Alla vigilia dell’invasione russa fu solo l’intelligence statunitense a mettere in guardia la comunità internazionale dall’imminente aggressione e a preparare Kiev a un’eventualità che per molti restava remota o persino impensabile. Ciò è stato possibile per un lavoro complesso di raccolta di informazioni da diverse fonti, uno sforzo congiunto di più agenzie, che hanno messo a sistema Sigint (signal intelligence dalle intercettazioni delle telecomunicazioni degli ordini dello stato maggiore), Imint (imagery intelligence dalle immagini satellitari degli accampamenti), ma anche la vecchia Humint (human intelligence da informatori e talpe nell’apparato russo) e persino la spesso sottovalutata Osint (open source intelligence dai video e foto postati online da cittadini russi e bielorussi dei convogli ferroviari).

La Intelligence community statunitense è la più ampia al mondo, riunisce oltre diciassette agenzie e organi di analisi e ricerca, coordinati dall’Ufficio del direttore dell’intelligence nazionale che cerca di rendere fluido lo scambio di informazioni e coerente il lavoro dell’amministrazione, nonostante le gelosie e rivalità interne. Oltre alle note Cia, Fbi, Nsa e Dia, ne fanno parte i servizi delle forze armate e dei vari dipartimenti governativi. Il budget più ampio è assegnato alla Cia, seguita dalla Nsa.

La rinascita dell’intelligence militare

Nel corso del conflitto ucraino uno dei servizi di intelligence più prolifici e attivi è stata la Defence intelligence britannica, da non confondere con i più noti Mi6, Mi5 e neanche con la Gchq che si occupa della Sigint. Nel 1965 il celebre scrittore di spionaggio ed ex agente dell’Mi6 John Le Carré scrisse Lo specchio delle spie, in cui narra le vicende di un’agenzia di intelligence militare britannica in decadenza, soppiantata appunto dall’Mi6, che si trova alle prese con una crisi missilistica in Germania est. Alla fine, tuttavia, la missione si rivela un fiasco e quella sezione dell’intelligence militare è tragicamente destinata all’oblio.

Il grande scrittore ci racconta del declino progressivo delle forze armate nello spionaggio, che nella guerra la facevano da padrone, coronato dalla caduta del muro e dalla globalizzazione. Specialmente tra gli anni Novanta e Duemila, i servizi segreti si sono concentrati su una dimensione politica, diplomatica ed economica, ma con la guerra al terrore e la messa in discussione dell’ordine internazionale unipolare americano è tornata in auge una parte più militare dell’intelligence.

Droni e forze speciali

L’emblema di questa rinascita è il programma della Cia sull’uso dei droni per eliminare esponenti di organizzazioni terroristiche, affidato al Sac, lo Special activities center (in precedenza Special activity division), inaugurato dall’amministrazione Bush.

Il Sac è a tutti gli effetti un reparto paramilitare, non a caso formato da ex membri delle forze speciali americane come i Navy Seals e la Delta Force, che opera tramite due unità: lo Special operations group che si occupa di operazioni militari clandestine e il Political action group incaricato di operazioni di influenza e psyops.

Il programma Cia che ha impiegato i droni, soprattutto negli ex territori tribali del Pakistan ma anche in Yemen e Somalia, è continuato sotto l’amministrazione Obama, che l’ha ampliato sino a farne uno degli strumenti principali della strategia antiterrorismo di Washington. I droni Reaper e Predator hanno eliminato migliaia di militanti di Al Qaeda, dei Talebani afgani e pakistani, ma anche dello Stato islamico, non senza le proteste di politici di Islamabad che denunciavano tali azioni militari come illegali e violazioni della sovranità.

Se da un lato il presidente Obama ha esteso l’uso dei droni nella lotta ai jihadisti, dall’altro ha mitigato i poteri discrezionali della Cia riconducendo l’autorizzazione degli attacchi sotto l’ombrello del dipartimento della Difesa. Questa politica è poi regredita con l’amministrazione Trump, che ha concesso ampi poteri alla Cia sull’uso dei droni e di armi letali con scarso controllo governativo. Se tradizionalmente il compito dell’intelligence è quello di raccogliere e processare informazioni, negli ultimi decenni abbiamo invece assistito alla tendenza di servizi segreti sempre più paramilitari e abilitati all’uso della forza. Trump ha anche esteso il programma Cia sui droni all’Africa, dalla Libia al Niger e Mali.

