Domenica, l’esercito dell’Azerbaijan ha lanciato un’offensiva su vasta scala contro la regione del Nagorno-Karabakh, un territorio conteso con l’Armenia da oltre tre decenni. In risposta all’attacco, il governo armeno ha proclamato la legge marziale e ha annunciato la mobilitazione completa dell’esercito. Si tratta del più grave conflitto da anni nella regione, un’area attraversata da importanti oleodotti e gasdotti, al confine tra Russia, Turchia e Iran.

Una regione instabile

Formalmente, il Nagorno-Karabakh appartiene all’Azerbaijan, ma dalla metà degli anni Novanta è controllato dai separatisti appoggiati dal governo armeno. «Finché il Nagorno-Karabakh è tranquillo la regione è in equilibrio, ma quando la situazione si destabilizza entrano in gioco le grandi potenze regionali, come Russia e Turchia, che vedono l’area come il loro cortile di casa», dice Francesco Strazzari, professore di relazione internazionali alla Scuola Sant’Anna di Pisa e da anni studioso dei conflitti della regione.

Il ministero degli Esteri della Russia, quello della Francia e l’Alto rappresentante dell’Unione Europea Josep Borrell hanno chiesto a entrambi i paesi di sospendere le ostilità. Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha invece annunciato il suo «supporto incondizionato» all’Azerbaijan, accusando l’Armenia di essere il principale ostacolo alla pace nella regione del Caucaso, una dichiarazione che sembra indicare il suo pieno supporto all’offensiva azera.

Il governo armeno e quello dei separatisti del Nagorno-Karabakh dicono che l’offensiva è iniziata in modo non provocato alle 8 di domenica mattina, le 6 in Italia, quando le forze armate azere ha lanciato una serie di attacchi aerei e di artiglieria, colpendo anche la capitale del territorio conteso, Stepanakert. Il governo azero sostiene di aver attaccato in risposta al bombardamento di alcuni villaggi.

Olesya Vartanyan, analista del Crisis Group, ha scritto che la preparazione per l’offensiva iniziata domenica era nota da settimane, ma che i principali attori della regione non hanno fatto nulla per evitare il conflitto. Se non ci sarà un intervento della comunità internazionale, ha proseguito Vartanyan, l’attuale conflitto potrebbe diventare il più grave degli ultimi due decenni.

Per tutta la domenica, gli scontri sono proseguiti lungo il confine tra la regione contesa e l’Azerbaijan. L’offensiva ha coinvolto l’uso di artiglieria, attacchi aerei, truppe di terra e mezzi corazzati. Non si conosce ancora il numero esatto delle vittime, ma sono probabilmente nell’ordine delle decine, compresi numerosi civili coinvolti nei bombardamenti.

Un lungo conflitto etnico

La regione del Nagorno-Karabakh è al centro di una disputa territoriale tra i due paesi da più di tre decenni. Il conflitto è iniziato alla fine degli anni Ottanta, quando i separatisti armeni chiesero che il Karabakh venisse trasferito dalla Repubblica sovietica dell’Azerbaijan a quella dell’Armenia. All’epoca entrambi i paesi facevano parte dell’Unione Sovietica.

Lo scontro è proseguito anche dopo la dichiarazione di indipendenza dei due paesi, nel 1991. Tre anni dopo, le forze armene e quelle dei separatisti controllavano la quasi totalità del territorio conteso. Durante il conflitto, entrambi i paesi sono stati accusati di aver compiuto massacri di civili e operazioni di pulizia etnica. «La guerra fece un milione di sfollati e decine di migliaia di morti», dice Strazzari, che ha visitato il paese nel 1998. «Quello che è rimasto dopo il conflitto sono una serie di comunità-caserma. Per anni il Nagorno-Karabakh ha avuto l’esercito più potente caucaso, nonostante avesse appena 150mila abitanti».

Idrocarburi e crisi economica

Dal cessate il fuoco degli anni Novanta, la regione ha visto sporadici, ma continui incidenti e scontri di frontiera. Negli ultimi anni, i rapporti di forza si sono invertiti. L’Azerbaijan ha il triplo della popolazione armena, un Pil otto volte più grande ed è ricco di gas e petrolio. Si è dotato esercito più numeroso e tecnologicamente molto più avanzato di quello armeno. Il successo degli azeri, però, non è scontato. Il terreno montagnoso favorisce la difesa e le forze armate armene e quelle dei separatisti sono sempre riuscite a respingere gli attacchi fino ad oggi.

Tra le ragioni che hanno spinto il governo azero all’offensiva c’è la crisi economica causata dal calo nel prezzo delle materie prime energetiche. Per il presidente azero Ilham Aliyev, al potere dal 2003, il conflitto rappresenta un modo per rafforzare la sua popolarità e concentrare l’attenzione dell’opinione pubblica su un tema diverso dalla crisi economica che ha colpito il paese.

Ma il conflitto potrebbe degenerare. Se la situazione diventasse disperata, gli armeni hanno minacciato in passato di essere pronti a colpire i gasdotti e oleodotti azeri che corrono a poca distanza dal confine e che trasportano gas e petrolio fino in Europa. Se si arrivasse a quel punto, i grandi attori della regione, Russia, Turchia e Iran, non potrebbero fare a meno di essere coinvolti.







 

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