Il numero di telefono arriva da una chat Telegram, ma sembra un contatto sicuro. L’uomo che risponde ha l’accento egiziano e assicura che il nome in lista ci sarà. Aspetta solo l’ultimo pagamento. La comunicazione avviene tra un “agente di viaggio” e Rashid, un ragazzo palestinese che ha deciso di scappare via da Gaza. «Mi devo fidare per forza, non ho altra scelta», confessa.

«Qui tutti stanno cercando di andar via, non credo che possano rimangiarsi la parola». Insieme alla sua famiglia, sua moglie e tre bambini, Rashid ha lasciato il nord di Gaza dopo i primi massicci bombardamenti e poi si è spostato sempre più verso sud man mano che i raid si intensificavano. Da pochi giorni ha abbandonato il campo di Al Nusairat e si è trasferito a Rafah.

Gli esperti della fuga

È proprio qui, in questi 3 chilometri dal confine con l’Egitto, che stanno facendo i loro affari i nuovi “esperti della fuga”. Dei “businessman” che, in cambio di migliaia di dollari, stanno vendendo permessi per attraversare il valico di Rafah e così fuggire dall’inferno della Striscia. Come in ogni guerra e in ogni altra situazione di crisi, anche qui i trafficanti stanno lucrando sulla vita delle persone.

«Il costo varia dai 5mila ai 7mila dollari a persona», racconta Rana Al Magawi, direttrice di un centro per l’infanzia, «ma c’è chi ha pagato anche di più». Durante i primi giorni della guerra, dopo il 7 ottobre, c’era l’agenzia Hala Consulting and Tourism a fornire il servizio di “esfiltrazione” dalla Striscia.

E sul sito c’era scritto che «la cifra da pagare comprende il costo del visto d’ingresso, le spese di trasporto e tutti i servizi che garantiscono il massimo comfort e sicurezza al viaggiatore». Qualche mese fa, però, il sito dell’agenzia Hala ha cancellato ogni riferimento al viaggio attraverso il valico, e anche sui social la Hala è stata ribattezzata con un altro nome. Intanto, però, a Rafah sono comparsi decine di “agenti”, pronti a garantire il permesso di passaggio al Gate di Rafah.

«Alcuni amici hanno pagato 100mila dollari per scappare, ed erano solamente in 5», racconta Rana Al Magawi, «ma hanno trovato un “passatore” che diceva di lavorare per un’agenzia di viaggio online. Non li sento da molti giorni».

A Gaza la situazione è diventata impossibile, non c’è più alcun luogo sicuro. «Non c’è più neanche un momento della giornata in cui sei certo che non potrai morire», dice la giornalista Aseel Mousa. «Per questo sempre più persone si stanno affidando ai trafficanti per andare via». I palestinesi sono sfiniti, sono alla fame e sono arrabbiati, perché anche quel poco che è rimasto costa caro come il fuoco. Un cartone di uova in Cisgiordania costa 20 shekel israeliani, mentre a Gaza costa 100 shekel, l’equivalente di 26 euro.

«La maggioranza è arrabbiata anche con Hamas, non crede che ci permetterà mai di vivere in pace», aggiunge Aseel, abbassando un po’ il tono di voce. «Adesso ci sono i negoziati in corso tra Hamas e Al Fatah, ma non ci fidiamo più di nessuno». Lo strazio è aumentato soprattutto dopo il raid israeliano sulla folla che aspettava di ricevere aiuti umanitari. «È morta la sorella di un’amica», racconta ancora Aseel, «stava aspettando un pacco di farina e all’improvviso buio. Anche se ufficialmente ci sarà la tregua per il Ramadan, sappiamo che pioveranno ancora bombe». Ora la frenesia di scappare via da Gaza ha contagiato un po’ tutti.

Raccolta fondi

Per raccogliere i soldi da dare ai trafficanti i palestinesi si sono affidati al metodo del crowdfunding. Su alcune delle piattaforme più famose, infatti, ci sono decine di richieste di aiuto. “Help my family to evacuate Gaza”, è l’annuncio sotto la foto di una famiglia. “Help Hammoud and his family to running away from Gaza”, si legge sotto la foto di un bambino di quattro anni. “From crisis to Hope: help to get my family to safety”, è il titolo di un annuncio in cui in primo piano c’è la foto di una casa distrutta.

