L’inaspettato endorsement a Nikki Haley dal magnate repubblicano Charles Koch, fatto attraverso la sua organizzazione politica Americans for Prosperity (Afp), ha smosso le primarie repubblicane, che da qualche mese sembrava ormai inamovibile rispetto allo status quo: dopo una fiammata del governatore della Florida Ron DeSantis, il dominio di Donald Trump si è via via rinsaldato sul campo.

Complice, come nel 2016, una grande frammentazione del campo avversario, che ancora non ha fissato in mente una lezione che viene da quella campagna elettorale: non esistono due primarie, una per Trump e l’altra per i suoi avversari. Ne esiste una sola e Trump va battuto direttamente nel campo repubblicano.

Un’impresa impossibile

Haley lo sa. È consapevole di avere il profilo giusto per l’impresa: ex governatrice del South Carolina e ambasciatrice presso le Nazioni Unite dal 2017 al 2018, ironia della sorte proprio nel primo biennio presidenziale di Donald Trump. Le sue buone performance nei tre dibattiti repubblicani non hanno attirato solo le attenzioni degli analisti e dei commentatori, ma anche di chi finanzia le campagne.

L’organizzazione di Koch è solo l’ultima di una serie di sostegni ricevuti dall’ex ambasciatrice, che lo scorso 1° novembre ha incontrato a porte chiuse Miriam Adelson, ereditiera del defunto marito Sheldon, magnate dei casinò di Las Vegas noto per essere stato uno dei principali finanziatori di Trump.

Non sappiamo quale sia stato il risultato di questo incontro, sappiamo però che la governatrice ha già incassato il sostegno di altri facoltosi esponenti del mondo economico: Stanley Druckenmiller ed Eric Levine, due investitori che avevano scelto in prima battuta di sostenere il senatore del South Carolina Tim Scott, la cui campagna elettorale però è andata maluccio.

Un altro retroscena mai smentito pubblicato da Axios parlava di un altro meeting lontano dai riflettori con Jamie Dimon, l’amministratore delegato di JPMorgan Chase, che avrebbe dichiarato che Haley è la persona ideale per unire il paese. Fino a ieri, sembrava comunque un’impresa difficilmente realizzabile: con il sostegno di un’infrastruttura politica gigantesca però cambia tutto.

Persino in Iowa, dove Haley aveva poche speranze, dato che nelle ultime settimane il suo principale rivale, il governatore della Florida Ron DeSantis, aveva raccolto il sostegno della governatrice repubblicana Kim Reynolds e del leader evangelico Bob Vander Plaats.

Il cambiamento

Adesso dal nulla, come scritto nero su bianco dalla presidente di Afp Emily Seidel, Haley potrà contare «sul maggiore network di militanti, presente in cinquanta stati»: questo vuol dire che ci saranno centinaia di nuovi organizzatori presenti in Iowa per portare il suo messaggio letteralmente casa per casa.

Non solo: Seidel ha annunciato uno sforzo aggiuntivo che implica l’invio di materiale elettorale via posta (molto utile per l’elettorato bianco e anziano), via web insieme all’acquisto di spazi pubblicitari in televisione. Tutto perfetto per Haley: non si capisce solo, in prima battuta, come mai Charles Koch, uno dei maggiori sostenitori della fine delle “guerre infinite”, favorevole a un approccio realista nel campo delle relazioni internazionali, voglia favorire una candidata come l’ex ambasciatrice che invece ha aspramente criticato il ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan, approvato sia da Trump che da Joe Biden, così come ha sempre spinto per un sostegno continuativo all’Ucraina nel suo confronto militare ormai quasi biennale con la Russia.

La risposta, forse, si trova in Believe in People: Bottom-Up Solutions for a Top-Down World, libro uscito all’indomani delle elezioni presidenziali del 2020 firmato proprio da Charles Koch insieme con il suo stretto collaboratore Brian Hooks, presidente dell’organizzazione filantropica Stand Together.

In mezzo a una vasta analisi delle fratture della società americana, il magnate scriveva molto chiaramente: «Ragazzi, abbiamo combinato un casino», riferendosi al suo decennio di finanziamento di decine e decine di candidati antitasse e antiguerra come i senatori repubblicani Ted Cruz e Rand Paul, di certo non due esempi di apertura al compromesso. Quindi l’appoggio di Koch è da leggersi in quest’ottica: e del resto non c’è miglior viatico per il business della pace sociale che certo Haley garantirebbe molto meglio di Trump e in un certo senso anche di Biden.

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