Come fare a disgiungere il gradimento di alcuni provvedimenti come la cancellazione dei prestiti studenteschi con l’analoga impopolarità di un presidente come Joe Biden?

Questo è in sostanza il dilemma che gli strateghi democratici devono affrontare in occasione delle elezioni di metà mandato dell’8 novembre.

Lo scenario di base è difendere la cosiddetta “trifecta” democratica, ovvero il controllo della presidenza abbinato a una maggioranza in entrambi i rami del Congresso. Difficilmente un presidente riesce a mantenere il controllo della Camera, che viene rinnovata per intero ogni due anni.

Un’eccezione in questo senso è stata rappresentata dal midterm di George W. Bush post 11 settembre: lì arrivò la conferma sia della Camera che la conquista del Senato.

Fu però un’eccezione dovuta all’ondata improvvisa di popolarità per un presidente che si era trovato a dover affrontare un attacco terroristico senza precedenti.

Inflazione e benzina

In questo caso invece, a dominare i pensieri degli elettori ci sono l’inflazione e il prezzo della benzina. I dem hanno un vantaggio non da poco: poter usare i poteri della presidenza per mitigare gli effetti del caro carburante ad esempio.

Dal novembre 2021 sono stati immessi sul mercato circa 200 milioni di barili delle riserve strategiche nazionali, costituite da Gerald Ford nel dicembre 1975 per poter sopravvivere in un caso di embargo petrolifero.

Biden ne ha consumato il 40 per cento per tenere il prezzo più basso il possibile e il suo capo di gabinetto Ron Klain in questi giorni è sempre pronto a postare su Twitter articoli che parlino dell’abbassamento del prezzo del carburante.

Da parte repubblicana c’è però la critica che Biden lo abbia fatto per mere ragioni elettoralistiche, più di qualsiasi altro presidente, senza pensare a come rimpolparle in futuro, argomento particolarmente pressante negli stati produttori di petrolio come North Dakota, Texas e Wyoming, che però già votano repubblicano.

Cosa resta quindi da giocare per i democratici? In primis, il grande classico di ogni elezione nazionale che ha risvolti locali: sfruttare le debolezze degli avversari.

E quindi del dottor Mehmet Oz, candidato trumpiano al Senato in Pennsylvania, si ricordano le sponsorizzazioni televisive di miracolose pillole dimagranti o il suo sostegno al presidente turco Recep Tayyip Erdogan in quanto possessore di doppio passaporto.

Lo stesso viene fatto con l’ex giocatore di football Herschel Walker, sfidante del senatore dem Raphael Warnock in Georgia, del quale si evidenziano le sue vicissitudini personali, tra cui il pagamento di un aborto per una sua ex compagna.

L’argomento apocalittico

Questi attacchi individuali però si inseriscono in un messaggio generale, promosso dalla Casa Bianca: votare per i trumpiani vuol dire scegliere candidati che potranno non accettare i risultati del voto.

I quali nel 2024 spianeranno la strada a un Trump vendicativo che attuerà una trasformazione in senso autoritario degli Stati Uniti. Insomma, un messaggio apocalittico. Che finora ha ben poca presa sull’elettorato: conta molto di più la questione economica.

Molti elettori indipendenti che nel 2020 hanno sostenuto Biden in funzione antitrumpiana sposano quanto affermato dall’economista del Manhattan Institute Allison Schrager su Bloomberg in un lungo commento dove l’assunto di fondo è: siamo d’accordo che Biden non ha causato né la crisi energetica né l’inflazione, però le sue politiche fiscalmente espansive hanno peggiorato la situazione.

A poco è valsa la richiesta fatta per via diplomatica informale all’Arabia Saudita di posticipare il taglio della produzione petrolifera dei paesi che fanno parte dell’Opec+, annunciato il 12 ottobre scorso.

La monarchia con questa mossa ha confermato la sostanziale inutilità degli sforzi fatti dalla presidenza di Biden di frenare l’avvicinamento di Riad alla Russia putiniana.

Quindi quali frecce restano al campo democratico quantomeno per mantenere il Senato in parità, in modo da garantire alla vicepresidente Kamala Harris il potere di spezzare eventuali voti 50-50 in favore dell’amministrazione democratica?

