«I russi? Non ci fanno paura. Sono già venuti una volta in città e li abbiamo respinti con le molotov e i fucili da caccia. Se torneranno, lo rifaremo». Incontriamo Viktor, veterano della guerra sovietica in Afghanistan, oggi pensionato, fuori da un centro per rifugiati nella città di Sumy, poche ore dopo che il presidente Volodymyr Zelensky ha annunciato che questa città dell’Ucraina nord-orientale potrebbe presto diventare il prossimo obiettivo di Vladimir Putin. «L’esercito russo si sta ammassando nei pressi del confine – ha annunciato Zelensky sabato sera – Questo indica il desiderio di colpire la città di Sumy».

A mettere in pericolo Sumy è stato il collasso del fronte di Kursk, in Russia, che si trova a poche decine di chilometri di distanza. Dopo aver occupato centinaia di chilometri quadrati di territorio russo per oltre sette mesi, nell’ultima settimana i soldati di Kiev si sono ritirati in tutta fretta.

Ad oggi, occupano soltanto una sottile striscia di territorio oltre il confine, mentre i russi lanciano attacchi in territorio ucraino per tagliare le loro linee di comunicazione. Se ripiegheranno ulteriormente, rischiano di esporre all’assalto russo la città di Sumy, che dal confine dista appena trenta chilometri.

Poco lontano dal centro per rifugiati, incontriamo Oleh, un soldato della Guardia di frontiera ucraina, venuto in città a caricare acqua per la sua postazione. Come quelli che hanno visto da vicino la situazione in prima linea, è molto meno sprezzante del pensionato Viktor. «Com’è la situazione al fronte? Molto difficile», dice. Ha la barba lunga e gli occhi cerchiati di stanchezza. Racconta che la sua unità è al fronte da un anno e non sa ancora quando sarà il loro turno di riposarsi nelle retrovie.

Accerchiamento fantasma

La sonnolenta Sumy, che prima della guerra aveva 250mila abitanti, è diventata negli ultimi giorni uno dei punti focale della diplomazia internazionale. Qui, in un certo senso, si gioca il futuro del cessate il fuoco in Ucraina proposto alla Russia dagli Stati Uniti. La tregua avrebbe dovuto essere senza condizioni, un prendere o lasciare, e il presidente americano, Donald Trump, aveva minacciato nuove sanzioni se il Cremlino non avesse accettato.

Putin, però, ha preso tempo, dicendo di essere a favore del cessate il fuoco, ma ponendo una serie di ulteriori condizioni. Secondo molti, per dare il tempo alle sue truppe di sgomberare le ultime unità ucraine ancora presenti sul suolo della Federazione russa.

Di fronte a queste tattiche dilatorie, Trump ha sorpreso ancora una volta tutti. Invece di punire Putin, gli ha rivolto un appello a «risparmiare» le migliaia di soldati ucraini che sarebbero stati circondati a Kursk. Richiesta subito accolta da Putin, che ha invitato gli ucraini ad arrendersi, ottenendo di nuovo l’apprezzamento di Trump per la sua buona volontà.

Ma Kiev e gli analisti indipendenti negano che questo accerchiamento sia reale. La sconfitta di Kursk è stata inaspettata nella sua rapidità. Molti soldati sono dovuti scappare attraverso i boschi, abbandonando i loro equipaggiamenti pesanti, e alcuni sono stati catturati (400, secondo la Russia). Ma migliaia di soldati accerchiati? Impossibile.

Confermarlo resta difficile fino a che Kiev manterrà il divieto d’accesso per tutti i giornalisti su questo fronte. Da mesi, gli unici che sono riusciti a entrare a Kursk sono un team di reporter francesi della rete TF1. Ma tutti i soldati che abbiamo incontrato a Sumy negano che migliaia di loro commilitoni siano a rischio di accerchiamento.

Città-caserma

La situazione a Sumy e nei dintorni rimane molto tesa. Ai posti di blocco intorno alla città, gli agenti dell’intelligence sono estremamente scrupolosi nei loro controlli, mentre pattuglie miste di militari e polizia sorvegliano le strade. Con l’arrivo massiccio di rinforzi per tamponare il crollo di Kursk, la città si è riempita di soldati e veicoli militari, molti marchiati con il triangolo bianco che segnala la partecipazione all’operazione oltre confine. Alberghi e affittacamere sono al completo per il massiccio afflusso di uomini in uniforme.

I russi cercano di bloccare gli ucraini bombardando costantemente la città. Sumy è ancora molto lontana dai cannoni di Mosca, ma droni e missili a lungo raggio arrivano ogni notte e spesso anche durante il giorno.

«La situazione è peggiorata nell’ultimo mese, con l’inizio dell’offensiva russa su Kursk», ci dice Liubov Sitak, giornalista del portale locale Kordon. Mentre parliamo nella piazza principale della città, in sottofondo si sente l’artiglieria ucraina sparare verso le linee russe.

Il panico ancora non c’è

Anche se la situazione è tesa, in città non c’è ancora il panico. Domenica, i centri commerciali di Sumy erano pieni di visitatori e, nelle ore di sole, i parchi della città si sono riempiti di famiglie a passeggio. Ma nei villaggi a nord ed est, verso il confine russo, la situazione è molto diversa.

Sabato, il governatore militare della regione ha ordinato l’evacuazione di due province dove si trovano una mezza dozzina di villaggi. La Croce Rossa ucraina e una speciale unità della polizia, gli “Angeli bianchi”, compiono evacuazioni quasi tutti i giorni, seguendo la stessa pericolosissima strada che percorrono i rinforzi militari diretti a Kursk.

Percorrerla è così rischioso che raramente i soccorritori portano via più di una famiglia per volta. Gli evacuati vengono contattati soltanto poche ore prima della partenza, in genere all’alba o al crepuscolo, i momenti in cui ci sono meno droni russi in circolazione. «Soltanto i veicoli blindati possono percorrere quella strada», dice Katerina Arisoy, direttrice del centro per rifugiati Pluriton, da dove negli ultimi mesi sono passati oltre 12mila rifugiati. Oltre Pluriton, in città ci sono un’altra mezza dozzina di centri simili.

Iura, 62 anni, si è dovuto mettere in salvo da solo. Dal suo villaggio a poche centinaia di metri dal confine, Myriopyllia, ha camminato per dieci chilometri fino al capoluogo provinciale, da dove è riuscito a farsi trasportare in un centro per rifugiati di Sumy. Ha deciso di andarsene dopo che una bomba planante russa ha colpito una palazzina di due piani, uccidendo due persone.

In questa situazione i negoziati e le possibilità di pace sembrano a molti una fantastica illusione. Svetlana Ivanova ha trascorso quasi tre anni da rifugiata. È fuggita da Mariupol, la città distrutta dall’assedio russo nei primi mesi di guerra, alla fine del marzo 2022 e dopo un’odissea di due mesi è arrivata in un villaggio poco lontano da Sumy.

«Ma anche lì c’erano bombardamenti – racconta – Così mi sono detta: “Non riuscirò a sopravvivere a tutto questo per una seconda volta” e così dei volontari sono venuti a prendermi e mi hanno portato in questo centro».

Ora, se non ci sarà presto un cessate il fuoco, rischia di dover lasciare anche Sumy. Lei però, alla pace non ci crede più. «Putin non accetterà mai. Si inventerà di tutto, troverà un sacco di scuse. Ho visto cosa ha fatto dal 2014 e non ho nessuna speranza che voglia davvero la pace».

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