Dopo un tentativo fallito, la Camera dei rappresentanti americana, dove c’è una lieve maggioranza repubblicana, ha votato a favore di una mozione di censura della deputata dem di origine palestinese Rashida Tlaib, che fa parte della cosiddetta “squad”, la piccola corrente di sinistra radicale guidata dalla rappresentante newyorchese Alexandria Ocasio Cortez.

Il voto è stato però una sorpresa: insieme alla maggior parte del gruppo repubblicano, si sono uniti anche ventidue democratici. In gran parte si tratta di centristi che sono stati eletti in collegi in bilico, persone note per la loro vicinanza a Israele, come il deputato dell’Illinois Brad Schneider e anche semplicemente rappresentanti eletti in stati come Florida e New York, che ospitano molti elettori di origine ebraica.

A sorpresa, quattro repubblicani di inclinazione libertaria hanno votato contro, tra cui due conservatori come Ken Buck del Colorado e Thomas Massie del Kentucky. Il totale del computo dei voti è stato di 234 favorevoli contro 188 contrari.

La censura

Che cos’è però una censura? Di fatto si tratta di una pubblica reprimenda che viene letta dallo speaker della Camera dove il rappresentante in questione viene “umiliato” di fronte ai suoi colleghi. Alle volte, come nel caso del deputato repubblicano ipertrumpiano Paul Gosar, censurato nel novembre 2021, quando la maggioranza dell’assemblea era in mano dem, per aver pubblicato un video in stile anime nipponico dove un personaggio con il suo volto ne uccideva uno con la faccia di Alexandria Ocasio Cortez.

Nel caso di Tlaib però non ci sono gravi conseguenze ed è anche la ragione per cui uno dei repubblicani contrari, il rappresentante della California John Duarte ha detto che si tratterebbe solo «di una perdita di tempo, perché per parlare di alcune prese di posizione idiote basta il nostro staff della comunicazione».

Frizioni interne

Certo non è una novità che l’elettorato dem sia sempre più critico nei confronti dello stato d’Israele e di quella che viene ritenuta un’eccessiva vicinanza da parte statunitense. La posizione di Tlaib però è stata più radicale anche del resto dei suoi colleghi di corrente.

Già subito dopo gli attacchi dello scorso 7 ottobre aveva accusato Israele di aver creato «un sistema di apartheid disumanizzante e soffocante che può creare le condizioni per far nascere un movimento di resistenza». Nelle settimane successive aveva dichiarato che gli americani non sostengono la posizione di Biden su Israele e che gli Stati Uniti stavano supportando da lontano un “genocidio”.

Lo scorso 18 ottobre aveva anche accusato lo stato ebraico di aver bombardato un ospedale a Gaza causando decine di morti, rifiutando di scusarsi dopo che l’intelligence americana e numerose fonti indipendenti avevano stabilito che la causa più probabile di quell’esplosione è stato un razzo palestinese difettoso.

Dal fiume al mare

L’aspetto però più controverso che ha spinto diversi dem a punire la loro collega è stata la sua difesa del controverso canto di origine palestinese “From the river to the sea”.

Le strofe di questo coro che viene spesso usato nelle manifestazioni dei sostenitori della causa dicono che un giorno la Palestina sarà libera dal fiume Giordano fino al Mediterraneo. Perché, ha detto diverse volte Tlaib, un giorno ci sarà uguaglianza e autodeterminazione per i palestinesi in Terrasanta e non ci saranno più discriminazioni.

Per altri, come il deputato dem Steve Cohen del Kentucky, si tratta di un implicito invito alla distruzione dello stato ebraico per realizzare una nuova entità araba al 100 per cento, rimarcando che in modo molto colorito che non voleva essere preso in giro dalla collega.

Da parte sua la deputata sotto accusa ha sempre respinto quelle che lei chiama «insinuazioni piene di distorsioni e bugie vere e proprie», mentre la collega Cori Bush del Missouri ha detto che «le minacce di morte» che Tlaib sta ricevendo sono spinte anche dai colleghi che hanno partecipato al voto.

Gli effetti collaterali

Una risoluzione molto simile era stata invece respinta la scorsa settimana, firmata dalla deputata ipertrumpista Marjorie Taylor Greene, anche perché si diceva che la collega dem avesse incitato «un’insurrezione».

L’uso delle mozioni di censura per punire delle posizioni assunte verbalmente però pone dei problemi nel lungo periodo, perché già quest’anno era capitato al dem Adam Schiff subire un simile provvedimento per aver citato la possibile collusione di Trump con agenti russi durante la campagna elettorale presidenziale del 2016.

Viene messa a rischio una delle prerogative dei membri del Congresso, ovvero quella di potersi esprimere liberamente anche con accenti estremi e controversi. Inoltre è una notevole perdita di tempo in un momento dove l’assemblea dovrebbe votare sugli aiuti militari da destinare a Kiev e Tel Aviv e trovare un accordo nel giro di poco più di una settimana per evitare un nuovo shutdown del governo federale, senza che il nuovo speaker della Camera Mike Johnson abbia espresso proposte di sorta.

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