Dalle stragi compiute in Ucraina e a Gaza un appello contro la “disumanizzazione” delle guerre. È il momento che i leader europei promuovano una Conferenza per la pace e il Diritto internazionale umanitario
Persino Trump si è interrogato di fronte alle stragi di civili compiute nella Pasqua dell'Ucraina dalla Russia che in teoria starebbe negoziando la tregua: «Putin non aveva motivo di sparare missili in aree civili e città negli ultimi giorni. Forse non vuole fermare la guerra, mi sta prendendo in giro e deve essere trattato in modo diverso, attraverso altre sanzioni? Troppa gente sta morendo».
La strage della Domenica delle Palme a Sumy è stata compiuta alle 10 del mattino nell'orario delle celebrazioni, causando la morte di 34 persone, tra cui almeno 7 bambini. È stata l'ulteriore manifesta irresponsabilità di un aggressore – la Russia di Putin – nel non curarsi dei principi fondamentali delle Convenzioni di Ginevra: non c'era alcun obiettivo militare da colpire, l'attacco missilistico è stato diretto contro un'inerme popolazione civile, con la consapevolezza che si sarebbe raccolta quel giorno in manifestazioni religiose.
L'uso delle bombe "a grappolo” su un centro abitato e il ricorso alla tattica del double tap (il lancio di un secondo ordigno) per colpire i soccorritori dimostrano il chiaro intento terroristico volto a fiaccare gli ucraini. Nel contempo si compiva la distruzione dell'ospedale battista al-Ahli di Gaza City, il 36 esimo ospedale colpito dalle forze armate israeliane, cui è seguito l'attacco all'ospedale da campo Kuwaiti, nella mega tendopoli di al-Mawasi, a sud di Gaza. Solo il 14 marzo scorso, nonostante la tregua, un'altra strage aveva causato la morte di almeno 400 palestinesi, tra cui donne e bambini.
Sulle pagine di Micromega Cinzia Sciuto ha segnalato l'ipocrisia del doppio standard: Russia e Israele vanno condannate sullo stesso piano. La federazione russa sta conducendo una guerra di aggressione e una serie infinita di crimini di guerra e contro l'umanità: dalle stragi di civili come quelle di Bucha ai continui bombardamenti indiscriminati che hanno comportato la distruzione di beni civili e otre 40.000 vittime tra la sola popolazione civile. Non meno sciagurata è la responsabilità del governo israeliano di Netanyahu: non può più appellarsi al massacro di Hamas del 7 ottobre per giustificare le incommensurabili distruzioni, la strage ininterrotta di 55.000 civili per annientare il popolo palestinese costringendolo all'esodo e per affermare la propria egemonia in Medio Oriente. Non a caso il filosofo israeliano Omri Boehm ha parlato di «disumanizzazione totale».
La delegittimazione della CPI
Di fronte al dramma del coinvolgimento dei civili nelle nuove guerre non sono mancate le incriminazioni per crimini di guerra e contro l'umanità della Corte penale internazionale, eppure scetticismo e riserve sono state espresse per la giustizia internazionale da un'opinione pubblica disinformata e da diversi leader occidentali: hanno criticato la Corte rivendicando l'immunità per Netanyahu, non rendendosi conto che il “doppio standard” avrebbe delegittimato l'intero sistema della giustizia internazionale.
In Italia la delegittimazione della Corte è stata anche più strutturata. Con l’ipocrisia di un apparente garantismo si è invocata l’immunità dei capi di stato responsabili di crimini di guerra – una vera e propria aberrazione dei principi fondamentali del diritto internazionale umanitario affermatisi dai tempi del Tribunale di Norimberga – e si è arrivati a non dare esecuzione al mandato d’arresto emesso dalla Corte penale dell’Aja nei confronti del torturatore libico Almasri. Inoltre giace incompiuto un Codice dei crimini internazionali, peraltro già espunto della parte relativa ai crimini contro l'umanità previsti dallo Statuto della Corte penale internazionale.
Giuristi autorevoli hanno lamentato più volte questa inerzia, ma tutto tace: sarebbe prevalso il timore che il sistema della giustizia internazionale possa esporre l'Italia a procedimenti sulle scelte compiute in tema di politiche migratorie (sull'attuale regime di trattenimento e respingimento dei migranti, con incluse le corresponsabilità sulle torture in Libia), nonché su alcuni casi di abusi nelle carceri.
In ogni caso in Italia l'attuale leadership ha preso le distanze dallo Statuto della Corte penale internazionale, rinunciando a sostenere il più avanzato sistema di codificazione del diritto internazionale umanitario grazie al quale sono stati incriminati Putin e Netanyahu, i leader responsabili delle morti e delle distruzioni delle guerre a noi più vicine. Anche se non saranno arrestati (ma nella Storia vale la regola del 'mai dire mai'), l'incriminazione della Corte penale dell'Aja rappresenta comunque il più riprovevole giudizio per un leader che voglia misurarsi in termini di credibilità e autorevolezza con il resto della comunità internazionale.
Reagire alla logiche dei "nuovi imperi”
Il tema della esasperazione della violenza bellica è stato oggetto anche delle ultime manifestazioni che hanno invocato la pace, ma occorrerebbe andare oltre per promuovere proposte costruttive. È ancora dalla società civile che potrebbe essere rilanciata l'attenzione su questo insistente coinvolgimento della popolazione civile nei conflitti armati, un dato che non può assolutamente essere considerato come per assodato e inevitabile, in nessun caso, anche nelle "nuove" guerre.
