La politica estera si fa confidenzialmente: i vertici si preparano con cura. I leader politici di oggi sono da troppo tempo nelle mani dei media per riuscire a parlarsi con discrezione ed efficacia. Ora l’Europa deve darsi una soda posizione unitaria: l’Italia utilizzi le sue tradizionali capacità di mediare
Non si fa politica né tantomeno politica estera a favore di telecamere. È giunto il momento di ammettere che i leader politici di oggi sono da troppo tempo nelle mani dei media per riuscire a parlarsi con discrezione ed efficacia. Urge il riserbo che solo la diplomazia può offrire.
Sull’Ucraina per ciò che concerne le questioni militari, alti ufficiali americani e russi già si parlano (non hanno mai smesso di comunicare) e sono loro a trattare la parte hard dell’eventuale futura pace: territori, nuovi confini, schieramenti, armi, disarmo, truppe di interposizione.
È materia molto delicata che i politici non possono discutere nei dettagli. Ma è necessario comunque che a un certo punto la politica decida. E qui entrano in gioco i diplomatici che devono negoziare il quadro in cui i militari si possono muovere: i limiti e la tempistica. Perché le cose funzionino i leader dovrebbero giungere solo alla fine del processo: la loro presenza infiamma il dibattito complicandolo, soprattutto quando fa spin con i media come sempre accade oggi.
il riserbo della diplomazia
L’incontro alla Casa Bianca tra Donald Trump, J.D. Vance e Volodymyr Zelensky lo dimostra ampiamente: bastava guardare l’ambasciatrice ucraina a Washington che quasi si è messa a piangere coprendosi la faccia mentre il suo presidente battibeccava con i due americani, quasi fossero al bar. C’è da scommettere che i tre leader abbiano deciso di fare tutto da soli, senza affidarsi all’aiuto dei loro rappresentanti. Trump fa spesso così, ma pure Zelensky.
Di conseguenza sono arrivati impreparati e si sono piantati. Sembrava fossimo in una puntata di The Apprentice, con Trump che, infastidito dalle sue resistenze, diceva a Zelensky «You are fired!». Incontri di questo tipo vanno preparati al millimetro, tanto da risultare perfino noiosi per la stampa. Il linguaggio che si utilizza deve essere distillato con cura. La fine di un conflitto è il negoziato più complesso che vi sia. La lezione che si apprende è che andare in ordine sparso non conviene.
Emmanuel Macron non ha ottenuto risultati probanti: appena andato via sono stati annunciati dazi all’Europa del 25 per cento. Così anche Keir Starmer non ha fatto miglior figura, malgrado la retorica sulla “relazione speciale” Usa-Uk. Trump in questo momento pare dirci che ha fretta e problemi finanziari: fretta di concludere la guerra con Vladimir Putin e cash da ottenere con i dazi (o al limite dalla vendita del debito americano) e dal risparmio sulle spese militari.
È strano che la superpotenza dia tali segnali di debolezza in modo aperto, ma si coniuga bene con le debolezze russe e cinesi. In sintesi: siamo in una fase in cui la deregolamentazione e l’interconnessione globali hanno fatto scoprire alle tre grandi potenze di avere delle fragilità. Troppo legate per potere fare a meno l’una dell’altra, troppo competitive per poter mettersi d’accordo.
Tutto ciò che sta in mezzo è di intralcio: Ucraina, Unione europea, Germania, Canada ma anche (come si vedrà) altre potenze medie che si sono allargate in questi ultimi 15 anni e che vorrebbero fare da sé. La Russia ha fatto una misera figura militare in Ucraina; Pechino è alle prese con una contrazione della crescita, la crisi della via della seta e un’altrettanto grave crisi demografica. Da parte americana non si è nuovi ad “abbandoni” dei propri alleati, anche se con toni diversi.
il ruolo dell’Ue
Cosa deve fare l’Europa? Due cose sono alla sua portata: da una parte trovare una vera posizione unitaria sia sul negoziato con Putin che sull’atteggiamento da tenere nell’incipiente guerra commerciale con gli Usa. Il fallimento dell’incontro Trump-Zelensky paradossalmente la rimette in gioco: solo l’Unione potrà ricucire un rapporto tra americani e ucraini se non addirittura fare da avvocato.
Se per trovare tale unità occorrerà prendere provvedimenti contro stati membri riluttanti (tipo Viktor Orbán) poco male: meglio qualcuno in meno per trovare quella coesione oggi indispensabile. Nel tempo della forza tale unità è il solo modo per resistere alle intemerate trumpiane e farsi rispettare anche da Putin.
In secondo luogo l’Europa deve darsi degli emissari che facciano la navetta riservata tra le due sponde dell’Atlantico. Questo è lo spazio dell’Italia. È corretto che non bisogna aggiungere “caos al caos”: la relazione europei-americani deve essere sanata e non potrà esserlo con incontri di vertice anche ripetuti. C’è bisogno di silenzio e di lavoro, non di passarelle o visite pubbliche che si svolgerebbero sotti i riflettori.
Prima vanno attivati tutti i canali conosciuti: non è un gioco comunicativo, ma di diplomazia profonda. Clash di questo tipo provocano reazioni a catena che non fanno che aggravare il quadro. La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, incarichi un suo inviato di fiducia che faccia la spola confidenzialmente, ricucia e crei le giuste condizioni per un faccia a faccia tra leader ben preparato.
I temi sono ormai tanti e occorre fare presto.
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