Allo stesso tempo simili e diverse: questa la contraddizione che unisce e divide allo stesso tempo Italia e Francia. Entrambe sono il secondo partner commerciale dell’altro (nei due casi al primo posto c’è l'immancabile Germania); i Pil sono paragonabili, con un vantaggio per la Francia, ma la bilancia commerciale è favorevole all'Italia.

La superficie della Francia è doppia rispetto a quella dell'Italia ma i due paesi hanno una popolazione abbastanza simile (66 milioni contro 60 milioni). La storia delle relazioni franco-italiane è caratterizzata da un susseguirsi di crisi e riavvicinamenti. Vediamone alcuni: il terrorismo rosso degli anni ‘70 e ‘80 e la dottrina Mitterrand (con il pungolo velenoso del “dossier Battisti” durato a lungo); la vicenda di Ustica in cui l’aeronautica francese è rimasta riluttante; la tendenza francese a bloccare gli investitori italiani mentre è meno vero il contrario; le divergenze sulla laicità (il più delle volte dovute a fraintendimenti); l’accusa francese all’Italia di essere troppo “filoamericana”; il tentativo di Giscard d’Estaing di escludere l'Italia dal G5 (poi diventato G7) e i cattivi rapporti tra Jacques Chirac e Lamberto Dini; la preferenza italiana per la lingua inglese all'interno dell'UE; più recentemente la disputa sull'immigrazione e la guerra in Libia.

Armonia

D’altra parte, non vanno dimenticati i momenti di armonia come i rapporti tra De Gasperi e Schumann e la prima fase dell'europeismo; i periodi in cui Jacque Delors e poi Romano Prodi sono stati presidenti della Commissione europea e gli accordi raggiunti in momenti cruciali (dall'Atto unico europeo alla fase che ha portato all'Euro); il persistente interesse italiano per la “forma Stato” francese e le sue istituzioni; l’attenzione storica della sinistra francese per quella italiana (dal “compromesso storico” all'eurocomunismo) e così via.

L’economia

Uno dei settori in cui tale paradossale “vicinanza-distanza" si esprime con maggior forza è certamente l'economia, dove joint-ventures di successo si mescolano ad una dannosa quanto inutile concorrenza.

Alcune acquisizioni sono state disapprovate in Italia, come quelle del gruppo francese del lusso Lvmh; Edf che ha acquisito Edison; Lactalis che ha “rubato” una Parmalat ancora infragilita dagli scandali. Le operazioni in Tim o in Generali sono viste con sospetto. Non si dimentica che il gruppo Suez (ora Engie) silurò il tentativo di De Benedetti di acquistare la Société Générale de Belgique.

Note le polemiche francesi sul tentativo di Fincantieri di acquisire i cantieri Stx o i vecchi rancori a causa della preferenza italiana  per Lookheed rispetto all'Airbus M400.

D’altra parte ci sono operazioni ben accettate come St-Microelectronics; Campari e Lavazza; Atr e la cooperazione nel settore spaziale; la fusione Exilor-Luxottica, Paribas-Bnl e Stellantis.

La cultura e la politica

Silvio Berlusconi e Nicolas Sarkozy (Foto Mauro Scrobogna/LaPresse 26-04-2011)

Nel settore culturale le affinità rimangono forti come dimostra l'aumento del numero di studenti che fanno la spola tra i due paesi. Nel cinema, nel teatro e nelle arti in generale le collaborazioni sono numerose, anche se non raggiungono la qualità di una volta. Il settore in cui il rapporto franco-italiano soffre di più oggi è senza dubbio quello della politica, dove i protagonisti si conoscono meno che in passato.

Ai tempi di De Gaulle era possibile una relazione stabile tra i leader della Democrazia Cristiana e i loro partner francesi gollisti o centristi, malgrado le divergenze sulla costruzione europea. Il rapporto Mitterrand-Craxi svolse un ruolo importante nella costruzione europea, in cui si distinse anche lo spagnolo Gonzales.

Con l’avvento della Seconda Repubblica in Italia e la nascita di Forza Italia, le relazioni cambiarono completamente. Silvio Berlusconi era un francofilo che aveva anche lavorato in Francia con un’innata simpatia per essa.

