Una pace innaturale aleggia su Haiti. Con un messaggio video girato dal suo esilio de facto sull’isola caraibica di Porto Rico, il presidente haitiano Ariel Henry ha annunciato le dimissioni del governo che presiedeva.

Il prossimo futuro prevede un nuovo primo ministro – non candidabile alle prossime elezioni – nominato da un Consiglio presidenziale di transizione composto da nove membri (sette con diritto di voto e due osservatori) provenienti dalla politica, dall’imprenditoria, dalla società civile e dal clero cattolico.

La rivolta di Barbecue

Una soluzione politica resa necessaria dall’insurrezione di Jimmy Cherizier detto Barbecue, l’ex poliziotto a capo della confederazione criminale chiamata “Fòs Revolisyonè G9 an fanmi e alye” (Forze rivoluzionarie della famiglia G9 e alleati) e abbreviata spesso in G9.

Barbecue ha infatti approfittato della visita in Kenya del presidente Henry per divenire il convitato di pietra di qualsiasi futura discussione sulla gestione del potere in questo paese caraibico, situato nella metà occidentale e francofona dell’isola di Hispaniola.

Durante l’assenza di Henry, i G9 sono corsi a liberare circa 4.500 detenuti dalle due maggiori prigioni haitiane. Forti di quest’ondata di nuove leve hanno così assaltato l’aeroporto della capitale Port-au-Prince dove, nonostante la resistenza dei poliziotti e dei militari che lo presidiavano, il rapporto tra le forze in campo è apparso da subito a favore dei banditi.

Un risultato prevedibile visto che ad Haiti operano approssimativamente 200 bande criminali, di cui la metà fa base nella capitale.

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I gangster

Strada per strada, Barbecue e i suoi ne controllano tra gli otto e i nove decimi e l’anno scorso il diplomatico statunitense Daniel Lewis Foote aveva rivelato come persino il presidente haitiano fosse stato spesso costretto a pagare la G9 per il privilegio di poter tenere i suoi comizi in città.

Una situazione ingestibile che aveva spinto il governo a cercare un aiuto esterno e la visita di Herny a Nairobi era stata incoraggiante su questo versante, aprendo alla possibilità concreta dell’arrivo ad Haiti di una forza internazionale di polizia sotto l’egida dell’Onu.

Un atto concreto che avrebbe ridimensionato lo strapotere dei G9 di Barbecue e dei G-Pep sotto la guida di Joseph Wilson alias Lanmò San Jou (Morte improvvisa), l’altra metà del potere criminale che affligge Haiti.

Il sistema dei gangster ha quindi reagito violentemente a questo tentativo punendo Henry come – probabilmente – aveva punito già il precedente presidente Jovenel Moïse, ucciso da un commando nel 2021.

Una democrazia debole

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D’altronde in questa nazione la democrazia ha una storia molto più breve del gangsterismo. La presenza delle bande armate irregolari è una caratteristica e non un’aberrazione della storia moderna di Haiti.

Una tradizione iniziata alla fine degli anni Cinquanta durante la dittatura della famiglia Duvalier, quando i paramilitari dei Tonton Macoute erano impiegati nella repressione dei dissidenti. L’organizzazione dei Macoute non era propriamente regolata anche all’interno dell'autoritarismo del regime e così, quando esso cadde, dopo 27 anni di consuetudinarietà disarmarli o sgominarli divenne impossibile.

Dal terribile terremoto del 2010 – uno dei più distruttivi mai visti dall’uomo – il già fragile Stato haitiano si è così progressivamente indebolito, mentre le gang acquisivano sempre più potere infiltrandosi a ogni livello.

Dopo gli evidenti fallimenti di Herny nella lotta alle bande e il suo rifiuto a indire nuove elezioni nei tempi previsti dalla legge, non sorprende che gli altri leader mesoamericani riuniti in Giamaica abbiano spinto il loro omologo haitiano ad accettare la realtà sul campo.

Infatti nessuna forza di polizia internazionale al momento può risolvere la situazione di Haiti, segnata da un presente tanto violento quando è invece pacifico quello della confinante Repubblica Dominicana che occupa la parte orientale della stessa isola.

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