Il contributo minimo è di 5 euro, ma c’è chi ha donato anche mille euro, in anonimato o firmando nome e cognome. Gli annunci aumentano di ora in ora, per centinaia di pagine del sito. «Facciamo appello ai palestinesi nel mondo», spiega ancora Rana Al Magawi. «A parenti, amici, conoscenti che vivono in altri paesi. Ma anche a tutti gli altri che vogliono aiutarci, perché qui per noi c’è solo la morte». I costi del viaggio, però, stanno lievitando, perché i trafficanti chiedono sempre più soldi man mano che la tensione a Gaza aumenta. E si stanno diversificando anche le offerte.

Da qualche giorno, infatti, starebbero operando sul confine egiziano anche dei libici, probabilmente attratti dall’odore del business facile. «Li abbiamo riconosciuti dall’accento», spiega Hani, un collaboratore della Red Crescent. Guidava l’ambulanza prima di rimanere ferito alle gambe.

«E ce lo hanno confermato anche alcuni intermediari che collaborano da anni con le autorità egiziane al valico di Rafah, tra loro anche Abu Naqira, che da tempo ha contatti anche con l’intelligence egiziana».

I numeri di questi trafficanti girano tra le chat Telegram o nei gruppi chiusi su Facebook. Alla risposta, immediatamente vengono proposti “pacchetti famiglia” con sconti per i più piccoli: per i bambini sotto l’anno di età il permesso costa 700 dollari. Anche i neonati pagano, dicono, perché, ora come ora, ogni nome sulla lista di chi può passare al Gate ha un costo.

«I trafficanti ti fanno attraversare il valico e poi ti lasciano appena entrati in territorio egiziano», racconta Rana, «ma so che dall’altro lato ci sono taxi e navette che con altri 2mila dollari ti portano dalla regione del Sinai fino alla città più vicina. Se paghi tanto, anche fino al Cairo». Da lì, a quel punto, le persone possono provare a prendere un aereo oppure viaggiare con gli autobus per lasciare l’Egitto. La rete dei trafficanti ha coperto ogni possibile esigenza dei palestinesi in fuga.

Caos ai check-point

Dal canto loro, gli egiziani, che fin dall’inizio della guerra hanno negato l’accesso ai profughi palestinesi sul loro territorio, smentiscono che ci sia questo traffico di persone. Il capo del dipartimento di comunicazione della regione del Sinai, Diaa Rashwan, ha detto che le «accuse sono infondate».

Le autorità del valico, però, ammettono che il caos quotidiano al check-point è aumentato. «Ci sono dei litigi furibondi tra coloro che stanno aspettando di poter passare da settimane perché ne hanno diritto e quelli che sono stati inseriti negli elenchi all’ultimo momento», spiega Ibahim al Kasher, un giornalista palestinese con passaporto egiziano che lavora da anni proprio nella zona tra i due paesi. «Nessuno ammetterà mai che sta avvenendo questo traffico di permessi cartacei», dice, «ma nessuno nemmeno lo fermerà, perché ci stanno guadagnando un po’ tutti».

Guarda caso, sembra che anche chi ha pagato 5mila dollari a persona, arrivato al check-point, abbia degli strani problemi burocratici che si risolvono in pochi minuti sborsando un’altra tangente. Attualmente, gli unici che avrebbero il diritto di uscire da Gaza sono i cittadini con passaporto internazionale e persone gravemente ferite, ma solo se autorizzate da una ong o una struttura ospedaliera pronta ad accoglierle.

Il lavoro di questi trafficanti è stato denunciato in questi giorni anche dall’Organized Crime and Corruption Reporting Project (Occrp), un’organizzazione giornalistica no profit che sta cercando di mettere in guardia i palestinesi. «Attenzione a chi chiede soldi», dicono, «perché molti personaggi equivoci prendono ingenti somme e poi spariscono, senza assicurare il passaggio e la fuga». Intanto Rashid sta raccogliendo gli ultimi soldi. Al più tardi dopo domani pagherà e si metterà in fila al Gate. «Aspetterò tutto il tempo necessario pur di salvare la vita di mio figlio. Pagherò con il sangue».

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