Una sentenza storica negli Stati Uniti rischia di cambiare per sempre il mondo digitale. L’azienda sarà costretta a vendere pezzi strategici e a ridurre drasticamente il proprio potere sul web
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Il potere dei colossi del digitale sembra destinato a franare, o quantomeno è ora seriamente messo in discussione, nonostante il ritorno di Donald Trump. Una giudice distrettuale della Virginia, negli Stati Uniti, ha infatti stabilito, giovedì 17 aprile, che Google ha acquisito e mantenuto volontariamente un potere monopolistico nella pubblicità digitale, violando le leggi antitrust.
Si tratta di una sentenza storica, almeno per portata potenziale, perché apre a conseguenze facilmente immaginabili: Google sarà costretta a una profonda ristrutturazione. In che modo? Lo stabiliranno altri provvedimenti giudiziari nei prossimi anni.
Secondo le prime analisi, è probabile che l’azienda debba smantellare gran parte delle sue attività nel settore della pubblicità digitale. Oggi il colosso della tecnologia controlla infatti una quota rilevante del mercato, sia nella compravendita di spazi pubblicitari su siti indipendenti, sia negli ambienti gestiti da editori digitali.
La tesi – ora accolta dalla giudice Leonie Brinkema – è che Google abbia sfruttato il proprio dominio per alzare i prezzi e schiacciare la concorrenza. Così facendo, ha sostenuto la giudice, ha danneggiato anche gli utenti finali, che si affidano al web per informarsi o fare affari.
Le conseguenze
A rendere ancora più significativa questa decisione, c’è il fatto che segue una sentenza analoga emessa la scorsa estate: in quel caso, un giudice ha riconosciuto che Google detiene un monopolio anche nel settore dei motori di ricerca. Proprio in questi giorni è iniziato un nuovo processo, destinato a stabilire come risolvere quella violazione.
Il dipartimento di Giustizia ha già chiesto che Google sia costretta a smantellare alcune delle sue proprietà, legate in questo caso alla tecnologia pubblicitaria. Le due sentenze, con tutte le misure correttive che saranno approvate, potrebbero costringere l’azienda a una ristrutturazione senza precedenti, che ne cambierà per sempre i connotati.
Usando una metafora, è come se Google fosse il Golia del mondo digitale e alcuni giudici si fossero armati di fionda, tirando un sasso dopo l’altro. L’obiettivo non è forse quello di abbattere il gigante, ma quantomeno di ridimensionarlo, per rendere Internet un luogo più competitivo. A vantaggio di tutti.
Gli altri giganti
Forse più che pensare a Golia, dovremmo immaginare il web come l’isola dei ciclopi, visto che i giganti sono in realtà più di uno. È probabile che questa sentenza risuoni come un sinistro presagio per Mark Zuckerberg, che proprio in questi giorni sta affrontando a Washington un processo che riguarda Meta. E che parte da un assunto molto simile: l’acquisizione di Instagram e WhatsApp ha creato un monopolio?
Ma il dipartimento di Giustizia ha fatto causa anche ad Apple, sostenendo che l’azienda abbia costruito un ecosistema di dispositivi e software così chiuso da soffocare ogni tentativo di integrazione esterna (e quindi di concorrenza). Inoltre, la Federal Trade Commission – ovvero l’antitrust americana – ha intentato una causa contro Amazon, accusata di soffocare le piccole imprese.
Insomma, i fronti aperti sono molti, e il rischio – per i ciclopi digitali – è che se ne aprano altri, proprio sulla scia delle ultime sentenze.
Le cessioni
Tornando alle conseguenze pratiche per Google, già la prossima settimana un giudice potrebbe imporre i primi provvedimenti, per effetto della sentenza della scorsa estate. Il Dipartimento di Giustizia ha infatti chiesto la cessione del browser Chrome e l’eliminazione di alcuni accordi di esclusiva con altre aziende – come, ad esempio, Apple – che rendono Google il motore di ricerca predefinito su molti smartphone.
Nella sentenza appena uscita, la giudice ha invece dato sette giorni di tempo alle parti per presentare proposte simili, con lo stesso obiettivo: allentare la condizione di monopolio.
Secondo le prime ipotesi, il Dipartimento di Giustizia potrebbe chiedere a Google di vendere due dei suoi strumenti chiave nel mercato pubblicitario: Google Ad Manager, il sistema utilizzato dagli editori – come siti di notizie o blog – per gestire la vendita degli spazi pubblicitari sulle loro pagine, e la piattaforma che gestisce le aste digitali (Google Ad Exchange), cioè quel meccanismo automatizzato che decide in frazioni di secondo quale annuncio mostrare a un utente ogni volta che apre un sito.
L’obiettivo è creare un ecosistema più competitivo, favorendo aziende concorrenti come The Trade Desk, PubMatic, Magnite. E anche Amazon, che punta ad ampliare la propria quota nel mercato della pubblicità digitale. Ne trarrebbero vantaggio anche inserzionisti e proprietari di siti web, grazie a una maggiore possibilità di scelta su come acquistare e vendere annunci.
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