I commando segreti

Ma la militarizzazione dell’intelligence, specialmente quella occidentale, non passa solo attraverso l’impiego di droni, bensì anche con lo schieramento di forze speciali. Al pari del Sac statunitense, anche la Dgse francese dispone del celebre Service action, formato da ex paracadutisti incursori. Il 14 luglio 2009 gli agenti della Dgse Denis Allex e Marc Aubrière furono rapiti a Mogadiscio da militanti di Al Shabaab nel corso di un’operazione segreta. Se Aubrière riuscì a fuggire quaranta giorni dopo, per Allex cominciò una lunga prigionia nelle mani degli insorti islamisti che si sarebbe protratta fino al 2013, quando il governo di Parigi riuscì a localizzarlo e decise di liberarlo con la forza.

L’operazione fu supportata dagli assetti navali e satellitari americani, ma la Francia decise di affidare il blitz notturno non alle forze speciali francesi, bensì ai commando del Service action, con forse minore esperienza in attività paramilitari così rischiose. L’operazione si rivelò un disastro con la morte di due commando e l’esecuzione dell’ostaggio. Il capo di Al Shabaab Mokhtar Ali Zubeyr, responsabile del sequestro, fu ucciso da un missile Hellfire lanciato da un drone americano nel 2014.

A lungo i servizi segreti italiani si sono limitati ad attività puramente informative e di spionaggio, ma non hanno goduto di un braccio armato in grado di effettuare operazioni paramilitari ad alto rischio. Le cose sono cambiate dal febbraio 2016, quando il governo Renzi ha introdotto con un Dpcm secretato alcune disposizioni decisive: da quel momento il governo poteva destinare militari delle forze speciali a operazioni di intelligence all’estero. I reparti d’élite coinvolti sono il Gruppo operativo incursori (Goi) della marina militare, per l’esercito il 9° reggimento d’assalto paracadutisti Col Moschin, il 4° reggimento alpini paracadutisti Monte Cervino e il 185° reggimento paracadutisti Ricognizione acquisizione obiettivi folgore, mentre nell’aeronautica militare il 17° stormo incursori e per i carabinieri il Gruppo intervento speciale (Gis). Aliquote di questi reparti possono essere chiamate a operare in missione assieme ad agenti dell’Aise, in contesti ostili o pericolosi, rispondendo direttamente alla catena di comando del Dis e Palazzo Chigi. Per la durata dell’operazione, dunque, i militari smettono di dipendere per via gerarchica al ministero della Difesa.

Il caso italiano

Fino al 2022 molti analisti scommettevano sulla fine dei conflitti convenzionali e sulla proliferazione delle guerre asimmetriche e ibride, ma l’invasione dell’Ucraina ha sconvolto queste previsioni restituendo importanza a quei reparti dell’intelligence militare a lungo negletti. Per l’Italia è il II Reparto informazioni e sicurezza (Ris) dello stato maggiore difesa ad avere questo compito, benché non sia integrato nel Sistema di informazione per la sicurezza della repubblica creato con la riforma del 2007. Il Ris collabora comunque con l’Aise e ha ufficiali distaccati nelle principali organizzazioni come la Nato e l’Unione europea, oltre che nelle missioni militari italiane all’estero.

La nuova rete satellitare Cosmo-SkyMed, realizzata da Thales Alenia Space per l’Agenzia spaziale italiana, è al servizio del II Reparto, che può quindi elaborare e analizzare preziosi dati satellitari ed elettronici a fini militari. Dal Centro interforze telerilevamento satellitare, all’interno dell’aeroporto di Pratica di Mare, il Ris può scandagliare dal cielo con alta risoluzione varie regioni del mondo, tra cui l’Ucraina, e ricavare informazioni importanti. All’interno del Ris opera il Centro intelligence interforze, che fornisce alle forze armate anche supporto di telecomunicazioni e dati operativi. Non è un caso che l’aereo-spia Gulfstream caew dell’aeronautica militare, acquistato da Israele, sia stato mandato a sorvolare i cieli della Romania per raccogliere dati sugli occupanti russi, senza entrare nello spazio aereo ucraino, a beneficio della Nato e di Kiev. Operatori dell’Aise insieme a forze speciali e ufficiali del Ris hanno coordinato la consegna degli armamenti ceduti da Roma all’esercito ucraino, transitati dalla Polonia e fatti passare in maniera discreta per non attirare i missili russi.

La guerra di intelligence è destinata a diventare uno strumento stabile nelle dinamiche globali e la militarizzazione degli apparati spionistici è una conseguenza naturale del contesto di sicurezza degradato rispetto a vent’anni fa. Gli Stati Uniti guidano tale tendenza ma paesi come la Russia, Israele e le potenze asiatiche ne sono altrettanto maestre, i paesi europei ne stanno imparando l’importanza dalla guerra in Ucraina.

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