di finanziamento dei gruppi terroristici ma anche delle milizie sciite. La composizione mista della popolazione irachena acuisce l’instabilità del paese a causa dell’odio etno-religioso tra sunniti (accusati di aver sostenuto l’Isis) e sciiti (le cui milizie si sono rese odiose per le vendette). nella parte a prevalenza sunnita l’Isis porta avanti assassinii mirati di capi locali, polizia e militari, facendo leva sull’appartenenza clanica. Si tratta del tentativo di intimidire le tribù sunnite allo scopo di recuperarne la collaborazione, vitale per il jihadismo locale. Queste attività trovano spazio anche a causa degli attriti tra governo centrale e il Kurdistan. Sembra di essere tornati al 2014 quando nacque il califfato proprio grazie alla frattura della coesione interna della società irachena. Soltanto una reale riconciliazione potrà togliere spazio a chi si nutre di diffidenza ed odio. 

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