Per un breve periodo a settembre, dopo la vittoria sorprendente di Mary Peltola su Sarah Palin nelle elezioni suppletive in Alaska a fine agosto, il campo democratico ha fantasticato su una possibile inversione dei pronostici della vigilia, con un insperato risultato positivo anche alla Camera, dove però bisogna difendere tutti e 221 i deputati dem.

Si pensava che l’effetto della sentenza Dobbs della Corte Suprema, emanata lo scorso giugno, con cui si cancellava il diritto federale all’aborto, avrebbe continuato a fornire munizioni per i democratici, che in tutti i dibattiti hanno cercato di mettere spalle al muro i loro avversari, specie quelli più faciloni al compiacimento della propria base sui social.

Un esempio di questa strategia si può vedere in Pennsylvania: dopo il dibattito tra i candidati al Senato Mehmet Oz e il democratico John Fetterman, dove quest’ultimo ha avuto nettamente la peggio, gli alleati di Fetterman hanno fatto girare sui social un video tagliato dell’unico momento dove Oz diceva che l’aborto era una questione «tra le donne, i medici e i leader politici locali», in modo da dipingerlo come un estremista, salvando il salvabile e favorendo la raccolta fondi di Fetterman. In poche ore ha raccolto più di un milione di dollari dai piccoli donatori.

I finanziamenti

Proprio sui finanziamenti la strategia dei dem è incerta: se da un lato c’è la tentazione di fare a meno dei grandi finanziatori e di contare sulle piccole donazioni, dall’altro il divario con i repubblicani si sta allargando troppo: il Congressional Leadership Fund ha raccolto 73 milioni di dollari nel terzo trimestre del 2022 per i candidati alla Camera mentre i democratici hanno raccolto soltanto poco più di 90 milioni dall’inizio dell’anno.

A fare la differenza, nemmeno a dirlo, sono i megafinanziatori. I democratici sono restii a sostenere il messaggio di Biden, che vedono scarsamente remunerativo, anche per l’indecisione del presidente sulla sua candidatura nel 2024, che lascerebbe il partito nella piena incertezza.

Si segnalano due eccezioni notevoli a questo andazzo: una di queste è rappresentata dallo spauracchio dei nazional-conservatori di tutto il mondo, George Soros, che ha versato la ragguardevole cifra di 125 milioni di dollari nel suo super Pac a sostegno dei candidati democratici, e un neofita come il finanziere Sam Bankman-Fried, di appena trent’anni, che può contare su venti miliardi di dollari di fortuna personale derivante dal trading di criptovalute.

Quest’ultimo ha versato 27 milioni sul suo comitato d’azione politica personale ma anche sei milioni donati direttamente all’House Majority Pac, il veicolo usato dai democratici per gestire la maggior parte dei fondi per la Camera.

Ad agosto, in un’intervista, aveva dichiarato che avrebbe speso una cifra oscillante tra i 100 milioni e il miliardo di dollari.

Secondo un’indagine del Washington Post, invece, al momento avrebbe versato soltanto 39 milioni complessivi. Il senatore del Michigan Gary Peters in pubblico dà un messaggio rassicurante: vanno benissimo le piccole donazioni, continuate così, sono i nostri militanti la differenza con un partito repubblicano a libro paga dei miliardari. Gli strateghi però sanno che è un problema. .

Al momento sono i singoli candidati a decidere e utilizzano le risorse che hanno a disposizione: un esempio lo fornisce la campagna di Eric Lynn, candidato nel tredicesimo distretto congressuale della Florida, uno dei distretti più fragili, vinto da Biden per soli quattro punti.

Lynn può contare su un background di tutto rispetto: avvocato esperto di tematiche ambientali, è stato nominato da Barack Obama come advisor del dipartimento della Difesa, dove ha servito per sei anni.

Nonostante questo, il rischio di essere defenestrato dalla sua avversaria repubblicana Anna Paulina Luna è molto alto. I dati della Commissione Elettorale Federale rivelano che è finanziato principalmente dal cugino Justin Ishbia, un manager di fondi d’investimento che vive a Chicago, che attraverso un super Pac ha già speso 9 milioni di dollari e ha appena aggiunto altri 5 milioni dalla sua fortuna personale.

Si può quindi affermare che la situazione dei democratici appare difficile e solo un’ondata di donazioni milionarie può limitare i danni in modo da lasciare un margine operativo minimo alla Casa Bianca nel prossimo biennio senza sottostare ai diktat dei due leader congressuali McCarthy e McConnell.

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