Soprattutto dalle università, dagli studiosi del diritto e della scienza politica, questo tema dovrebbe essere rilanciato con maggiore consapevolezza per sensibilizzare le opinioni pubbliche perché le leadership dei governi assumano iniziative conseguenti in tutti i contesti internazionali. In Italia si è commemorato l' 80° Anniversario della Liberazione, a ricordo della Resistenza contro il nazi-fascismo, un momento emblematico in cui la società civile, in tutte le sue varie componenti ideologiche ed espressioni del 'popolo', ricercò con convinzione il ritorno ad una «pace giusta»: fu il processo che già nel 1941 con il Manifesto di Ventotene aveva guardato all'integrazione europea come condizione di pace e libertà, e che sul piano interno si completò nelle fasi fondative della Repubblica e della Costituzione.
Ma quel 1945 fu un anno foriero di grandi novità anche sul piano globale: a giugno sarà commemorato pure l'80° Anniversario della Carta delle Nazioni Unite, uno statuto reso spesso fragile dai veti delle grandi potenze ma che pure è stato strumento di pace in tante altre occasioni. Su questo documento che sarebbe il caso di rileggere gli Stati che intendono emanciparsi possono ancora credere per riaffermare il principio di eguaglianza e il multilateralismo nelle relazioni fra Stati, insieme ad un'altra regola fondamentale: il divieto di aggressione, che sancisce l'illegittimità dell'uso della forza nelle controversie internazionali.
Eccoci allora alla necessità di dare un senso alla indignazione per le stragi di civili di questi giorni. Occorre guardare oltre: è del tutto evidente un disegno revisionista dell'ordine internazionale, dove i nuovi autocrati più che ricercare una «pace giusta e duratura» nell'interesse degli ucraini, dei palestinesi, o dell'umanità, ragionano in base ai loro rapporti di forza e mirano ad una nuova Yalta, per accordarsi sui loro interessi e sulla ripartizione delle egemonie: da qui la conferma della «disumanizzazione totale».
Lo dimostra anche quanto sta accadendo sui negoziati per l'Ucraina e per Gaza dove le iniziative in corso non hanno portato a nulla se non allo stillicidio delle stragi. Anche la guerra commerciale dei dazi lanciata da Trump ha tradito l'idea di un Occidente delle democrazie e dimostra da quale parte provenga ora un'altra minaccia concreta al multilateralismo e all'ordine internazionale: si è stravolto anche il principio della cooperazione economica che nella Carta delle Nazioni Unite è sancito come base dello sviluppo sociale dell'umanità.
Il ruolo dell'Europa per la pace e l'ordine internazionale
Di fronte a questi scenari, l'Europa potrebbe riassumere un proprio ruolo nel proporsi con più convinzione di fronte alla comunità internazionale rivolgendosi prima di tutto a quel Global South (cominciando dal Medio Oriente) che è anch'esso sconcertato di fronte alle logiche dei 'nuovi imperi'. L'Unione Europea può puntare sulla propria esperienza nell' aver costruito uno spazio politico ed economico comune, basato sui principi di eguaglianza e di cooperazione nelle relazioni fra Stati. Dall'Europa può dunque nascere anche un modello di mediazione credibile per il resto della comunità internazionale, ripartendo dalle tappe compiute nel passato.
È necessario ripercorrere perciò l'esperienza tutta europea delle Convenzioni dell'Aja e di Ginevra, e dell’approccio alla cooperazione nei rapporti tra Stati consolidati in passato con tanti strumenti, come la stessa UE, il Consiglio d’Europa, l’Atto finale di Helsinki e l’Osce. Soprattutto è fondamentale che si rilanci il multilateralismo delle Nazioni Unite convocando una Conferenza Internazionale per la Pace e l'affermazione del Diritto Internazionale Umanitario.
L'obiettivo dovrà puntare alla riconoscibilità di un nuovo organismo permanente che abbia l'autorevolezza di porre all'attenzione questi temi, un Ente morale accettato universalmente nell'ambito dell'Onu, che potrebbe prevedere ad esempio la partecipazione del Movimento della Croce Rossa/Mezza Luna Rossa Internazionale, delle rappresentanze religiose mondiali e delle ONG riconosciute 'difensori dei diritti umani', cui affidare due missioni essenziali: mitigare le conseguenze dei conflitti internazionali e mediare i negoziati per la pace richiamando le regole del diritto internazionale.
Non si può aspettare che deflagri la terza guerra mondiale – che stavolta potrebbe essere davvero catastrofica – per poi ritornare a parlare di pace e diritto internazionale. Se si determinasse su queste iniziative una maggiore sensibilità della società civile – a partire dal mondo accademico che può coinvolgere le giovani generazioni – i governi e le diplomazie non stenterebbero a trovare le soluzioni, come è accaduto nel passato.
Il futuro non può essere ancora compromesso da scelte di potenze irresponsabili: è bene che la società civile della nostra Europa chiami i suoi leader responsabili a confrontarsi e a sollecitare il resto della comunità internazionale, per promuovere regole e principi universali stavolta non più derogabili, in nome appunto di un «Diritto dell'Umanità». Potrebbe essere questo un senso compiuto da dare agli 80 anni che si compiranno a giugno dalla nascita delle Nazioni Unite.
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