A meno di dieci giorni dalle elezioni in Turchia la vittoria dell’opposizione sembra sempre più probabile, ma una transizione politica pacifica non è così scontata. Nei suoi ultimi discorsi pubblici Recep Tayyip Erdogan ha usato parole molto dure contro i suoi avversari, inasprendo i toni del confronto politico e allarmando opinione pubblica e analisti.

In un comizio ad Ankara, il presidente uscente ha affermato che la sua nazione «non lascerà il paese nelle mani di qualcuno eletto grazie al sostegno di Qandil», un chiaro riferimento al leader dell’opposizione Kemal Kılıçdaroğlu e al partito filo-curdo Hdp. Le montagne di Qandil, situate al confine tra Iraq e Iran, sono la base del Partito dei lavoratori curdo (Pkk), considerato dalla Turchia un’organizzazione terroristica e legato, secondo Erdogan, all’Hdp, che ha di recente ufficializzato il suo appoggio al candidato dell’opposizione.

Il presidente in realtà ha fatto in parte marcia indietro rispetto a queste ultime dichiarazioni, affermando che il popolo turco non eleggerebbe mai un candidato che può contare sul sostegno di Qandil, ma le sue parole hanno ugualmente gettato un’ombra sull’esito delle prossime elezioni.

AP

A destare preoccupazione sono anche le affermazioni del ministro dell’Interno, Suleyman Soylu, che ha definito le elezioni un colpo di stato politico portato avanti con il sostegno dell’occidente e in particolare degli Stati Uniti, accusati di aver più volte di cercato di interferire negli affari interni della Turchia.

Soylu ha tratteggiato un parallelo tra le elezioni e il tentato golpe del 2016, lasciando intendere che le elezioni sarebbero parte di un piano più grande per imporre un cambiamento politico nel paese da parte di potenze straniere.

In un secondo momento, il ministro ha anche aggiunto che alcuni giornalisti che lavorano in Turchia sarebbero in realtà delle spie americane, sostenendo ancora una volta l’idea di una interferenza esterna nelle prossime elezioni.

Una tesi condivisa anche dal consigliere personale di Erdogan, Mehmet Uçum, secondo il quale una vittoria dell’opposizione sarebbe un duro colpo per l’indipendenza della Turchia e una minaccia all’integrità territoriale del paese. Per Uçum, in particolare, il rischio è che ad Ankara si installi un governo alle dipendenze dell’occidente e favorevole verso le istanze indipendentiste dei curdi.

All’inasprirsi dei toni usati dai rappresentanti politici del governo in carica ha fatto seguito anche un aumento delle violenze. Negli ultimi mesi si sono succeduti diversi attacchi contro le sedi dei partiti dell’opposizione e Kılıçdaroğlu è stato persino costretto a cancellare una visita ad Adiyaman, città del sud colpita dal terremoto, per questioni di sicurezza.

Una storia travagliata

Kyodo

La Turchia non è nuova a situazioni politiche così instabili. Il paese è stato scosso da diversi colpi di stato militari dagli anni Sessanta a oggi, non ultimo quello fallito nel 2016 a cui hanno fatto seguito arresti, purghe nelle istituzioni pubbliche e una forte limitazione dei diritti dei cittadini.

Gli anni tra il 2015 e il 2017 sono stati poi segnati da diversi attacchi terroristici che hanno interessato anche il periodo elettorale, colpendo in particolare il partito filo-curdo e i suoi sostenitori. In occasione delle elezioni anticipate del 2015, una bomba è esplosa a Diyarbakir durante un comizio tenuto dell’Hdp a giugno, causando la morte di quattro persone, mentre ad ottobre un altro attentato ha colpito una manifestazione organizzata sempre dal partito filo-curdo ad Ankara. In quell’occasione più di 80 persone hanno perso la vita.

Ma la violenza non è l’unico scenario che preoccupa l’opposizione. Nel 2019 Erdogan e la sua coalizione sono usciti sconfitti dalle elezioni locali, perdendo persino il controllo di Istanbul e Ankara, ma il risultato delle urne è stato ribaltato nel giro di poco tempo grazie all’uso strumentale della magistratura.

Più di cento sindaci, soprattutto dell’Hdp, sono stati arrestati con l’accusa di legami con organizzazioni terroristiche e sostituiti con esponenti della formazione al governo, mentre il partito filo-curdo e il primo cittadino di Istanbul, personaggio di spicco del principale partito di opposizione, sono al momento sotto processo. La vittoria dell’opposizione alle urne quindi non significherà automaticamente un passaggio tranquillo dei poteri, ma la speranza per un cambiamento politico non è ancora tramontata.

© Riproduzione riservata