Dopo tre settimane di stallo è finita la telenovela repubblicana sull’elezione del nuovo speaker con la scelta del deputato della Louisiana Mike Johnson. Fino a poco tempo fa, era un misconosciuto rappresentante, spiccava per il suo anonimato, tanto che la senatrice Susan Collins ha dichiarato che avrebbe avuto bisogno di “googlarlo” prima di lavorare con lui.

Appartiene alla destra cristiana, da semplice deputato all’assemblea statale ha promosso leggi contro il matrimonio omosessuale, non votate da larga parte dei suoi colleghi di partito. Nel 2019 ha addirittura difeso durante una seduta del Congresso il controverso terapista Joseph Nicolosi, noto per promuovere lo screditato metodo di “conversione” degli omosessuali.

Nonostante questo, Johnson ha ottenuto il favore anche dei moderati non solo per sfinimento, ma anche per i suoi modi molto diversi rispetto all’incendiario Jim Jordan, deputato dell’Ohio, noto per le sue posizioni oltranziste su fisco e immigrazione, definito dall’ex speaker repubblicano John Boehner «un terrorista politico».

Trumpiano

Eppure, Johnson non è meno trumpiano di Jordan, anzi, è stato uno dei più attivi difensori dell’ex presidente durante i due processi di impeachment e ha promosso la teoria cospirazionista delle «elezioni rubate».

Difficile stabilire se è stato parte attiva di quella che appare un’operazione politica lanciata da Trump e dalla sua cerchia ristretta, ormai composta di alleati sempre meno chiassosi e più efficienti. Sin dal giorno dopo la sfiducia di McCarthy, l’autore di questa manovra congressuale, il rappresentante della Florida Matt Gaetz, forse l’alleato più stretto dell’ex presidente, noto per i toni enfatici con cui definisce il tycoon, aveva proposto il nome di Johnson come nuovo presidente dell’assemblea.

Idea bocciata, ovviamente, non si poteva dar credito in quel momento a un paria a rischio di espulsione. Poi sono state bocciate tre candidature di fila: quella del leader di maggioranza Steve Scalise, il già citato Jim Jordan e anche il deputato del Minnesota Tom Emmer, un moderato favorevole ai matrimoni egualitari, noto per i compromessi bipartisan e per aver rigettato le teorie del complotto di Trump sulle presidenziali 2020.

L’ex presidente si è attivato personalmente per definirlo sulle pagine social di Truth come «repubblicano solo di nome» e «globalista», una figura «che non riconosce gli scopi del movimento Maga». Emmer si è ritirato dopo quattro ore, Trump si è vantato di averlo “assassinato” politicamente, prima di annunciare il suo endorsement a Johnson. Risultato? Trump riesce per la prima volta a scegliere personalmente uno dei leader del Congresso, pronto ad assecondare qualsiasi sua scelta, anche le più radicali.

Un alleato al Congresso

Il radicalismo non è certo un problema per il nuovo leader della Camera dei rappresentanti. Sull’aborto ha proposto la criminalizzazione a livello federale. Adesso l’ex presidente, qualora dovesse tornare alla Casa Bianca, sa che in uno dei due rami del Congresso c’è una persona pronta a realizzare i suoi desideri, non come nel caso di McCarhty, che tentava di conciliare le varie anime del partito.

Solo con un dominio della leadership al Congresso, Trump avrebbe potuto avere qualche speranza di annullare il voto in alcuni stati “discussi”. Nei prossimi mesi potrebbe finire nel suo mirino l’ultimo bastione del vecchio repubblicanesimo, il leader del gruppo al Senato Mitch McConnell.

Ha già sventato un tentativo di sfiducia lo scorso anno, ma i suoi ben noti problemi di salute, causati da una caduta lo scorso febbraio, la sua stretta vicinanza con il presidente Joe Biden sulle questioni relative alla posizione dell’America nel mondo, potrebbero provocare una nuova rivolta all’interno del gruppo repubblicano, per arrivare alla nominar di un altro trumpiano al suo posto.

Tornando alla Camera però, al neospeaker Johnson già spetta un difficile negoziato con la Casa Bianca riguardante un pacchetto omnibus di aiuti militari destinato a Ucraina, Israele e Taiwan da 106 miliardi di dollari e anche sul budget federale, con lo shutdown che incombe il prossimo 17 novembre. Johnson dovrà dimostrare di saper andare oltre le sue convinzioni e di rischiare, potenzialmente, lo stesso destino di McCarthy per aver siglato un accordo coi democratici.

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