Proviamo a immaginare cosa accadrebbe se un sito italiano ospitasse un’invettiva contro gli ebrei, un raglio che muovesse dalla tesi classica dell’antisemitismo – gli ebrei risultano perniciosi ovunque vivano – per arrivare a una conclusione genocidaria: «Vanno eliminati». Eliminati fino all’ultimo, «perché sono come il cancro, e voi sapete che non è possibile eliminare un cancro all’80 per cento, occorre estinguerlo totalmente». Probabilmente i responsabili del sito verrebbero denunciati per istigazione all’odio, i collaboratori considerati stupidi razzisti, i fruitori visti con sospetto. Seguirebbero salutare sdegno e rabbiose polemiche. Ora sostituiamo “ebrei” con “palestinesi” e avremo il video da giorni nella prima paginata del sito informazionecorretta.com senza che alcuno finora abbia protestato, indagato, intimato.

A sostenere che non solo Hamas, ma in generale «i palestinesi sono un cancro e vanno eliminati» è l’americano-libanese Brigitte Gabriel. La sua concione, consegnata a un intervistatore amichevole, è stata trasmessa da una tv di Las Vegas. Il sito italiano che l’ha ritrasmessa è stato fondato nel 2001 da Fiamma Nierenstein, già senatrice di Forza Italia, e Angelo Pezzana, radicale pannelliano, e si presenta nel frontespizio con un esplicito garrire della bandiera israeliana.

Ogni mattina la sua rassegna-stampa elenca gli articoli apparsi sui media italiana giudicati meritevoli e quelli invece esecrati. La discriminante è l’atteggiamento verso il governo Netanyahu, di cui informazionecorretta.com è un fervido sostenitore. Al momento sotto tiro sono i “falsi ebrei”, come Moni Ovadia e Gad Lerner, e i giornalisti del Corriere Giusi Fasano e Davide Frattini, della Rai Lucia Goracci, di Mediaset Elia Milani: si preferirebbe, par di capire, siano sostituiti da colleghi graditi al sito.

Informazionecorretta.com svolge funzioni didascaliche: mostra senza ritegni cos’ha nel cuore la destra israeliana, di cui rappresenta una sorta di filiale italiana; e spiega, giustificandole, le politiche del governo Netanyahu, quasi ne fosse una diramazione.

Ma soprattutto offre un esempio di quella destra radicale globale in cui si raccordano i sostenitori internazionali di Netanyahu, l’America trumpiana e i partiti che a Strasburgo formano il gruppo Patrioti per l’Europa (dalla Lega a Orbán, agli spagnoli di Vox, ai francesi di Marine Le Pen, con il Likud di recente aggregato nel ruolo di “osservatore”). Quest’Anti-Europa condivide ostilità – Ue, migranti, arabi, musulmani, Lgbt – ma non si può dire abbia elaborato un’ideologia nitida, anche se i lavori sono in corso. Però sta creando un’atmosfera.

Cosa scandalizza, e cosa no

Beninteso, sostenere in astratto che un gruppo umano vada cancellato non vuol dire adoperarsi per cancellarlo. Potremmo considerare quel «eliminare i palestinesi» una vuota espressione bombastica, una tronfia provocazione.

Ma poiché viene proposta mentre una porzione sia pur piccola di palestinesi viene effettivamente tolta di mezzo quantomeno dobbiamo sospettare che chi non la trova ripugnante non protesterebbe se il massacro si estendesse a sterminio totale, un genocidio. O se un altro gruppo umano considerato contiguo a quelli da sterminare, per esempio quanti in Occidente si oppongono con veemenza alla guerra israeliana, fosse perseguitato, detenuto, esiliato. Ragione per la quale la decisione di Informazionecorretta.com di trasmettere il video e soprattutto l’assenza di reazione riguardano anche noi.

Perché quel «eliminare i palestinesi» non scandalizza, quasi che idee del genere ormai facessero parte del new normal? Potremmo spiegarlo con una generica avversione ai palestinesi o con una specie di affaticamento dell’opinione pubblica, come se la disponibilità a reagire fosse stata saturata da guerre troppo a lungo in corso. Sta di fatto che pare crescere una diffusa indifferenza ai diritti umani e alle violazioni di quelli. Come in fondo confermano anche i sondaggi relativi alla guerra in Ucraina: tolto quel 15 per cento che incredibilmente sta con Putin, e quel residuo 30 per cento rimasto dalla parte di Kiev, la maggioranza si dichiara «neutrale». Che è un modo anodino per dire: ci hanno stufato, non ce ne importa un accidenti che uno sia l’aggressore e l’altro l’aggredito, non ci sono innocenti, se la vedano tra loro.

