Combattimenti in corso a Khartoum: la capitale sudanese è il teatro di uno scontro armato tra esercito regolare, sotto la guida del presidente Abdel Fattah al Buhran, e le milizie delle Rapid support forces (Rsf) del vicepresidente Hamdam Dagalo, detto Hemedti. Giunti assieme al potere con il golpe del 2019 che aveva defenestrato il generale Omar al Bechir, i due non si sono mai amati ed era noto che ad un certo punto sarebbero giunti ai ferri corti. Ciò che li teneva uniti era l’antagonismo contro la società civile e i partiti politici sudanesi che dal 2019 continuano a chiedere un governo civile ed il rientro dei militari (sia regolari che miliziani) nelle caserme.

Le dimissioni del premier civile Abdallah Hamdock, avvenute nel gennaio del 2022, avevano messo fine alla transizione verso un governo civile. La società sudanese, organizzata attorno alle Forze della libertà e del cambiamento (Ffc), era tornata in massa per strada, chiedendo le dimissioni di entrambi.

Alleati regionali

Dopo mesi di negoziati interni tra governo militare ed opposizione civile, qualcosa deve essersi rotto ed è scoppiata la guerra in città. Com’è noto i due contendenti hanno le proprie alleanze. Al Buhran è legato al Cairo di al Sisi, con il quale ha ottenuto una storica normalizzazione dopo decenni di contrasti.

Ugualmente il presidente ha mantenuto rapporti regolari con Addis Abeba ed il premier Abiy Ahmed, malgrado il contenzioso sulle acque del Nilo e la guerra in Tigray. Prova ne sia che il Sudan non ha reagito alle tensioni frontaliere nell’area (contesa) di al Fashaga, che avrebbe messo in difficoltà gli etiopici. Hemedti dal canto suo è alleato con gli eritrei ed ha legami di affari con il Golfo, in particolare con gli Emirati (dove si raffina l’oro estratto in Sudan). Ciò che accade a Khartoum ha addentellati regionali.

La questione Wagner

Alcuni osservatori si sono concentrati sulla questione Wagner, accusandola di essere dietro al tentato colpo a sostegno di Hemedti ma è ancora troppo presto per avvalorare un “golpe russo”. Hemedti era a Mosca proprio il 24 febbraio 2022, ha contatti con Evgenij Prigožin ed è in affari con la Wagner sulle miniere sudanesi. Tuttavia va considerato che anche al Burhan negozia con la Russia, in particolare sulla questione della base navale attorno a Port Sudan che Mosca cerca di ottenere sin dai tempi di al Bachir.

Il detonatore dello scontro

Entrambi i leader hanno i loro rapporti che corrispondono alla tradizionale abilità sudanese di tenersi in bilico tra vari attori internazionali. Vi sono relazioni con gli Usa e i paesi occidentali, grazie alla storica collaborazione del Sudan nella lotta antiterrorista. La società civile sudanese è un elemento da non sottovalutare: ha dimostrato una resilienza superiore ad altre, continuando tutt’ora a manifestare in maniera massiccia.

C’è chi sostiene che la continua pressione delle Ffc abbia fatto da detonatore dello scontro fra i due: ultimamente pareva raggiunto un ennesimo accordo sulla fine della governance militare. Va detto che una situazione normalizzata non conviene soprattutto a Hemedti.

Mentre i militari possono rientrare nelle caserme se viene loro garantita la proprietà di un pezzo importante di economia pubblica e una certa forma di controllo indiretto, per Hemedti è tutta un’altra storia. Da capo delle milizie Janjaweed è accusato di aver compiuto molteplici massacri di civili durante la guerra del Darfur (2003-2020 con varie fasi). Teme quindi che il ritorno al governo civile possa condurlo a dover rendere dei conti, a finire perfino davanti alla corte penale internazionale (cosa che rischia lo stesso al Bechir ancora in carcere). Nessuno si fida realmente degli ex Janjaweed, ragion per cui Hemedti e le sue Rsf potrebbero essere tentati di trincerarsi in una parte di paese, dividendo ancora il Sudan. 

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