Quando due partiti diversi controllano presidenza e Congresso nella politica americana, è ormai scontato che si vada allo scontro per qualche motivo. Se ai tempi di Barack Obama era controverso il finanziamento della sua riforma sanitaria, la cosiddetta Obamacare, con Donald Trump era diventato oggetto di conflitto la costruzione del muro al confine con il Messico. Oggi, che alla Casa Bianca c’è il democratico Joe Biden e alla Camera dei Rappresentanti c’è un esile maggioranza guidata dallo speaker, il repubblicano Kevin McCarthy, al centro c’è la spesa pubblica.

Dopo un quadriennio trumpiano che è stato segnato da un altissimo deficit, che nell’ultimo biennio ha sfondato la quota del 10 per cento annuale, il Gop ha riscoperto la responsabilità fiscale che è l’argomento principe del loro ragionamento, soprattutto quando sono all’opposizione. Data la scadenza del 1° giugno, il tempo non è molto a disposizione, così McCarthy ha presentato una proposta di budget che di fatto bloccherebbe quelle che sono le cosiddette “spese discrezionali” che non toccherebbero il dipartimento della difesa, la spesa sanitaria per i veterani e ovviamente la spesa pensionistica della Social Security e del Medicare, il programma sanitario dedicato agli anziani.

Bersagli

Quindi cosa resta? Ovviamente quello che è da qualche anno uno dei bersagli del partito repubblicano: la spesa federale in istruzione e il welfare. Una proposta non ricevibile, ma che è stata smussata verso un possibile compromesso coi dem: un budget biennale che vada oltre le elezioni presidenziali del 2024 con il congelamento dei livelli di spesa attuali. Con un’inflazione sostenuta, di fatto, si tratterebbe di un taglio. Così i repubblicani potrebbe cantare vittoria, mentre i dem, dal canto loro, potrebbero affermare di aver tenuto testa all’opposizione trumpizzata. Il diavolo, però, è nei dettagli. Questo congelamento includerebbe anche la spesa militare? E includerebbe anche le nuove condizionalità chieste riguardo ai riceventi sussidi pubblici?

Non solo: entrambi i leader hanno un mandato non pieno nei negoziati. Da un lato i progressisti chiedono che il presidente cessasse i negoziati con quelli che il magazine progressista The American Prospect ha definito “terroristi legislativi” e che Biden invochi il rispetto del quattordicesimo emendamento, una modifica costituzionale approvata nel 1868 che, oltre a conferire la cittadinanza statunitense agli ex schiavi afroamericani, impediva che venisse ridiscusso il debito contratto dal governo federale durante la guerra civile contro gli stati secessionisti. Uno strumento però che verrebbe probabilmente messo sotto esame di costituzionalità e potrebbe finire di fronte alla Corte Suprema.

Dall’altro lato l’ala destra dei repubblicani, capeggiata dal deputato texano Chip Roy, storico critico dello speaker McCarthy, che è interessata a un’altra strada: votare un budget a maggioranza alla Camera e votarne un altro al Senato grazie all’aiuto dei due dem dissidenti Joe Manchin e Kyrsten Sinema e giungere con una bozza pronta di fronte al presidente Biden, mettendolo di fronte all’opzione binaria tra firma e default. Rispetto ad altre crisi del passato, c’è un ulteriore fattore di rischio: dallo scorso 19 gennaio sono già attive le cosiddette “misure straordinarie” del dipartimento del Tesoro per continuare a finanziare il debito pubblico senza passare da un’autorizzazione congressuale, una serie di manovre finanziarie atte a reperire i capitali necessari per pagare il debito in essere. Quale opzione resta quindi al presidente Biden per uscire da questa impasse?

Le prospettive

Ci può essere un finanziamento a breve termine, come già accaduto in passato, per il quale bastano solo cinque esponenti repubblicani moderati. Cosa tutt’altro che scontata, dato che il prossimo anno questi rappresentanti potrebbero dover difendere la loro decisione di fronte a uno sfidante trumpiano alle primarie. La Casa Bianca potrebbe anche forzare la mano facendo approvare un budget diverso dalla maggioranza dem al Senato e mettere la Camera di fronte al fatto compiuto, un azzardo molto rischioso.

Oppure chiedere alla segretaria al Tesoro Janet Yellen di tentare ulteriori misure fino al 15 giugno, la deadline per il pagamento delle tasse trimestrali da parte delle imprese, cosa che prolungherebbe i negoziati per gran parte dell’estate. Oppure ci sono altre tre vie controverse: in primis, usare i fondi della Social Security, che ammontano a circa duemila miliardi e 800 milioni di dollari per pagare il debito per riempire le casse in un secondo tempo, quando la crisi sarà risolta.

Oppure vendere parte delle riserve auree o coniare una moneta di platino da mille miliardi da versare nella Federal Reserve. Due gesti estremi che probabilmente gli investitori vedrebbero come equivalenti del default. Più probabilmente, alla fine, un accordo verrà trovato con una formula che accontenti gli elettori di entrambi i partiti, in modo da soddisfare le reciproche narrazioni politiche. Fino alla prossima crisi, ormai ritenuta salutare specie per gli apparati comunicativi dei repubblicani e dei democratici.

© Riproduzione riservata