«Giù le mani dell’Africa!». Lo slogan, gridato da papa Francesco in occasione dell’incontro con le autorità e la società civile, appena arrivato a Kinshasa, la capitale della Repubblica democratica del Congo, il 31 gennaio scorso, riassume con un certo vigore il senso di quello che potrebbe essere il suo viaggio più geopolitico.

Rimandata a luglio per problemi di salute, la visita di Bergoglio a Congo e Sud Sudan è arrivata in un momento particolarmente delicato per i due paesi. Nel grande stato centro-africano, gravato da instabilità politica e povertà endemica – sebbene sia il più ricco di materie prime al mondo – pesa la situazione drammatica dell’est dove impazzano oltre 100 milizie e avvengono stragi, omicidi, rapimenti all’ordine del giorno.

Nel paese più giovane al mondo, invece, nonostante la firma del Revitalised Agreement nel 2018 che ha portato una relativa pace tra la fazione fedele al presidente Salva Kiir e quella del vice Riek Machar, sono vari e drammatici ancora i focolai di guerra che assieme a siccità e alluvioni hanno causato 2,2 milioni di sfollati interni e 2,3 esterni su una popolazione di 11,5 milioni.

I soldi sporchi di sangue

In questo ingresso nel cuore dell’Africa, quella più impoverita e sofferente, il papa, oltre alla scontata dimensione pastorale, ha dato fin da subito l’impressione di voler aggredire i temi politici. Con i suoi richiami a chi continua a dissanguare il continente – «Basta soffocare l’Africa: non è una miniera da sfruttare o un suolo da saccheggiare. Basta arricchirsi coi soldi sporchi di sangue» – ha toccato uno dei temi principali che spiegano la situazione di sottosviluppo in cui versano ancora tanti paesi africani. 

La stragrande maggioranza di essi, infatti, ha al suo interno risorse infinite e ricchezze che potrebbero permettere alle popolazioni di vivere nel benessere e nella pace per millenni. Per il perpetrato sfruttamento operato da Europa e nuovi attori, in perfetta continuità con il colonialismo, non solo gli africani non ne beneficiano appieno ma ne divengono vittime per gli appetiti predatori esterni.

Il caso più emblematico è proprio il Congo. Baciato da sempre delle risorse di cui necessita il mondo – il caucciù quando c’era bisogno di gomma, l’oro, i diamanti, il rame, più recentemente il coltan e il cobalto (in Congo giace il 70 per cento delle risorse del pianeta, ndr), benedetto dalla foresta pluviale più grande al mondo e da bellezze e parchi naturali unici nel pianeta, resta uno dei paesi più impoveriti (il 70 per cento dei congolesi vive sotto la soglia di povertà, una persona su tre soffre di fame) e maledice le sue risorse foriere di gravissimi conflitti.  

Contro l’indifferenza

«Santità – ha detto una ragazzina nel corso dell’incontro con i sopravvissuti alle guerre in Kivu e in Ituri – pongo sotto l’altare un pugnale, l’arma che ha sterminato tutta la mia famiglia sotto i miei occhi e che i ribelli mi hanno consegnato chiedendomi di darlo all’esercito».

Il confronto con le vittime del primo febbraio, è stato senza dubbio il cuore della prima parte del viaggio papale, ha scaraventato lui, il seguito e i media nella spaventosa crudezza della guerra, in quel «genocidio dimenticato che sta subendo la Repubblica Democratica del Congo» che ha fatto circa dieci milioni di morti dalla metà degli anni Novanta ad oggi. Un massacro totalmente ignorato dalla comunità internazionale.

Ed è su questo tema che si è consumato un nuovo intervento squisitamente politico del papa. Nella frase «Quanto vorrei che i media dessero più spazio a questo paese e all’Africa intera!», pronunciata alla nunziatura di Kinshasa, Bergoglio ha denunciato l’assoluta indifferenza del mondo occidentale verso il continente, tra le prime cause del perpetrarsi di conflitti e di condizioni favorevoli a focolai.  

L’Africa al centro

In Sud Sudan il papa ha dato seguito a una strategia politica personale iniziata anni prima. Il paese a maggioranza cristiano, diventato indipendente dal Sudan islamico nel 2011 e dal 2013 infestato da una terribile guerra civile, è un suo chiodo fisso.

Nell’aprile del 2019, dopo reiterati appelli e preghiere, convocò a Roma per un ritiro pasquale i leader politici e religiosi. Nel congedarli, si inchinò e baciò loro i piedi implorandoli di fare la pace al loro ritorno. Sia Kiir che Machar dichiararono di non poter più sottrarsi  all’impegno per la pace e la situazione, anche per la firma di un accordo l’anno prima, è andata migliorando.  

Ma la transizione che doveva condurre il paese alle elezioni nel 2023, lo scorso agosto ha subìto l’ennesimo rinvio di due anni per la mancanza di progressi su molte parti dell’accordo. Restano quindi seri focolai come nella regione dell’Equatoria e i gravissimi problemi ambientali che vessano ciclicamente il Sud Sudan.

«Basta sangue versato, basta accuse reciproche» ha detto il papa con un tono quasi spazientito ai leader politici che tardano a mettersi definitivamente d’accordo e innescare una vera riconciliazione nazionale. Ha strappato un sì dal presidente per la ripresa dei colloqui di pace a Roma sponsorizzati da Sant’Egidio.  

«Nessun leader occidentale aveva visitato il giovane paese con la sua storia di conflitti e tragedie prima di Papa Francesco, venuto qui per chiedere la pace» ha twittato Joung-ah Ghedini-Williams dell’Unhcr Sud Sudan. Bergoglio, nel suo passaggio in Africa, disinteressato allo sfruttamento delle risorse, rimette al centro dell’agenda internazionale l’Africa, con i suoi conflitti, le sue povertà, così come le sue infinite ricchezze, le bellezze e i diritti calpestati da secoli.

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