Il presidente cinese ieri ha compiuto una mossa a sorpresa nel tentativo di sbloccare il tesissimo stallo nelle relazioni con gli Stati Uniti, che rischiano di essere compromesse dal decoupling tecnologico promosso da Washington e dallo scontro su Taiwan. In un messaggio di congratulazioni indirizzato al gala annuale del National Committee on U.S.-China Relations, Xi Jinping ha sottolineato che «il mondo oggi non è tranquillo né pacifico» e che «una comunicazione e una cooperazione più stretta tra Cina e Stati Uniti, due grandi paesi, garantirebbe al mondo maggiore stabilità e tranquillità, promuovendo pace e sviluppo».

Xi ha ribadito la disponibilità della Cina ad andare d’accordo con gli Stati Uniti sulla base del «rispetto reciproco, della coesistenza pacifica e della cooperazione win-win dalla quale trarrebbero vantaggio non solo i due paesi ma l’intero mondo». Appena rieletto dal XX congresso del Partito comunista, il segretario generale prova in questo modo a riallacciare il dialogo con Washington, in vista di un possibile incontro con Joe Biden al prossimo vertice del G7 di Bali del 15-16 novembre.

Il futuro di Taiwan

Il governo di Taiwan non ha dubbi: la nuova leadership del Partito comunista (Pcc) spingerà sul pedale della “riunificazione” dell’Isola alla Repubblica popolare cinese (Rpc). A Taipei il ministro della difesa lunedì scorso si è schermito dalle critiche dei nazionalisti, preoccupati per il ritardo nelle forniture belliche e nell’addestramento delle forze armate.

Chiu Kuo-cheng ha tacciato di disfattismo il Kuomintang. «Le truppe taiwanesi sono sempre pronte a combattere e migliorano costantemente le loro capacità», ha assicurato, dopo che il direttore dell’agenzia per la sicurezza nazionale, Chen Ming-tong, aveva avvertito che entro il 2023 Pechino potrebbe costringere Taipei - sotto la minaccia di un intervento militare - a sedersi a un tavolo negoziale per definire lo status di Taiwan.

L’ammodernamento promosso negli ultimi dieci anni da Xi Jinping ha allargato il già enorme divario tra l’Esercito popolare di liberazione (Epl) e la milizia di Taiwan, nonostante il sostegno statunitense, lievitato durante le amministrazioni Trump e Biden. Il mese scorso, ad esempio, il Congresso Usa ha approvato una commessa del valore di oltre 1 miliardo di dollari (soprattutto sistemi radar e missili antinave “Harpoon”, prodotti da MacDonnell Douglas).

Gli Stati Uniti vogliono trasformare Taiwan in un gigantesco deposito di armi, ha titolato il New York Times. E a testimoniare come una guerra nel Pacifico sia molto più che un’eventualità, il 4 settembre scorso l’ambasciatore a Washington, Jose Manuel Romualdez, ha assicurato che le Filippine concederanno agli Stati Uniti l’utilizzo delle basi militari dell’arcipelago nel caso di un conflitto su Taiwan.

Lunedì scorso anche il segretario di stato Usa ha sostenuto che «se gli strumenti pacifici non funzionassero, allora Pechino impiegherebbe mezzi coercitivi, e se nemmeno con quelli ottenesse il suo obiettivo, allora forse utilizzerebbe la forza».

Secondo Blinken, è «questo che sta sconvolgendo lo status quo e creando tensioni tremende», non i ripetuti segnali con i quali l’amministrazione Biden ha lasciato intendere di non sentirsi più vincolata alla “ambiguità strategica” e alla politica “Una Cina” seguite da Washington fin dal 1979, quando (voltando le spalle a Taiwan) riconobbe la Rpc. Blinken ha aggiunto che «se fosse colpita la produzione taiwanese di semiconduttori, ciò provocherebbe una crisi economica globale. «Siamo a un punto di svolta - ha concluso il capo della diplomazia a stelle e strisce -. La tecnologia riorganizzerà in molti modi le nostre economie. Cambierà i nostri eserciti, e la vita delle persone in tutto il pianeta. E quindi rappresenta una fonte di forza nazionale».

Xi come Putin?

Per Pechino gli allarmi lanciati da Taipei e Washington fanno parte di uno «piano contro la Cina». Il portavoce dell’ufficio per gli affari di Taiwan del governo cinese, Ma Xiaoguang, ha dichiarato che il Partito progressista democratico (Dpp) «sta cercando scuse per continuare assieme a forze esterne le sue provocazioni separatiste, o anche per favorire il separatismo attraverso le forze armate, e fa affidamento su forze esterne per costringere e ingannare i taiwanesi» e prolungare la sua permanenza al governo.

Nel suo discorso di apertura del XX congresso del Pcc Xi Jinping ha ribadito la preferenza per una “riunificazione pacifica”, ma ha aggiunto che «non prometteremo mai di rinunciare all’uso della forza e ci riserviamo la possibilità di prendere tutte le misure necessarie» contro quelle che il segretario generale ha definito «interferenze esterne» e «un numero molto limitato» di sostenitori dell’indipendenza a Taiwan.

