Mosca, fino all’ultima censura: la lenta agonia del web russo

La porta ormai è quasi chiusa. Il web era ed è l’ultimo spiffero d’aria libera capace d’ossigenare il cervello dei russi che dicono no alla propaganda. Ancora qualche mese e si tornerà a 1984, a Fahrenheit 451 o al meno conosciuto Noi di Evgenij Zamjatin. Stando alle dichiarazioni di Andrej Svincov, vicepresidente della Commissione per la politica dell’informazione, le tecnologie dell’informazione e le comunicazioni della Duma di stato, «YouTube sarà completamente limitato in Russia entro 6-12 mesi. Ciò è dovuto al suo continuo disprezzo per la legislazione russa vigente. Chiunque utilizzi questa piattaforma per promuovere i propri contenuti dovrebbe passare rapidamente a piattaforme alternative, come Rutube, VK Video (il Facebook russo, ndr) e altre. I propri contenuti dovrebbero essere promossi su piattaforme russe o che non siano coinvolte in azioni contro la Federazione Russa e i suoi cittadini. Il Roskomnadzor (l’organo federale che monitora e controlla l’accesso ai mass media in Russia, ndr) implementerà gradualmente alcune restrizioni fino alla completa eliminazione di YouTube». Per stabilire quanto Svincov – 47 anni – sia presente a sé stesso, è sufficiente sapere che nel 2015, nei giorni immediatamente successivi all’abbattimento di un caccia russo in Turchia, protestò perché nella mensa della Duma di stato venivano venduti dolci di fabbricazione turca. Ne chiese il divieto di vendita e un’ispezione per verificarne la conformità alle norme sanitarie. Svetlana Gannushkina: «Putin sogna l’Urss ma i suoi obiettivi stanno andando in frantumi» La scure Secondo Svincov, qualsiasi cooperazione con le imprese turche avrebbe dovuto essere considerata un finanziamento al terrorismo. Il deputato è noto altresì perché due anni fa ha dichiarato che i vip russi migrati all’estero dopo l’invasione dell’Ucraina avrebbero dovuto essere fustigati in Piazza Rossa. Tornando alle questioni serie, YouTube è l’ultimo grande gigante della rete che verrà investito dall’ombra del Cremlino. Già da mesi il portale barcolla sotto i colpi del throttling, cioè della limitazione della velocità da parte del fornitore pubblico dei servizi di rete. Questa tecnica di boicottaggio è ormai in atto dall’autunno del 2024 e si stima che da allora il portale viaggi a circa il 10 per cento della sua normale capacità di trasmissione. Sotto la scure delle autorità russe sono poi cadute anche Whatsapp e Telegram. Ormai, senza una linea Vpn di buon livello – una rete privata virtuale che permette una connessione sicura e crittografata, nascondendo l’indirizzo Ip e le proprie attività online, garantendo così la privacy – è molto difficile portare avanti una conversazione telefonica. Meno peggio invece sul versante dei messaggi scritti, ma siamo sempre nel solco della tendenza progressiva al controllo totale. Questione di tempo. In Russia, la stretta finale sul web è ovviamente iniziata all’indomani della guerra in Ucraina. Poco prima che i carri armati varcassero i confini del Donbass, un primo provvedimento ha imposto alle grandi piattaforme internet (social, motori di ricerca, marketplace) la costituzione in persona giuridica o l’apertura di un ufficio in loco per ciò che concerne le richieste di rimozione e cooperazione. A marzo 2022, è arrivata la legge che ha ampliato le norme sul controllo dei contenuti online considerati “fake news”, ampliando i poteri di blocco e rimozione dei contenuti online da parte di Roskomnadzor (naturalmente senza mandato giudiziario). A dicembre è infine arrivata l’estensione della legge sulla propaganda omosessuale ai contenuti online: Apple è stata recentemente multata proprio perché ha trasgredito tali norme. Dunque è nel corso dell’ultimo anno che è arrivata