I leader cinesi avevano letto i sondaggi, che hanno sempre visto in testa William Lai Ching-te e Hsiao Bi-khim, il presidente e la vice-presidente eletti di Taiwan, che Pechino considera “indipendentisti irriducibili”. Il risultato elettorale di sabato, quindi, non è una sorpresa.

Mercoledì scorso, incontrando a Washington il vice consigliere per la sicurezza nazionale, Jonathan Finer, il responsabile del dipartimento internazionale gli ha ricordato le “linee rosse” del partito comunista. Liu Jianchao ha sottolineato che «la questione di Taiwan è al centro degli interessi fondamentali della Cina. È la linea rossa che non deve mai essere oltrepassata», esortando l’amministrazione guidata da Joe Biden a «smettere di inviare segnali sbagliati alle forze separatiste dell’indipendenza di Taiwan».

Con il faccia a faccia tra i due governi del 15 novembre scorso a San Francisco, cinesi e statunitensi sono tornati a parlarsi e – complici i grattacapi che l’Ucraina e il Medio Oriente stanno dando a Biden e le preoccupazioni di Xi Jinping per il rallentamento economico della Cina – si sono accordati per evitare che la contesa su Taiwan vada fuori controllo come nell’agosto 2022, quando la visita sull’isola della speaker della Camera, Nancy Pelosi, stava per innescare una quarta crisi dello Stretto.

Non a caso le reazioni alla storica terza elezione consecutiva di un presidente del Partito progressista democratico (Dpp), che considera l’indipendenza dell’isola “un dato di fatto”, sono state, da entrambe le parti, improntate alla prudenza.

Da Pechino è arrivata una dichiarazione di prammatica: «La nostra posizione nel risolvere la questione di Taiwan e realizzare la riunificazione nazionale rimane coerente e la nostra determinazione è ferma come la roccia», ha riferito il portavoce dell’ufficio per gli affari di Taiwan del governo cinese. «Non sosteniamo l’indipendenza di Taiwan», si è limitato a dichiarare Biden.

Ma il messaggio di congratulazioni inviato da Washington a Lai non è andato giù all’amministrazione cinese (che ha criticato anche quello del vicino Giappone). La dichiarazione americana, si legge in una nota del ministero degli Esteri cinese, «invia un segnale profondamente errato alle forze separatiste a favore dell'indipendenza di Taiwan. Lo deploriamo fortemente e ci opponiamo fermamente».

Resta da capire come Xi Jinping reagirà alla visita di una delegazione americana non ufficiale inviata dal presidente Biden a Taipei. Secondo il Financial Times, la Casa Bianca ha incaricato l'ex vice segretario di Stato democratico, James Steinberg, e l'ex consigliere repubblicano per la Sicurezza nazionale, Stephen Hadley, di guidare la delegazione bipartisan che avrà colloqui con una serie di figure politiche di spicco.

Scintille

I risultati del voto sono stati ampiamente criticati dalla Cina. «Non rappresentano l’opinione della maggioranza sull’isola», ha detto Chen Binhua, portavoce dell’Ufficio degli Affari su Taiwan del Consiglio di stato. «Le elezioni non cambieranno il quadro di base e la tendenza allo sviluppo delle relazioni tra le due sponde dello Stretto né altererà l’aspirazione condivisa dei compatrioti su entrambe le sponde dello stretto di stringere legami più stretti». Le dichiarazioni di Pechino hanno provocato l’immediata reazione di Taipei. «Il ministero degli Affari esteri richiama le autorità di Pechino a rispettare i risultati del voto, ad affrontare la realtà e a rinunciare alla repressione di Taiwan», si legge in una nota del ministero.

Nel testo si sottolinea che sono state ricevute le congratulazioni da parte di «più di 50 paesi di cui 12 alleati diplomatici». Tra questi anche quelli di Francia e Germania. Silenzio ancora da parte della premier Giorgia Meloni e dal ministro degli Esteri Antonio Tajani che non si sono espressi pubblicamente sulla vittoria di Lai. Un atteggiamento prudente da parte del governo italiano nei confronti della Cina, dopo l’uscita del paese da La via della Seta avvenuta lo scorso dicembre.

Xi ha un problema

Il Partito comunista cinese ha archiviato la pratica del voto con l’aiuto della censura, che ha impedito a 1,4 miliardi di cinesi di seguire sui social l’esercizio della democrazia rappresentativa da parte di 19,5 milioni “fratelli di sangue” (così la propaganda definisce da sempre i taiwanesi).

E il ticket Lai-Hsiao ha subìto un’emorragia di voti rispetto a quello Tsai-Lai del 2020: 5.586.019 preferenze (il 40,05 per cento) contro gli 8.170.231 di voti (il 57,13 per cento) di quattro anni fa (il confronto con il successo del 2016 risulterebbe ancora più impietoso).

Il Dpp ha perso undici seggi nello Yuan legislativo e Lai dovrà probabilmente inventarsi un governo di unità, invocato ieri dal suo scialbo avversario Hou Yu-ih (Kmt), che ha raccolto il 33,49 per cento delle preferenze. Con un parlamento in cui il Dpp avrà 51 seggi contro i 52 del Kmt e gli otto del Partito popolare, Lai sarà un capo del non-stato più debole della sua predecessora Tsai Ing-wen. Il leader degli imprenditori taiwanesi nella Cina continentale, Lee Cheng-hung, ha battuto subito cassa, chiedendogli di modificare quelle che ha definito “politiche sbagliate e inappropriate”, cioè di incentivare gli scambi tra le due sponde dello Stretto invece del “de-risking” da Pechino promosso negli ultimi anni.

Il ruolo di Washington

Ma ciò non toglie che 12 anni consecutivi di presidenza al Dpp rappresentano per Xi Jinping un problema politico, perché i taiwanesi hanno premiato ancora una volta (seppur con molto meno entusiasmo) la linea favorevole a un progressivo distacco dalla Cina continentale, il contrario di ciò che continua a predicare il presidente della Repubblica popolare cinese.

Ciò renderà nei prossimi mesi/anni Xi Jinping e compagni particolarmente suscettibili nei confronti degli Stati Uniti, la potenza egemone nel pacifico assurta con Trump e Biden sempre più a tutore di Taiwan.

Con Washington Lai avrà tanti canali di comunicazione, in quanto ex vice di Tsai negli ultimi quattro anni e grazie a Hsiao, doppia cittadinanza fino al 2022 (quando ha rinunciato a quella statunitense), un master in scienze politiche alla Columbia University e solidi legami bipartisan a Washington, dove tra il 2020 e il 2023 ha lavorato come rappresentante di Taiwan negli Stati Uniti.

Il primo segnale ufficiale atteso dai leader cinesi è il discorso d’insediamento che Lai pronuncerà il prossimo 20 maggio, che dovrà contenere indicazioni sulla politica verso la Cina, con la quale il dialogo è congelato da otto anni. Ma ancor di più per Pechino conteranno i primi atti del nuovo presidente dimezzato, che dovrà muoversi nel sentiero delimitato da un parlamento che non controllerà e dalle esigenze dell’amministrazione americana.

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