Dopo quasi dieci anni di guerra, immani distruzioni, centinaia di migliaia di vittime e metà della popolazione sfollata o rifugiata, la questione dei documenti personali dei siriani sembrerebbe un tema minore.

Eppure, come dimostra una approfondita ricerca di Aron Lund, analista svedese specializzato sulla Siria e autore di vari libri, non si tratta di una banalità. Per molti siriani è divenuta una questione di vita o di morte: senza documenti di identità non si riesce a ottenere nulla a livello assistenziale, sanitario, educativo o altro.

Le organizzazioni umanitarie sul terreno testimoniano quanto ogni episodio della vita quotidiana possa trasformarsi in un inferno come ad esempio attraversare un check point.

Un bene prezioso

Le uniche autorità che possano emettere documenti considerati validi sono quelle del regime di Assad, il governo internazionalmente riconosciuto, che li rilasciano col contagocce e soprattutto usano tale potere discrezionale come un’arma di rappresaglia. Milioni di siriani sono del tutto dipendenti dalla sospettosa e volubile volontà dei lealisti che hanno vinto la guerra. Chiunque può essere sospettato di aver sostenuto i ribelli.

Anche nella zona curda occorre avere in tasca qualcosa di valido da mostrare in caso di controllo: non tutti i documenti vanno bene, come si può facilmente immaginare. Ancora più difficile è procurarsi certificati di proprietà di case o terreni: in quel caso le autorità non rilasciano nulla perché stanno provando a cambiare la geografia etnico-religiosa del paese.

Chi rientra dai campi in Libano o in Giordania è facilmente considerato complice dei jihadisti e non sarà inviato laddove abitava precedentemente ma spostato dove le autorità ritengono. La faccenda più triste riguarda il “libretto di famiglia”, un documento che viene rilasciato al matrimonio e rinnovato ogni volta che nasce un figlio o muore un membro della famiglia.

Da sempre il libretto è lo stato di famiglia basico necessario per ottenere altri documenti, come anche la carta di identità o il passaporto. Come testimoniano su The New Humanitarian molti cooperanti delle agenzie e delle Ong, senza libretto tutto diventa quasi impossibile. Si tratta di un circolo vizioso: per sposarsi serve la carta di identità che dà diritto al certificato di matrimonio (o divorzio) e che si può avere solo se in possesso del libretto di famiglia o essendo iscritti su di esso. Di conseguenza senza uno di questi passaggi, non si può nemmeno iscrivere un bambino a scuola, vaccinarlo e così via.

Archivi distrutti

La guerra ha distrutto molti archivi anagrafici, soprattutto nelle zone controllate per anni dai ribelli, dove ora la popolazione paga il prezzo di essere stata per un tempo sotto il loro controllo. Molti tra costoro hanno dovuto far rinnovare i propri documenti da una pletora di corti e istituzioni ribelli: ora tali documenti sono considerati fasulli o, peggio ancora, la prova del tradimento.

Di conseguenza anche laddove esiste la possibilità di recarsi in un ufficio governativo, molti siriani evitano di presentarsi nel timore di farsi riconoscere, soprattutto se sono sunniti. Così oggi in Siria moltissima gente vive alla giornata senza documenti di identità.

Il rischio più grande è quello di non vedersi riconoscere le proprietà immobiliari. Dal 2011 molte hanno cambiato di mano, legalmente o no, con strascichi di corruzione e pulizia etnica. Molte abitazioni sono considerate bottino di guerra: per chi è scappato o è stato cacciato ottenere certificati del catasto diventa quasi impossibile. Il governo di Damasco ha inoltre approvato varie norme per la demolizione o l’esproprio, con la giustificazione dei piani di ristrutturazione (ancora non iniziati). In tal modo, soprattutto mediante la famigerata legge 10 del 2018, quasi tutti coloro che stavano in aree passate in mano ribelle per fasi prolungate o che sono fuggiti, hanno de facto perso le loro case.

Ottenere beni primari

Una medesima crisi si verifica a riguardo delle tessere digitali annonarie utili a ricevere generi di prima necessità: con la pandemia molti siriani sono caduti in assoluta povertà ma senza libretto di famiglia la tessera non si può ottenere. Nella realtà si può costatare che sono molte più le donne e i bambini a mancare di documenti di identità, rispetto agli uomini.

Secondo la cultura del luogo, in una famiglia sono gli uomini a intestarsi quasi tutto: la loro scomparsa, detenzione o morte violenta lascia le donne superstiti e i figli in una situazione totalmente indifesa, senza la possibilità di far rispettare i propri diritti, specie se si tratta di famiglie sunnite sospettate di aver sostenuto in qualsiasi modo i ribelli. Uno studio Onu del 2017 già metteva in luce che solo il 9 per cento delle donne siriane avevano il loro nome associato a quello delle proprietà della famiglia.

Se una vedova è senza documenti, senza certificato di matrimonio o libretto di famiglia, o senza certificato di morte del marito, le sarà impossibile mantenere la dote, ricevere la successione o accampare diritti di eredità sui beni di famiglia. Dal momento che tali situazioni sono oggi numerosissime nel paese, si è creato un sottobosco di corruzione e predazione a discapito delle donne profughe e delle vedove, in una società già prevalentemente patriarcale.

L’aggravante è che ciò rende precaria la situazione di molte donne perché facilmente tacciabili di relazioni fuori del matrimonio e quindi esposte ai delitti di onore da parte di altri maschi della famiglia. Si pensi al caso delle “spose del jihad”, costrette a “risposarsi” ogni qualvolta il marito-jihadista veniva ucciso in combattimento, e i cui certificati di matrimonio non sono riconosciuti oggi dalle autorità: è il caso di numerose ragazze di Raqqa, Deir Ezzor, Deraa, Ghouta o Homs, tutte aree ritenute ribelli dal governo.

La situazione delle donne

Ancora peggiore la situazione nella zona di Idlib tuttora occupata dai jihadisti, dove si vocifera addirittura di esecuzioni di donne accusate di adulterio solo perché senza documenti comprovanti il matrimonio.

La politica generale del governo di Damasco rispetto ai profughi è quella di rendere talmente difficile l’ottenimento di documenti d’identità e proprietà da sconsigliare il rientro.

Circa 6 milioni di siriani sono all’estero (Turchia, Giordania, Libano, Iraq o Europa): malgrado gli appelli al rientro (fatti per compiacere la comunità internazionale) ormai è chiaro che il regime di Assad non ha nessun interesse a vederli tornare perché li considera oppositori.

Si tratta in maggioranza di siriani sunniti che ora il governo vorrebbe sostituire con gli sciiti alleati di altra origine, come gli hazara afghani o gli sciiti pakistani portati a combattere dalla parte degli iraniani.

Per questo l’assenza di documenti di identità può anche rappresentare l’anticamera della perdita della nazionalità.

A ciò si aggiunga il circa milione di bambini nati in esilio durante gli anni di guerra: il loro riconoscimento sarà quanto meno problematico se non impossibile. Per gli osservatori umanitari la questione dei documenti di identità in Siria è diventata critica, con un forte rischio di ritorsioni. Da una parte gli stati di accoglienza spingono per il rientro; dall’altra il regime crea ostacoli a non finire. Intrappolati in tale duplice morsa, i rifugiati siriani rischiano di trasformarsi in un dimenticato popolo di apolidi.

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