l’accelerazione finale. Oltre a tutta un’altra serie di obblighi e controlli, dal 2025 è diventato illegale pubblicare guide, recensioni o elenchi di strumenti che permettono di aggirare i blocchi statali (Vpn, proxy, mirror). Ciò ha significato decine e decine di migliaia di provvedimenti amministrativi e penali. In sostanza non si combatte nemmeno più l’illecito: si combatte la semplice possibilità che venga compiuto. Siamo nel campo della pretesa di controllare le intenzioni. Bentornato, compagno Stalin: così Putin riabilita il dittatore La grande caserma E se si pensa che il potere stia scherzando, sarà il caso di scrivere in carcere a Dmitrij Talantov, avvocato, presidente dell’Ordine degli avvocati della sua regione, sette anni di condanna per i commenti critici sulla guerra e sul governo (il reato è diffusione di notizie false sull’esercito e incitazione all’odio), oppure a Roman Ušakov, blogger, 8 anni per contenuti Telegram (anche lui colpevole di fake news sull’esercito e incitazione all’odio), oppure a Marija Ponomarenko, 6 anni per un post sulla distruzione del teatro di Mariupol, oppure ad Aleksandr Skobov, storico, dissidente già ai tempi dell’Urss, 16 anni per affermazioni fatte attraverso i social media, oppure a centinaia di altre persone private della libertà per un semplice post. La grande caserma Russia non ha avuto pietà nemmeno per Diana Loginova, diciottenne di San Pietroburgo che cantava per strada canzoni di band designate come “agenti stranieri” (è il modo di dire sgradite al governo). Naoko, questo il nome d’arte, è stata arrestata e detenuta per diversi giorni. Quello russo è un contesto nel quale colpisce la linea di comportamento tenuta dai colossi del web, da anni palesemente in difficoltà e incapaci di fornire strumenti a supporto di chi nel paese ha voglia di verità. Come sottolineato dal Cesarc (Centro Studi e Analisi sulla Russia Contemporanea) dell’università Tor Vergata di Roma, le Big Tech spesso colpiscono involontariamente i dissidenti. Per non rischiare di finanziare la propaganda di stato, Google, YouTube, Meta hanno infatti applicato restrizioni generiche alla monetizzazione di tutti i canali russi. Il risultato è che i canali filogovernativi possono contare sui finanziamenti di stato mentre quelli portati avanti dai dissidenti – si citano i casi di Vera Afanas’eva e Aleksandr Gorbunov, rispettivamente professoressa di filosofia dell’università di Saratov e giornalista-blogger, entrambi seguiti online da centinaia di migliaia di persone – rimangono a secco, senza alcuna entratura economica. Max, la Whatsapp putiniana: le chat sotto il controllo del governo Una lenta eutanasia La vicenda della morte del web in Russia è una vicenda di lenta eutanasia che arriva dopo la caduta degli altri media, in primis tv e giornali. Nonostante tutto questo, stupisce la vitalità e il coraggio di chi nel paese non rinuncia a raccontare la realtà per quella che è, prendendosi così una libertà che potrebbe costare molto cara. La tendenza nel campo dei media, come del resto negli altri settori economici, è quella di statalizzare e centralizzare. Il Cremlino capisce che certe forme di comunicazione non possono ormai essere abolite per legge e corre ai ripari offrendo ai russi applicazioni dello stesso tipo (ovviamente meno efficienti) ma controllate dal potere: è il caso, ad esempio, di Max, il sistema di messaggistica che dovrebbe soppiantare WhatsApp e Telegram. Nata nel 2025, l’applicazione conta già 55 milioni di utenti, segno che una buona parte della società si sta adeguando. Fino a quando non è chiaro, perché la società russa non è sovrapponibile a quella del Turkmenistan o della Corea del Nord. C’è una Russia profonda che si parla e alla quale l’Occidente, purtroppo, non dice una parola.