L’Unione europea pensa di sospendere, per il momento, il divieto di importare il petrolio russo a causa della dura opposizione dell’Ungheria di Viktor Orbán che blocca la sesta bozza di sanzioni con il suo potere di veto.

Il quotidiano Politico Europe ha spiegato che, secondo fonti diplomatiche europee, l’ipotesi di togliere il divieto del petrolio dal sesto pacchetto di sanzioni dell’Ue sarebbe un duro colpo per Bruxelles e in particolare per la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, che aveva proposto la proibizione totale dell’import di petrolio russo in una bozza del 4 maggio.

L’idea di compromesso al ribasso che circola nei corridoi di Bruxelles, vedrebbe entrare altri elementi nel sesto pacchetto di sanzioni alla Russia da parte Ue, con il sostegno di tutti i 27 paesi. Ma il divieto totale di tutte le importazioni di greggio russo potrebbe essere messo in soffitta, mentre le discussioni continuano su un accordo di compromesso che l’Ungheria possa accettare, riporta sempre Politico.

La svolta è notevole nella guerra energetica in corso tra Mosca e Bruxelles perché Vladimir Putin finanzia la guerra in Ucraina con i profitti derivanti dall’export di petrolio e gas (il 45 per cento del gas importato in Europa viene dalla Russia, l’Italia ne importa il 38 per cento pari a 28mila metri cubi).

Il gas russo rappresenta il 25 per cento dei consumi europei e il 10 per cento dell’energia prodotta nell’Unione. Così il sesto pacchetto di sanzioni potrebbe occuparsi solo di misure residuali contro lobbisti filorussi, nonché di Sberbank, la più grande banca russa.

Ma il cuore del pacchetto che doveva sempre essere un colpo contro l’industria energetica del Cremlino, sarebbe rimandato prendendo a pretesto l’opposizione della sovranista e filorussa Ungheria, che diventa così l’utile paravento dietro cui nascondere i timori economici di recessione di Germania e Italia.

Che la posizione di scontro con Mosca sulle sanzioni energetiche fosse in fase di ripensamento se ne era avuto un assaggio nel corso della recente visita a Washington del premier Mario Draghi, quando quest’ultimo aveva ammesso, che le aziende europee possono comprare il gas russo pagando in rubli.

Draghi aveva ammesso che pagare in valuta russa non viola le sanzioni dell’Unione sebbene la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen avesse sostenuto il contrario. Con le parole di Draghi la discussa “zona grigia” delle sanzioni europee è diventata assai meno grigia, e infatti la settimana prossima, scrive Reuters, Eni aprirà un conto in rubli per procedere con le modalità di pagamento imposte da Putin.

Il rompete le righe ha poi permesso di usare la minaccia di veto ungherese per mettere in congelatore la sanzione contro l’import di petrolio russo.

L’allarme della Bundesbank  

Non bisogna dimenticare che la Bundesbank aveva previsto il 22 aprile scorso che l’embargo a gas e petrolio di Mosca equivarrebbe a una perdita di 5 punti di Pil per un costo di 180 miliardi di euro.

E con l’ulteriore incremento dell’inflazione si avvicinerebbe la stagflazione. Il 55 per cento del gas in Germania arriva dalla Russia, come pure un terzo del petrolio. Insomma, la banca centrale tedesca aveva alzato il cartellino rosso e dall’alto della sua autorevolezza e indipendenza dal potere politico, aveva detto che non era solo una questione di climatizzatori, ma di pesante recessione della locomotiva d’Europa: l’anticamera di una nuova crisi dopo quella del 2008 e della pandemia.

La Confindustria tedesca e i sindacati avevano subito chiesto al governo la massima prudenza in materia di sanzioni energetiche alla Russia.

Così, alla fine, bisogna constatare che aveva visto giusto l’ex cancelliere tedesco e socialdemocratico, Gerhard Schröder, che in una lunga intervista al New York Times aveva detto di «essere contrario all’embargo energetico russo da parte di Berlino ricordando la sua forte dipendenza dal gas russo e spiegando che si dimetterebbe dal suo incarico solo se Putin chiudesse il rubinetto del metano alla Germania. Non accadrà», aveva assicurato. E in effetti grazie a Orbán l’embargo al petrolio e al gas russo non si farà.

La posizione francese

Molto più trasparente la posizione espressa dal presidente francese, Emmanuel Macron, a Strasburgo il 9 maggio, giorno dell’Europa, quando ha proposto la creazione di una “comunità politica europea”, una entità che comprenda paesi come l’Ucraina e la Gran Bretagna per costruire un’Europa unita nei valori di libertà e democrazia da affiancare alla Ue.

Macron ha poi affermato, come lo stesso Draghi in precedenza, la necessità di cambiare i Trattati Ue, per ridurre l’ambito di applicazione del voto all’unanimità, che in un’Unione europea a 27 rischia la paralisi decisionale come sta avvenendo sul tema delle sanzioni energetiche (petrolio e gas) alla Russia a causa del veto ungherese e slovacco.

Ma si è creato un gruppo di oppositori alla proposta francese formato da 13 paesi (Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Romania, Slovenia e Svezia), che hanno fatto sapere di voler mantenere il voto all’unanimità. Macron, come presidente di turno della Ue, sta cercando di mediare tra le diverse posizioni in campo ma sull’energia non troverà strade in discesa.

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