Il nuovo numero di Scenari, la pubblicazione geopolitica di Domani, è questa settimana dedicato alla guerra di Joe Biden: il conflitto ha rivitalizzato l’interventismo americano dopo gli anni del disimpegno, ma il paese deve affrontare divisioni interne e un sistema politico in crisi. In venti pagine, gli approfondimenti inediti firmati da Dario Fabbri, Mara Morini, Manlio Graziano, Lorenzo Castellani e altri analisti – oltre alle mappe curate dai cartografi Bernardo Mannucci e Luca Mazzali (faseduestudio/Appears) – analizzano il coinvolgimento degli Stati Uniti nella guerra in corso in Ucraina e nella ridefinizione dell’ordine mondiale. 

Cosa c’è nel nuovo numero

(AP Photo/Andrew Harnik)

Il politologo Gabriele Natalizia esamina le opzioni strategiche a disposizione dell’amministrazione Biden per sconfiggere le minacce russa e cinese: tra impegno, disimpegno, leadership selettiva e isolamento, la Casa Bianca deve valutare le responsabilità e il grado di coinvolgimento per riaffermare il ruolo di garante dell’ordine globale.

L’analista Dario Fabbri si interroga sull’opposizione della Turchia all’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato: Erdogan esige infatti l’interruzione di ogni aderenza di Stoccolma e Helsinki alla causa del Kurdistan anatolico e siriano, ma il perseguimento dei propri interessi mette Ankara in tensione con Washington e la rende indifferente all’espansione russa.

La politologa Mara Morini passa invece in rassegna gli ultimi trent’anni di tensione tra Russia e Stati Uniti, dall’entusiasmo frustrato di Clinton alla svolta di Bush, dai tentativi “moderati” di Obama fino al populismo ondivago di Trump: Biden ha ricevuto in eredità un trentennio di diplomazia pubblica americana segnato da una conflittualità crescente. Oggi l’invasione dell’Ucraina ha anche confermato la tendenza dei media a polarizzare il “conflitto di idee” tra i due paesi. 

A seguire, si parte dall’affermazione diffusa per cui la guerra in Ucraina sia nata dall’insicurezza personale di Putin. Ma anche la mentalità e la presunzione dei russi di “avere di meglio” ha avuto un ruolo. Il mix tra superiorità morale e complessi d’inferiorità genera mostri, come spiega lo scrittore Roland Merullo.

L’analista Matteo Pugliese descrive poi come il conflitto in Ucraina sia il culmine di un percorso di trasformazione dei servizi segreti in apparati sempre più militarizzati e abilitati all’uso della forza. Washington ha iniziato la metamorfosi con la lotta al terrore, e oggi guida la tendenza: la guerra di intelligence è destinata a diventare uno strumento stabile nelle dinamiche globali.

AP

Viene poi presentato un estratto dal libro di Daniel Immerwahr, L’impero nascosto. Breve storia dei Grandi Stati Uniti d’America, edito nella sua versione italiana da Einaudi (2020). Nel 1945 l’impero americano ha raggiunto la sua massima espansione arrivando a governare quasi 135 milioni di persone fuori dal suo continente, tra basi militari, territori occupati e colonie. Ma finita la guerra, l’anti imperialismo e la tecnologia hanno spinto gli Stati Uniti verso un nuovo modello imperiale, fatto di controlli indiretti, legami commerciali, e intelligence.

L’analista Manlio Graziano approfondisce in seguito il concetto di declino relativo degli Stati Uniti: gli Usa non hanno mai smesso di crescere, ma dagli anni Cinquanta in poi sono cresciuti a un ritmo inferiore rispetto al resto del mondo, dunque la quota della ricchezza globale prodotta dall’America è diminuita, con ovvie conseguenze geopolitiche. Il problema principale, però, non sta nel declino in sé, quanto nel fatto che gli americani non riconoscono questa loro condizione, per ragioni di orgoglio, di calcolo elettorale, o di pura e semplice ignoranza.

Sedici mesi fa era difficile immaginare che il neoeletto presidente avrebbe toccato livelli di impopolarità così alti. Il politologo Mattia Diletti analizza due aspetti fondamentali attraverso i quali contestualizzare i dati dell’attuale fase politica negativa di Joe Biden: il primo è legato al fatto che il paese vive in una condizione permanente di guerra civile fredda, nella quale il richiamo alla “guerra giusta” è uno strumento potente di mobilitazione; il secondo è che il sistema politico americano sembra in realtà non sopportare un livello di polarizzazione così alto. La compresenza di entrambe le condizioni rischia di portare il sistema alla paralisi. 

Lo storico Lorenzo Castellani fa poi luce sulle spaccature interne avvenute in quasi tutti i partiti politici dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, e sul caso forse più eclatante, quello del Partito repubblicano americano. Un numero schiacciante di elettori repubblicani non approva la gestione della crisi ucraina da parte di Biden, ma il Gop oscilla fra interventismo e isolazionismo fin dalle sue origini.

Nell’analisi successiva, il politologo Carlo Invernizzi Accetti rileva che la guerra di Putin ha messo ai margini la sinistra radicale americana: l’assenza del nemico comune Trump e le debolezze della strategia elettorale hanno portato l’ala sinistra del Partito democratico all’irrilevanza. Il sostegno all’invio di armi all’Ucraina ne è un esempio emblematico.

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A seguire, il diplomatico Giovanni Castellaneta spiega come Mosca stia involontariamente rafforzando le relazioni tra Stati Uniti e Unione europea: il dibattito sul rafforzamento difensivo e strategico ha infatti rinvigorito il sistema di alleanze che Trump aveva indebolito. 

Il ricercatore francese Thomas van der Allen presenta poi la sua analisi su un concetto strategico che in tempi recenti è stato frettolosamente sepolto: per spiegare i motivi dell’invasione russa dell’Ucraina, funzionari e analisti occidentali spesso indicano il desiderio della Russia di mantenere o espandere la sua “sfera di influenza”, ma cosa intendiamo con “sfere di influenza”? Da dove viene la loro ragione d’essere? E sono così anacronistiche nel Ventunesimo secolo come si dice? All’origine dell’idea c’è il dibattito sul mercato.

Il politologo Francesco Strazzari fa poi il punto sulla Crimea, le cui coste settentrionali hanno avuto un ruolo decisivo nel plasmare la geopolitica europea. Dal Khanato di Crimea fino agli ultimi trent’anni, che hanno visto una storia fitta di scontri, spesso legati a dinamiche estorsive e mafiose.

Infine, lo storico Raffaele Nocera ci guida sulla prospettiva dell’America Latina, spiegando come la politica estera di Biden nei riguardi dei paesi del sud sia in sostanziale continuità con quella dei suoi predecessori. Un approccio caratterizzato da iniziative estemporanee finalizzate a portare a casa qualche risultato di corto respiro, ma deficitario di una specifica strategia regionale.

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