206 soldati in tutto sono stati scambiati attraverso la mediazione degli Emirati Arabi Uniti. Il presidente Biden prende ancora tempo sull’autorizzazione all’uso dei missili in territorio russo
La Russia e l’Ucraina si sono scambiate 206 prigionieri di guerra – 103 per parte – tra cui i soldati russi catturati dall'esercito ucraino durante il raid al confine nella regione di Kursk. Il ministero della Difesa russo ha dichiarato in un comunicato che ciascuna delle due parti ha scambiato i soldati con la mediazione degli Emirati Arabi Uniti. Quanto all’uso dei missili occidentali in territorio russo il presidente Volodymyr Zelensky per ora può attendere. Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden e il primo ministro britannico, il laburista Keir Starmer, non hanno sciolto la riserva.
Il dossier è sul tavolo da settimane e negli ultimi giorni si erano accelerate le dichiarazioni di apertura di Biden e Starmer, ricevuto per la prima volta alla Casa Bianca: Stati Uniti e Gran Bretagna intendono autorizzare Kiev a usare i missili occidentali a lungo raggio per colpire in profondità il territorio russo.
Ma c’è un “ma” grosso come la Casa Bianca: secondo il New York Times il via libera riguarderebbe al momento armi non americane, quindi non i missili Atacms - o almeno non subito, ritiene Politico - ma solo i britannici Storm Shadow, per i quali il premier laburista ha cercato l'approvazione di Washington, perché usano la rete satellitare e la tecnologia Usa. Londra li ritiene «cruciali». Per gli Stati Uniti, invece, «non c'è alcun cambio nella politica» sull'uso delle armi a lungo raggio da parte dell'Ucraina, ha spiegato il portavoce del Consiglio nazionale di sicurezza Usa, John Kirby.
Il piano di J.D. Vance
Kiev non ci sta. Basta guardare «su una mappa da dove la Russia colpisce, dove prepara le forze e mantiene le riserve, dove colloca le strutture militari» per «capire a cosa servano le armi a lungo raggio», ha insistito il presidente Volodymyr Zelensky che, intanto, prepara il suo «piano della vittoria» da illustrare a Biden nei prossimi giorni e annunciato in pompa magna a Cernobbio, e un nuovo vertice globale di pace per novembre al quale, stavolta, sarà invitata anche Mosca. Anche i repubblicani hanno fatto la loro proposta di pace “putiniana”: il candidato alla vicepresidenza, il senatore J.D. Vance, ha esposto, intervenendo al The Shawn Ryan Show, un possibile approccio dell'amministrazione Trump per porre fine al conflitto, affermando che la gestione del conflitto da parte del tycoon potrebbe includere l'istituzione di una «zona demilitarizzata» nel territorio ucraino ora occupato dalla Russia.
L'Ucraina - ha aggiunto manterrebbe la sua indipendenza in cambio di una garanzia di neutralità, il che significa che l'Ucraina non si unirebbe alla Nato o ad altre «istituzioni alleate». Proprio quello chiesto da Putin, di trasformare l’Ucraina in una Finlandia dei tempi dell’Urss. La zona demilitarizzata proposta, ha aggiunto Vance, sarebbe «fortemente fortificata in modo che i russi non possano invadere di nuovo». C’è un piccolo problema: come si possa fortificare una zona demilitarizzata resta un mistero per chiunque. Comunque è l’opposto dell'amministrazione Biden, che si concentra sulla fornitura di assistenza militare, insieme all'Europa, per aiutare l'Ucraina a respingere l'aggressione russa.
La posizione Ue
Quanto all’Europa l'ipotesi di colpire in territorio russo continua ad agitare l'Unione che «non ha una posizione comune» sulla revoca alle restrizioni all'uso delle armi fornite a Kiev. L'Italia ad esempio - ha confermato il ministro degli Esteri Antonio Tajani - è contraria ad allargarne il raggio d'azione: le armi italiane servono a difendere la popolazione civile ucraina all'interno del suo territorio perché non siamo in guerra con la Russia, è la posizione di Roma. La Germania ha invece azzerato il problema sul nascere rifiutandosi da subito di inviare a Kiev i propri missili a lungo raggio, i Taurus, nel timore di un'escalation del conflitto.
Da Mosca una prima reazione al passo in avanti britannico si è già concretizzata con il ritiro dell'accreditamento a sei diplomatici del Regno Unito accusati di «spionaggio» da un'indagine dell'Fsb che li ritiene «una minaccia alla sicurezza della Russia». Accuse che Londra ha respinto come «infondate». «Non ci scusiamo per la tutela dei nostri interessi nazionali», ha rivendicato il Foreign Office. Non si tratta di interrompere le relazioni diplomatiche con la Gran Bretagna, ha replicato il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, ma è chiaro che la mossa di Starmer abbia esacerbato tensioni con uno dei Paesi più attivi nella difesa di Kiev.
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