Il presidente segnala che non punirà i vertici dell’intelligence che hanno svelato segreti su Signal. Il consigliere per la sicurezza nazionale «ha imparato la lezione». Fioccano richieste di dimissioni
Molte cose rimangono da capire sull’incredibile e incredibilmente dilettantesca fuga di notizie sensibili sul piano di attacco agli Houthi – condivise in una chat su Signal nella quale era stato inavvertitamente incluso anche il direttore dell’Atlantic, Jeffrey Goldberg – ma la cosa più importante si è capita benissimo: nessuno pagherà per questa gravissima falla autoinflitta negli apparati della sicurezza nazionale.
Lo ha detto Donald Trump, il quale è certamente abituato a contraddirsi, ma che nel mezzo della tempesta di richieste di dimissioni della catena di comando di difesa e intelligence ha scelto di minimizzare la vicenda e difendere i suoi. Il consigliere per la sicurezza nazionale, Michael Waltz – quello che materialmente ha inserito Goldberg nella chat – «ha imparato la lezione ed è una brava persona», ha detto il presidente.
Del resto, la conversazione su una app di messaggistica commerciale ai massimi livelli della sicurezza nazionale su un’operazione altamente sensibile «è stato l’unico contrattempo in due mesi, e si è rivelato non essere poi tanto serio».
Il contrattempo conferma la legge dell’impunità provvisoria che vige sugli accoliti di Trump. In attesa di nuovi sviluppi, la testa degli uomini e delle donne del presidente rimane attaccata al collo: niente purghe, licenziamenti in vecchio stile, niente punizioni esemplari. Era solo un contrattempo, niente di serio. A parte gli Houthi, nessuno si è fatto male.
Ma poi sinceramente: a chi non è capitato di includere per sbaglio un giornalista in una chat con il principale consigliere della Casa Bianca, il vicepresidente degli Stati Uniti, il consigliere per la sicurezza nazionale, il direttore della Cia, la direttrice delle agenzie di intelligence, il segretario del Pentagono?
E non parliamo di un giornalista qualunque, ma di un «mentitore e screditato cosiddetto giornalista che ha fatto del rimestare continuamente bugie una professione», come lo ha definito Pete Hegseth, segretario del Pentagono, fingendo di non sapere che è stata una benedizione per lui e per il paese che quelle informazioni siano finite nelle mani di questo «mentitore screditato» invece che, ad esempio, di un funzionario russo o cinese, che avrebbero passato tutte le coordinate agli Houthi, con cui Mosca negli ultimi tempi sta stringendo sempre più le relazioni per via di certi interessi comuni nell’ostacolare il flusso delle merci verso il canale di Suez.
Audizioni al Senato
Goldberg ha deciso responsabilmente di non pubblicare i dettagli operativi né il nome di un operativo della Cia la cui identità poteva essere compromessa, con tutte le conseguenze del caso, mentre l’Amministrazione nella convulsa giornata di martedì si è limitata a confermare che lo scambio era autentico. Ma gli apparati hanno insistito: in quella chat non sono state diffuse informazioni classificate.
I vari personaggi coinvolti hanno detto questa cosa in modi leggermente diversi. Hegseth, in missione alle Hawaii, ha spiegato soltanto che nella chat non sono stati diffusi «piani di guerra», senza addentrarsi nel livello di confidenzialità delle informazioni. «È una bugia», ha replicato a distanza Goldberg, secondo cui sono stati riferiti, ore prima dell’attacco, luoghi, armi, obiettivi, coordinate e piani d’azione molto dettagliati.
I capi dei servizi di sicurezza sono comparsi davanti alla commissione intelligence del Senato, e lì, nel surreale imbarazzo generato dalla vicenda, hanno cercato di spiegare che non sono circolate informazioni classificate nella chat e in ogni caso Signal è, a certe condizioni, uno strumento di comunicazione permesso. Su quest’ultimo punto ha insistito in particolare il direttore della Cia, John Ratcliffe, mentre la direttrice dell’intelligence – che supervisiona 18 agenzie – si è rifiutata di dire se era fra i membri del gruppo di Signal, appellandosi a una inchiesta interna del consiglio per la sicurezza nazionale di cui però nessuno ha fornito dettagli.
Il direttore dell’Fbi, Kash Patel (non incluso nella chat), per parte sua ha detto che non c’è al momento un’inchiesta in corso. I membri dell’opposizione si sono scagliati contro il «comportamento irresponsabile, sconsiderato e incompetente» dei presenti, che con le facce di alunni impreparati per l’interrogazione hanno goffamente cercato di dribblare le domande.
Il senatore Ron Wyden si è unito al coro di quelli che da lunedì sera chiedono le dimissioni di Hegseth e Waltz, mentre Jon Ossoff si sarebbe accontentato che il direttore della Cia ammettesse che si è trattato di un «grave errore». Ratcliffe, invece, ha detto di no.
Scontro interno
Si vedranno gli sviluppi delle varie indagini interne, ma intanto il presidente ha già segnalato che intende graziare tutti i protagonisti di questo episodio che sarebbe ridicolo se non fosse una tragedia per la sicurezza nazionale americana nonché una testimonianza definitiva dell’approssimazione e dell’incompetenza che regnano sovrane nell’amministrazione.
Ma c’è anche un dato politico che emerge dal racconto della chat, quello della divisione fra il vicepresidente JD Vance, che coerentemente con la sua postura di disimpegno globale e aggressività verso l’Europa era contrario all’azione militare, e tutti gli altri, soprattutto il consigliere Stephen Miller, il più fedele tra i pretoriani, invece orientati con decisione a dare un segnale di forza.
Anche queste informazioni, che ora Trump conosce, torneranno utili quando si presenterà la prossima occasione di scontro.
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