Saridewi Djamani era stata condannata per traffico di 30grammi di eroina nel 2018 e stamattina è stata impiccata tra le proteste dei gruppi per i diritti umani. Si tratta della prima donna a essere stata giustiziata dal 2004, anche in quel caso la donna era stata condannata a morte per lo stesso reato.

Djamani aveva fatto ricorso contro la sentenza, sostenendo di non essere stata in grado di rilasciare dichiarazioni accurate alla polizia perché in quel momento si trovava in uno stato fisico e mentale alquanto precario perché in astinenza da droghe. Un giudice dell’alta corte ha però respinto questa giustificazione ritenendo che Saridewi avesse «sofferto al massimo di astinenza da metanfetamina da lieve a moderata durante il periodo di raccolta delle dichiarazioni» e che ciò non avesse compromesso alcuna sua capacità. 

Si tratta già della seconda esecuzione in una sola settimana per l’accusa di possesso e traffico di stupefacenti. Mercoledì, infatti, Mohd Aziz bin Hussain, uomo malese di Singapore è stato ucciso con l’accusa di traffico e detenzione di 50 grammi di eroina. Anche Hussain era stato condannato come Djamani nel 2018.

Chiara Sangiorgio, esperta di pena di morte di Amnesty International ha dichiarato in merito alle due pene capitali eseguite nella settimana che questo tipo di pena «non deve avere più alcuno spazio nelle nostre società» e che altri stati come il Ghana si stanno avvicinando ai «due terzi di paesi che hanno abolito la pena di morte in legge o in pratica».

Una punizione sproporzionata

La Global commission on drug policy, la federazione internazionale sui diritti umani e Amnesty international hanno denunciato più volte come Singapore «violi sistematicamente il diritto internazionale sui diritti umani perché si tratta di una punizione sproporzionata». Non solo, le esecuzioni sono state sospese durante la pandemia da Covid- 19 ma sono riprese il 30 marzo del 2022 con grande frequenza. Se ne contano già 15 solo per reati legati alla droga. 

Phil Robertson, vicedirettore per l’Asia di Human Rights Watch, ha affermato che i tribunali si sono «mossi come una macchina che gira sempre più forte per recuperare il tempo perduto per svuotare le carceri il più rapidamente possibile».

Sangiorgio ha rincarato la dose e ha detto che «Non esistono prove che la pena di morte abbia un effetto deterrente su uso e circolazione delle droghe» aggiungendo che vengono puniti sproporzionatamente «coloro che provengono da contesti socioeconomici svantaggiati o appartengono a gruppi emarginati». 

Il governo di Singapore però ha sempre risposto che i suoi processi sono «equi» e sono «l’unico modo per tenere la città-stato al sicuro ed è ampiamente sostenuta dal pubblico».

Il Transformative Justice Collective ha riferito che una terza esecuzione è programmata per il 3 agosto e fa riferimento a un uomo condannato alla pena di morte obbligatoria per il possesso e traffico di 54 grammi di eroina.

Sia l’Ufficio delle Nazioni Unite per la droga e il crimine che l’Organo internazionale per il controllo degli stupefacenti, hanno condannato l’uso della pena di morte per reati legati alla droga e hanno esortato i governi a muoversi verso l’abolizione.

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