La Germania è sul banco degli imputati a Washington, accusata di essere stata troppo tiepida e accondiscendente negli ultimi decenni con Mosca.

Berlino avrebbe abdicato alla sua funzione di paese leader dell’Unione europea in materia di difesa e sicurezza delle forniture energetiche. Ad aprire le ostilità verso la «potenza europea riluttante» è stato David Harsanyi, sulla rivista americana conservatrice National Review, in una caustica analisi dove ha ricordato che Berlino spende per la difesa solo l’1,38 per cento del Pil rispetto al 2 per cento minimo promesso agli alleati. Non solo.

La Germania ha fatto «pressioni a Washington per fermare le sanzioni economiche e trovare un’intesa con il Cremlino». Inoltre Berlino, dopo tante titubanze per bloccare l’avvio del gasdotto Nortd Stream 2 che congiunge la Russia alla Germania passando nel Mar Baltico, ha saputo fornire solo 5mila “elmetti” agli ucraini per la loro difesa dall’aggressione.

Troppo poco, troppo tardi da parte della maggior potenza economica del Vecchio continente.

La dipendenza energetica

Mentre la Russia invade l’Ucraina, vale la pena ricordare che non solo la Germania ha eliminato gradualmente (ma troppo in fretta) il suo programma nucleare, facendo sì che l’Europa dipenda sempre più dalle forniture dell’energia russa e aumentando il costo delle sanzioni per l’occidente.

Ma soprattutto la Germania non ha preso la Nato seriamente nel corso degli anni: nonostante i ripetuti richiami americani, a pagare il biglietto per la sicurezza atlantica è stata sempre principalmente Washington.

La maggiore potenza europea, invece, non ha pagato il biglietto, e ora i nodi di questa politica miope sono venuti al pettine. Certo, anche il presidente francese Emmanuel Macron non ha scherzato quando ha parlato della Nato come un’alleanza «cerebralmente morta», ma Angela Merkel e l’allora ministra della Difesa, Ursula von der Leyen, attuale presidente della commissione Ue, non hanno certo fatto molto di più per rivitalizzare la Nato.

Accuse infondate? Guardiamo i dati: i paesi membri dell’Alleanza atlantica hanno promesso di spendere almeno il 2 per cento del Pil per la difesa comune.

Ma prima dello scatenarsi della pandemia da Covid-19, solo nove delle 28 nazioni del patto lo avevano fatto: gli Stati Uniti, la disastrata Grecia, i tre paesi baltici (Estonia, Lettonia, Lituania), il Regno Unito, la Romania e la Polonia. La Turchia di Erdogan, la Francia, la Norvegia, la Slovacchia, la Croazia, il Montenegro e il Portogallo spendono di più per la difesa rispetto alla quarta economia più grande del mondo, che spende appena l’1,38 per cento.

Il Pil della Germania si avvicina ai 4mila miliardi di dollari e come se non bastasse ha reso noto agli altri paesi membri che la sua spesa per la difesa scenderà all’1,25 per cento del Pil nel 2024. Solo adesso promette di raggiungere la soglia del 2 per cento entro il 2031.

Le responsabilità tedesche

Se c’è una nazione che per la sua inerzia è responsabile indiretta dell'aggressione russa, questa è proprio la Germania. Invece, Berlino ha fatto pressioni sugli Stati Uniti per fermare le sanzioni e placare la Russia.

Illuminante l’affermazione su Twitter di Marcel Dirsus, analista politico tedesco presso l’Institute for Security Policy dell’università di Kiel in Germania, secondo cui «l’intera narrazione della politica estera tedesca che ha puntato tutto sul “cambiamento attraverso il commercio” è completamente fallita. Spero che ora diventi chiaro a tutti i tedeschi che non puoi dialogare o scambiare il tuo modo di ragionare con Mosca. È delirante e pericoloso».

Parole dure sulla pretesa che l’apertura commerciale con Mosca avrebbe favorito l’evoluzione del gigante russo verso un sistema liberal-democratico. Non è stato così.

Ma sarebbe stato sufficiente leggere con maggiore attenzione l’intervista che Lionel Barber, l’ex direttore del Financial Times, fece a Putin e la risposta del presidente russo alla domanda su cosa pensasse del sistema liberale: «L’approccio liberale è obsoleto ed è entrato in conflitto con gli interessi della maggior parte delle persone».

In un passaggio dell’intervista, Lionel Barber ha chiesto a Putin se non credesse che ora il mondo fosse più frammentato. «Certo – ha risposto Putin – perché durante la Guerra fredda tutti si attenevano alle regole. Ora sembra che non ci siano più regole, il mondo è diventato più frammentato e meno prevedibile e questa è la cosa peggiore».

La risposta rappresentava l’ammissione di Putin di voler tornare ai tempi della Guerra fredda, un passaggio che avrebbe dovuto essere preso seriamente come quando Putin alla Conferenza per la sicurezza a Monaco del 2007, davanti alla classe dirigente tedesca, ha ricordato che «la peggiore catastrofe del secolo scorso è stata la dissoluzione dell’Unione sovietica».

Eppure Berlino, per 16 anni con Merkel e in precedenza con Gerhard Schröder, esponente di punta del partito filorusso in Germania, ha continuato a commerciare e a credere di poter ricondurre Vladimir Putin a più miti consigli. Non è stato così e forse è giunta l’ora di fare ammenda pubblica di questa pericolosa illusione.  

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