Già dal nome, suona decisamente orwelliana: «Legge per proteggere gli americani dalle applicazioni controllate da avversari stranieri». È su questa norma, votata a stragrande maggioranza dalla Camera, che a Washington i falchi anti Cina hanno scommesso per mettere finalmente al bando TikTok. Dividendo però gli Stati Uniti – dove l’app made in China è usata da 170 milioni di utenti –, a partire dai pretendenti alla Casa bianca.

Il presidente uscente, che per la sua campagna elettorale ha aperto un profilo TikTok, appoggia il controverso provvedimento. «Se il Congresso lo varerà, io lo firmerò», ha assicurato Joe Biden.

Donald Trump – che nel 2020 aveva provato invano ad affondare TikTok a colpi di ordini esecutivi – ha invece cambiato strategia. Nel suo mirino ora c’è Facebook, che gli sospese l’account per due anni per il post secondo cui le elezioni del 2020 gli erano state “rubate”. «Se ci liberiamo di TikTok, Facebook e Zuckerberg raddoppieranno i loro affari», ha sostenuto Trump su Truth Social. «Loro sono i veri nemici del popolo», ha aggiunto attingendo al lessico staliniano-maoista nel tentativo di convincere i repubblicani, finora schierati compatti contro TikTok.

Ma con la sua giravolta The Donald si è fatto anche interprete degli umori di chi – dagli influencer ai brand che pubblicizzano –  negli Usa fa soldi grazie all’app incriminata. ByteDance, la compagnia pechinese ideatrice e proprietaria di TikTok, per cercare di fermare il “Protecting Americans from Foreign Adversary Controlled Applications Act” ha mobilitato l’esercito di celebrità da smartphone. Negli ultimi giorni hanno fatto irruzione nei talk show televisivi per difendere il loro lavoro, mentre le segreterie dei parlamentari venivano inondate da appelli dei millennial per salvare TikTok. Si è mossa perfino l’American Civil Liberty Union, rilevando un profilo di incostituzionalità: impedendo la diffusione dei video degli utenti sulla piattaforma cinese, verrebbe violato il primo emendamento che tutela la libertà di parola.

«I comunisti ci spiano»

Ma secondo gli ultrà anti-Cina, ByteDance è controllata dal Partito comunista cinese che sarebbe capace, attraverso TikTok, di spiare cittadini, politici e militari americani. Uno dei principali sponsor della legge, il deputato democratico Raja Krishnamoorthi, puntualizza che quello proposto non è un bando, ma una “vendita forzata”, come quella di Grindr, passata nel 2020 da Beijing Kunlun a un’azienda Usa (in cambio di 608 milioni di dollari) dopo che la Commissione sugli investimenti stranieri negli Stati Uniti (Cfius) aveva segnalato la app di incontri gay come una minaccia per la sicurezza nazionale. In effetti il testo promosso da Krishnamoorthi e dal repubblicano Mike Gallagher concede a ByteDance 165 giorni per cedere TikTok, che, sottratto dal controllo cinese, potrebbe continuare a essere scaricato dagli app store ed evitare la rimozione dei suoi contenuti dai server. Trasferimento improbabile, anche perché la Cina ha recentemente vietato la vendita all’estero degli algoritmi che alimentano le sue app.

Negli Stati Uniti nel 2023 TikTok ha incassato quasi 9 miliardi di dollari, in crescita del 46,8 per cento rispetto all’anno precedente. Tutti i suoi principali indicatori sono in costante, vertiginoso aumento. Per quanto riguardo il tempo speso dagli utenti sulla piattaforma, l’anno scorso è arrivata a tallonare Facebook, con 4,4 miliardi di minuti contro 5,2 miliardi. Cancellare ex lege TikTok negli Usa vorrebbe dire assestare un duro colpo a ByteDance, fondata nel 2012 da Zhang Yiming e diventata dieci anni dopo la startup di maggior valore del mondo. In definitiva, la crociata contro TikTok è un tassello della competizione e del decoupling tecnologico in corso tra Pechino e Washington. Un confronto che, se procederà al ritmo serrato degli ultimi tempi, nel volgere di pochi anni potrebbe lasciare in eredità alla Cina e all’Occidente due ecosistemi informatici separati: niente più app cinesi negli Usa, in Cina solo microchip avanzati di produzione locale, il sistema operativo Android rimpiazzato con Harmony, e così via.

Lo scoglio Senato

Qualche giorno fa il ministro degli esteri, Wang Yi, ha denunciato che «gli Stati Uniti, continuando ad allungare la loro lista di sanzioni unilaterali, hanno raggiunto livelli sconcertanti di insondabile assurdità». Eppure la nuova caccia alle streghe che vede pericoli per la “sicurezza nazionale” perfino nei social prediletti dai giovanissimi dilaga a Pechino come a Washington. Infatti il governo cinese ha oscurato da anni i maggiori social stranieri, per lo stesso intreccio di motivi, economici e di sicurezza nazionale, per cui il Congresso vuole espellere TikTok. Come che sia, la “Legge per proteggere gli americani dalle applicazioni controllate da avversari stranieri” rappresenta il banco di prova per Gallagher, il suo numero due Krishnamoorthi e il loro Comitato speciale della Camera sulla competizione strategica tra gli Stati Uniti e il Partito comunista cinese, istituito il 10 gennaio dell’anno scorso e definito da Foreign Policy “il cuore pulsante dell’agenda politica del Congresso sulla Cina”.

Finora il quarantenne ex funzionario dell’intelligence dei marine con un dottorato in Relazioni internazionali alla Georgetown University e l’ex magistrato laureato ad Harvard nato a New Delhi nel 1973 sono riusciti a produrre un rapporto sulla necessità di aumentare le forniture militari a Taiwan, un’inchiesta sui brand della moda che sfruttano lavoro forzato in Cina, norme per ridurre la tassazione agli imprenditori che investono a Taiwan, e a portare in tv in prima serata testimonianze più o meno autorevoli a sostegno di una separazione tecnologica tra Usa e Cina. Poi, la settimana scorsa, la Commissione per l’energia e il commercio della Camera ha dato il via libera alla loro legge anti-TikTok, con 50 “sì” e nessun “no”. L’ultimo ostacolo per vincere la battaglia contro TikTok sembra essere il più riflessivo Senato.

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