Ottobre 1943, nella città polacca di Poznan Heinrich Himmler racconta a 92 generali delle SS che la «soluzione finale» obbedisce a una necessità vitale: dobbiamo sterminarli altrimenti loro stermineranno noi. Questo rovesciamento paradossale è tipico dei genocidi: ribaltando i ruoli lo sterminatore giustifica il massacro come necessario atto di autodifesa.

Sarebbe un insulto all’intelligenza (e alla memoria dell’Olocausto) paragonare Adolf Hitler a Vladimir Putin. Ma mentre la guerra-lampo si impantana e i colloqui che potevano fermarla al momento non producono risultati, dovremmo chiederci se accusando il governo ucraino di condurre un progetto genocida Putin non si sia messo, consapevolmente o no, su un piano inclinato in fondo al quale c’è una carneficina di vaste proporzioni.

Quanto più i militari russi subissero perdite e si convincessero che la popolazione ucraina è così ostile perché condivide la sinistra volontà attribuita alla sua leadership, tanto più perderebbero remore ad ammazzare civili. Quel limite sembra diventare di giorno in giorno più labile. Come confermano le immagini del blindato russo che investe e schiaccia senza motivo un’auto incrociata in strada.

Le «durissime sanzioni»

Se non si arrivasse presto a un cessate-il-fuoco e la carneficina diventasse una prospettiva verosimile, le «durissime sanzioni» decise dagli occidentali non basterebbro a scongiurarla. «Durissime sanzioni» sono in vigore da decenni contro Cuba, contro l’Iran, contro la Corea del nord, tutti regimi che si sono adattati all’assedio economico e anzi l’hanno usato per convincere una popolazione stremata che i fiaschi del sistema vanno addebitati alle manovre del nemico.

Applicate alla Russia quelle misure potrebbero dimostrarsi più efficaci ma non preverranno la ferocia, non proteggeranno la popolazione ucraina. Serve altro. Zelensky ha chiesto agli occidentali di proclamare l’Ucraina «no-fly zone», cioè di abbattere i caccia-bombardieri russi, ma Biden ha messo in chiaro che non intende rischiare la Terza guerra mondiale.

Eppure qualcosa andrebbe fatto. Per esempio: bombardare la Russia con la verità. Non la verità di una contro-propaganda occidentale, ma la verità dell’opposizione russa. Che andrebbe messa nelle condizioni di spiegare ai compatrioti come stanno le cose, cosa accade davvero in Ucraina (per dotarla degli strumenti tecnologici idonei andrebbero coinvolti in primo luogo quei giganti del Big Tech come Google che in settembre rimossero le app e i docs del movimento di Aleksei Navalny, il principale oppositore di Putin: è lecito attendersi un atto di riparazione).

Ma questo o analoghi sforzi d’immaginazione non sembrano nella capacità degli europei. Decidendo di oscurare due tv di stato russe che «diffondono bugie» la Commissione europea dimostra di non aver capito.

Questa non è una guerra tradizionale che può essere combattuta con metodi convenzionali. Al di là del fatto che anche tanti governi e media occidentali hanno taroccato le rappresentazioni delle “nostre” guerre, un’Europa che spegne “la propaganda del nemico” offre alla popolazione russa un’idea quantomeno opaca della Ue e dello stato di diritto liberale.

L’Ucraina non è la Cecenia

Non è certo così che si riuscirà a convincere i russi ad opporsi a una guerra che peraltro non li entusiasma. I media ne raccontano con distacco, quasi temendo che s’imponga all’attenzione della gente; e a Mosca la polizia ha ritenuto prudente spegnere con migliaia di arresti una dimostrazione pacifista.

Se la cognizione delle perdite e le verità che le sono negate raggiungessero l’opinione pubblica, l’indifferenza della maggioranza potrebbe volgere in ostilità contro l’invasione; e la determinazione dei soldati vacillerebbe. Ma questo non è un processo immediato. Per evitare massacri potrebbe essere più efficace far capire agli ufficiali russi che l’Ucraina non è la Cecenia, dove i loro misfatti restarono e resteranno invisibili.

Nel 2020 la Corte penale internazionale ha aperto un’inchiesta per crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi dal 2014 in Ucraina, soprattutto in Crimea e nel Donbass occupati da irregolari russi e secessionisti legati a Mosca. Venerdì scorso il pubblico ministero Karim Khan ha dichiarato l’intenzione di estendere il processo agli eventi in corso. Al contrario di Kiev, Mosca non riconosce la Corte penale (in sigla Icc) e dunque non le consegnerà mai suoi cittadini, almeno finché dura questo regime.

Ma questo non impedirebbe all’Icc di svelare crimini e di indicare per nome gli indagati, seppellendoli di ignominia. Quanto più la Corte penale desse segni di presenza, per esempio rendendo noto il dossier Crimea, tanto più i militari russi avrebbero convenienza a frenarsi.

Il ruolo dell’Icc

Probabilmente Washington non apprezzerebbe l’idea di attribuire all’Icc un ruolo nella guerra ucraina. Due anni fa, quando la Corte annunciò l’intenzione di indagare anche azioni americane in Afghanistan, l’amministrazione Trump arrivò a proibire l’ingresso del procuratore generale negli Usa pena l’arresto.

Ma quello era ancora l’occidente che il conflitto in corso adesso sconvolge, facendo emergere rischi ma anche opportunità impensabili ancora due settimane fa. L’Icc è un’invenzione molto europea (e anche molto italiana, tanto che il suo testo di riferimento è chiamato non a caso lo Statuto di Roma).

L’idea che ne è l’origine, l’universalità dei diritti fondamentali, dovrebbe essere sacra agli stati di diritto liberali. Il momento è propizio per acquisirla definitivamente all’identità politica del continente e sfruttarne le straordinarie potenzialità.

Il pacifismo

In questo occidente in trasformazione qualcosa sta cambiando, molto altro cambierà. Anche nel panorama politico. Nelle grandi manifestazioni contro l’aggressione russa va in piazza in questi giorni anche un equivoco: il pacifismo. Che è nobile, necessario, indispensabile per arginare entusiasmi russofobici, purché risolva le contraddizioni in cui si è imprigionato.

L’occasione è propizia. Chi manifesta per la pace in Ucraina potrebbe ammettere finalmente che esistono guerre giuste, essendo giusta, giustissima la guerra che gli ucraini combattono per difendere un valore superiore alla pace, la libertà. Chi grida «Putin assassino» non dovrebbe dolersi se anche l’Italia fornisce agli aggrediti le armi per difendersi.

Non sempre le armi sono il male: talvolta diventano l’unico mezzo per dare una possibilità al bene. Chi lo nega barricandosi dietro l’articolo 11 della Costituzione, «l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali», non dovrebbe dimenticare che quella Carta è stata scritta perché ottant’anni fa alcuni italiani (non molti, in verità) fecero l’unica scelta onorevole, patriottica, giusta: imbracciare le armi e combattere il fascismo.

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