Non si può negare che vari segmenti della sinistra illiberale abbiano contribuito al diffondersi dell’indifferenza verso i principi minimi del diritto umanitario. Se è piccola la minoranza che ha difeso il pogrom di Hamas come atto legittimo di resistenza anticoloniale, invece è largamente diffusa l’indifferenza all’agonia degli ostaggi. O anche, quando si discute di Ucraina, l’abitudine a vituperare chi difende Zelensky come «bellicista», servo della Nato, piazzista dell’industria bellica, imbecille, guerrafondaio, eccetera (ma c’è anche un pacifismo che non pratica il rancore e la falsificazione, senza per questo evitarsi d’essere e azzannato dall’ultra atlantismo). Però in Europa questa sinistra illiberale non governa né può reprimere, non controlla gruppi editoriali, non ha artigli istituzionali, eserciti, polizie.

Al contrario la destra radicale talvolta ha i mezzi, e soprattutto un poderoso leader in Donald Trump. Il presidente americano dà il tono al new normal con il suo incessante attacco ai difensori dello stato di diritto liberale, last but not the least ricorrendo a un vocabolario nel quale il termine “palestinese” risulta un insulto (a proposito di Chuck Schumer, moderatissimo leader dei Democrats al Senato: «Non è più un ebreo, è diventato un palestinese»).

Il “nemico interno

Sovrapporre un’identità etnica e una identità politica è un’operazione tipica di quei nazionalismi che tratteggiano l’avversario come un’entità doppia, straniera e domestica. È di fronte ma anche alle nostre spalle, dove opera come quinta colonna. È gente estranea alla nostra comunità, ma anche un pensiero politico. È “the enemy within”, il nemico interno, definizione che Trump e Vance riferiscono tanto ai migranti clandestini, considerati in potenza assassini e terroristi, e ai migranti naturalizzati o in via di naturalizzazione, se portatori di convinzioni sgradite all’amministrazione, quanto ai liberals che ne difendono i diritti: chi sta dalla parte dell’invasore non può che essere un traditore.

Questa retorica trova corrispettivi in Europa, anche in quei settori moderati e conservatori dove furoreggia la categoria di “islamo-gauchisme”, inizialmente usata per condannare la sinistra radicale (che pure ha le sue colpe), poi rivolta da parte dell’accademia francese a scuole di pensiero sgradite come l’intersezionalismo, infine usata con disinvoltura contro chiunque difenda cause umanitarie.

Con l’islamo-gauchisme siamo ancora molto lontani dall’ossessione dei fascismi per il “bolscevismo giudaico”, ma non dall’idea trumpiana di una sinistra “pro-Pal” e woke che ha infiltrato l’America e va rimossa, innanzitutto dalle università.

E a questo, “ripulire” le università, Trump si sta applicando, con l’obiettivo di esercitare un controllo su corsi di studio, corpo accademico, attivismo politico degli studenti, un po’ come avviene nei regimi autoritari. Siamo nell’anticamera di un nuovo maccartismo, senza neppure l’equivalente di una minaccia sovietica come alibi? E siamo sicuri che non corra rischi l’Europa, affollata com’è di piccoli Trump, aspiranti nuovi “Giuseppi” di Trump, pontieri senza ponte e giornalisti trumpettieri?

Mentre i governi europei assistono senza reazioni apprezzabili al procedere americano-israeliano verso la “pulizia etnica” nella futura Riviera di Gaza, magari attraverso la “deportazione volontaria” di una parte degli abitanti, giova ricordare il sermone di padre Martin Niemoller: «Quando i nazisti presero i comunisti / io non dissi nulla/ perché non ero comunista./ Quando rinchiusero i socialdemocratici/ io non dissi nulla/ perché non ero socialdemocratico./ Quando presero i sindacalisti/ io non dissi nulla/ perché non ero sindacalista./ Poi presero gli ebrei/ e io non dissi nulla/ perché non ero ebreo./ Poi vennero a prendere me./ E non era rimasto più nessuno che potesse dire qualcosa».

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