Tuttavia i suoi primi tentativi di approccio provocarono reazioni negative che inasprirono il clima, come dimostrato dalle vicende di La Cinq. In Francia si creò un grande equivoco destinato a durare: quello di un Berlusconi anglofilo e antifrancese.

Non fu mai possibile stabilire un legame costruttivo tra i politici francesi e i leader del centro-destra italiano. Le relazioni presero allora una piega negativa: Berlusconi ha dominato la scena italiana per vent'anni ma neppure la destra francese ne apprezzò le iniziative internazionali, come la sua vicinanza a George Bush jr. durante la Guerra del Golfo. Ci furono rapporti freddi anche con Sarkozy, di cui restò famoso il sorrisetto alla Merkel.

È in questo contesto che il leader italiano riuscì ad avvicinarsi piuttosto al progressista Tony Blair. Le vittorie di Prodi nel 1996 e nel 2006 non riuscirono a controbilanciare del tutto tale tendenza: molto popolare in Francia, Prodi mantenne ottimi rapporti con Chirac, come si vide in occasione della crisi libanese del 2006, ma Parigi continuò a privilegiare solo l’asse franco-tedesco.

Alti e bassi

Luigi Di Maio e Allessandro Di Battista con i "gilet gialli" (foto pubblicata da Vincenzo Santangelo)

I rapporti si sono riscaldati con il governo Monti e poi con il premier Enrico Letta, considerato molto vicino. Ma già con Matteo Renzi e Paolo Gentiloni emerse la frattura sulle migrazioni e il mancato accordo sulla riforma dello Stability and Fiscal Compact.

Con il governo "giallo-verde” c’è stata la fase peggiore nei rapporti tra i due Stati: le visite dei Cinque Stelle ai gilet gialli e gli scontri quotidiani tra Matteo Salvini e Emmanuel Macron sui migranti, provocarono una tensione inedita fino al richiamo dell'ambasciatore francese (febbraio 2019).

Restano ancora aperte le polemiche sui confini marittimi al largo della Liguria e della Corsica e su quelli terrestri del Monte Bianco. Le dichiarazioni del ministro Gerald Darmanin, che hanno causato la cancellazione della visita di Antonio Tajani a Parigi, continuano nello stesso solco.

La relazione non è facile nemmeno a destra, come si evince dalle dichiarazioni di presa di distanza di Marine Le Pen da Giorgia Meloni.

Un terreno comune

Nonostante tali contraddizioni, esiste sicuramente un terreno comune tra Francia e Italia: l'idea di un’Europa meno "frugale" e capace di guardare avanti a investimenti per la crescita. Le crisi in Libia e nel Sahel rivelano l’urgente necessità di armonizzare le politiche estere nei confronti dell’Africa meridionale, della Tunisia, del Libano e del Mediterraneo.

L’Africa di oggi è cambiata molto e la politica europea nei suoi confronti deve mutare di pari passo. Francia e Italia hanno l'esperienza necessaria -diversa ma comune- per affrontare tale sfida: Parigi deve superare la vecchia Françafrique (che le sta causando parecchi grattacapi) mentre Roma deve comprendere che le sue frontiere si sono spostate molto più a sud e che ha oggi una responsabilità politica in quelle aree. Entrambe hanno necessità di superare la sola ossessione migratoria, che tra l’altro le sta dividendo.

Infine esiste un  tema strategico accentuato dalla guerra in Ucraina. Cosa ne sarà di un’Europa condizionata da un conflitto durevole che la spinge a coincidere con l’alleanza atlantica?

Ora che il motore franco-tedesco è in panne, si tratta di un quesito al quale Roma e Parigi devono rispondere in maniera congiunta, per non farsi assorbire da una visione unilaterale di Europa. Malgrado le contese va fatto uno sforzo di reciproca comprensione proprio in un momento in cui c’è urgente necessità di un approccio davvero europeo, non inghiottito dal conflitto. Una cosa è certa: la maggior libertà di manovra geopolitica non può essere gestita da soli, sarebbe una pia illusione sia per l’Italia che per la Francia. 

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