La “riunificazione”

In un passaggio del “resoconto del lavoro del XIX comitato centrale” Xi ha definito la “riunificazione” dell’Isola un “requisito” per il suo progetto di “grandioso risveglio della nazione cinese”. L’assise quinquennale ha inoltre deliberato di modificare lo statuto del Pcc (che in Cina conta più della costituzione della Rpc), aggiungendo alla precedente formulazione - che si limitava ad auspicare la “riunificazione” di Taiwan - che Pechino «si oppone fermamente a e combatte l’indipendenza di Taiwan» e che porta avanti per l’Isola il modello “Un paese due sistemi”.

A Taipei hanno prestato particolare attenzione alle nomine nuova nella Commissione militare centrale (Cmc), l’organismo di partito - composto da sette membri e presieduto da Xi - responsabile dell’amministrazione dell’Epl. Il ministro della difesa Chiu è convinto che la nuova composizione della Cmc rifletta un’attitudine più aggressiva della leadership di Pechino nei confronti dell’Isola.

In teoria, Pechino non trarrebbe alcun vantaggio scatenando una crisi che potrebbe avere sulla sua economia effetti simili a quelli provocati sulla Russia dall’invasione dell’Ucraina ordinata da Putin, isolandola dall’occidente. Ma, secondo il professor Steve Tsang, i pericoli di uno scontro sono aumentati assieme all’accentramento di potere nelle mani di Xi. Per il direttore del China Institute della School of Oriental and African Studies di Londra «il rischio che un solo uomo (Xi Jinping, ndr) commetta un errore di valutazione e incominci una guerra è sempre maggiore che lo facciano un gruppo di uomini».

I nuovi vertici dell’Epl

Dei sette nuovi componenti della Cmc fanno parte - oltre al suo presidente, Xi Jinping, e al suo vice, il settantaduenne generale Zhang Youxia - cinque membri tra i 58 e i 67 anni, più giovani della precedente Cmc. Chiu ha sottolineato che due di loro hanno alle spalle esperienze di combattimento (nel conflitto tra la Cina e il Vietnam del 1979), conoscono bene Taiwan e hanno lavorato nel Fujian, la frontiera più avanzata per la “riunificazione”.

Il sessantacinquenne He Weidong, originario proprio della provincia cinese affacciata sullo Stretto di Taiwan, dal 2019 è stato a capo del comando orientale dell’Epl sotto la cui responsabilità ricadono le operazioni su Taiwan. He è considerato l’architetto delle esercitazioni militari con le quali nell’agosto scorso la marina, l’aviazione e l’artiglieria cinese hanno circondato da sei lati l’Isola inscenando l’anteprima di un blocco navale.

He, che non era tra i 205 membri del XIX comitato centrale, è stato catapultato da XX congresso direttamente nell’ufficio politico, diventando il numero 16 della nomenklatura del Pcc e il secondo vice presidente della Cmc. Per il suo primo vice presidente, Zhang Youxia, i legami con Taiwan sono invece “familiari”. Il padre, Zhang Zongxun, combatté contro i nazionalisti del Kuomintang durante la guerra civile (1945-1949), al comando di un gruppo di militari nel nord-ovest del quale, Xi Zhongxun, il padre dell’attuale segretario generale, era commissario politico.

Zhang è inoltre l’uomo che ha riorganizzato l’Epl secondo le direttive di Xi, trasformandolo da una struttura di stampo sovietica in un esercito moderno con mezzi e un’organizzazione che ricalcano maggiormente quello statunitense.

Liu Zhenli invece è stato promosso nella Cmc per la sua esperienza di combattimento, avendo partecipato alle scaramucce del 1986-87 tra l’Epl e l’esercito vietnamita sul monte Laoshan, alla frontiera tra i due paesi.

L’allora comandante di compagnia Liu sconfisse i vietnamiti al termine di una trentina di attacchi. In seguito è stato a capo della polizia del popolo armata, i paramilitari della Rpc. Le decorazioni che si è guadagnato al fronte e il servizio nell’antiterrorismo ne hanno fatto il funzionario ideale per fronteggiare una fase che per il Pcc si annuncia molto complessa, sia per la possibile esplosione di una quarta crisi di Taiwan, sia per eventuali emergenze interne.

Nella struttura apicale che dirige le forze armate è entrato anche Li Shangfu, sanzionato dal dipartimento di stato Usa nel 2018 perché, in qualità di direttore del dipartimento per lo sviluppo dell’equipaggiamento dell’Epl, sarebbe stato coinvolto in “transazioni significative” con la russa Rosoboronexport, ovvero nell’acquisto di dieci caccia Su-35 e di equipaggiamento per il sistema di missili terra-aria S-400.

È probabile che, tra gli incarichi attribuiti ai componenti della Cmc, a Li spetti quello di ministro della difesa. E ciò renderebbe, per ovvi motivi, ancora più difficile la comunicazione tra l’esercito cinese e quello statunitense.

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