Svuotare la Striscia, l’Idf si mette sull’attenti: la deportazione punta anche sulla Libia

È deciso. Nonostante i pareri contrari, le Forze di difesa israeliane (Idf) hanno approvato il piano generale per le prossime fasi dell’operazione nella Striscia di Gaza. La mossa – annunciata proprio dal primo oppositore al piano di Netanyahu, il capo di stato maggiore Eyal Zamir – consolida l’idea di una nuova avanzata su Gaza City e arriva mentre dentro Israele il consenso politico su tempi e modalità della guerra continua a franare. Ma non basta: Netanyahu tira dritto. Il nodo resta la tenuta dell’esercito. Il governo, incapace di assicurarsi la maggioranza, ha dovuto rinviare il voto per estendere gli ordini di richiamo dei riservisti: un ulteriore segnale di stanchezza e fratture nelle coalizione che, per un esercito fondato sul sistema di leva e riserva, non è marginale. Netanyahu vuole occupare anzitutto il prossimo voto Sul fronte diplomatico, la Spagna sposa l’ipotesi – già rilanciata nei giorni scorso dal presidente francese Emmanuel Macron – di una missione a guida Onu per «stabilizzare» la crisi a Gaza. Il cuscinetto internazionale servirebbe a porre fine a guerra e sofferenze; ma la strategia di Israele è quella di continuare il conflitto fino a quando – dice il premier israeliano – non avrà ucciso anche l’ultimo uomo di Hamas. Nel quadro generale, ogni tessera rischia di far saltare quella accanto: l’Idf che programma la prossima mossa, la politica israeliana che fatica a contenere la mobilitazione interna ed esterna (in queste ore è stata annunciata una marcia contro Israele a New York), l’Europa che continua a fare proclami, e un premier che cerca di spostare una popolazione intera come fosse un pacco. Se la diplomazia riuscirà a chiudere un accordo sugli ostaggi prima dell’ulteriore escalation, lo si capirà presto, anche in previsione del prossimo anniversario del 7 ottobre. In caso contrario, il conflitto entrerà in una fase ancora più dura, come sta già accadendo con la popolazione civile stremata e decimata a fare da cuscinetto tra piani militari, ideologia e ambizioni politiche. Idf, partiti e processi: gli ostacoli al piano Netanyahu. Che rilancia: «Chi ha a cuore i palestinesi li accolga» Esodo forzato Nel frattempo i media israeliani riferiscono dei negoziati di Israele con cinque paesi per ricollocare lì – in Libia, Somaliland, Uganda, Indonesia e Sud Sudan – i palestinesi della Striscia. In questa direzione vanno i colloqui israeliani con il governo del Sud Sudan per trasferire «su base volontaria», in un secondo paese già devastato da un’altra guerra, gli abitanti di Gaza. Nella mattinata di mercoledì 13 il governo del Sud Sudan ha definito infondate le notizie secondo cui il paese starebbe avviando discussioni in questa direzione ma l’incontro c’è stato. In un’intervista rilasciata a i24News, Benjamin Netanyahu ha dichiarato che Israele «non sta cacciando i palestinesi ma permette loro di andarsene» e ha così ribadito ai paesi «amici dei palestinesi» di «aprire le porte», evocando i precedenti di Siria, Ucraina e Afghanistan. A ribadire il concetto, ancora, ci ha pensato anche il ministro degli Esteri israeliano Gideon Sa’ar confermando che Israele non permetterà mai l’attuazione della soluzione dei due stati; ha invitato i paesi che sono a favore di questa ipotesi, a metterla in atto nel loro territorio. Niente debolezze per Israele. Questo neo-sionismo è senza pietas Parole che rimettono in circolo il progetto di reinsediamento «volontario», già ventilato in passato e respinto da larga parte della comunità internazionale: i palestinesi possono partire «se lo desiderano» e se qualcuno li accoglie. Per la maggior parte della popolazione civile il messaggio si traduce in un’altra Nakba (dall’arabo, catastrofe). Molti degli abitanti della Striscia oggi sono discendenti di chi sopravvisse all’espulsione forzata di oltre 800mila persone palestinesi avvenuto nel 1948 con la creazione dello stato di Israele. Le parole scelte da Netanyahu – «opportunità di lasciare» - fanno eco alle precedenti: «Non occupiamo Gaza, la liberiamo». L’altra Israele in piazza. L’Idf a Netanyahu: «Tutelare chi dissente» Esercito e ostaggi La linea politica deve dialogare con il calendario militare: spingere l’evacuazione dalle zone bersaglio mentre l’Idf prepara la presa dei quartieri chiave. In parallelo continuano le trattative per liberare gli ostaggi, vivi e morti, ancora nelle mani di Hamas, per poi procedere con l’assedio totale: è questo l’intento di Netanyahu. Dopo un periodo di stallo, i colloqui mediati da Egitto e Qatar tornano a esplorare una tregua che punti alla liberazione «tutti in una volta», quindi non più a fasi. La partita regionale s’incrocia con l’Iran: Francia, Regno Unito e Germania minacciano sanzioni se Teheran non tornerà al tavolo sul nucleare per trovare un accordo entro la fine del mese. Gaza, anche Merz ora attacca Israele: «Basta armi a Netanyahu» È un avviso che mira a contenere il fronte esterno del conflitto ma che aggiunge pressione su un equilibrio già piuttosto precario. Una guerra totale di cui è tornato a parlare il Pontefice. Dopo che anche Madonna gli ha chiesto via social di recarsi a Gaza, Papa Leone XIV si è smarcato dicendo che la Santa Sede non può fermare le guerre ma «con il dialogo sta cercando una soluzione».