Non è certo sulla perquisizione a Mar-a-Lago in cerca di documenti occultati da Donald Trump o sulle pendenze giudiziarie dell’ex presidente che Joe Biden e i democratici potranno fare affidamento per guadagnare consensi e arginare l’ondata repubblicana alle elezioni di midterm di novembre.

Dall’operazione degli agenti federali i repubblicani hanno subito ricavato un potente eccitante elettorale per il popolo della destra ed elementi coagulanti per un partito sfilacciato in correnti più o meno trumpiane, e non c’è niente di meglio di un classico  complotto dell’Fbi per dare sfogo allo «stile paranoico della politica americana», secondo la definizione classica di Richard Hofstadter.

Una prova del successo della strategia oltranzista conservatrice è nelle varie contese alle primarie in giro per il paese, dove i candidati appoggiati da Trump vincono e quelli scelti dall’establishment tendenzialmente perdono, talvolta in modo umiliante, a cominciare da chi ha votato con i democratici l’impeachment del presidente dopo l’assalto di Capitol Hill. Trump aveva detto che i dieci traditori sarebbero stati in cima alla lista delle purghe trumpiane, e sta mantenendo la promessa.

“I did that!”

La tornata elettorale si deciderà piuttosto alle pompe di benzina e nei supermercati, dove gli americani misurano empiricamente la crescita dell’inflazione.

Nei briefing interni i repubblicani le chiamano già le elezioni “gas and groceries” e Mike Allen di Axios, leggendario specialista di scoop di palazzo, ha messo gli occhi su un memorandum della Casa Bianca che allinea il messaggio elettorale democratico: bisogna presentare i repubblicani come gli amici delle grandi corporation che abbracciano «un’agenda estrema che pesa sulle famiglie».

Su entrambi i fronti Biden ha incassato in questi giorni qualche notizia confortante: il prezzo medio della benzina è sceso dopo mesi sotto ai 4 dollari al gallone, linea rossa psicologica fondamentale per l’elettorato.

Il calo del prezzo del petrolio ha riportato il costo del carburante ai livelli di marzo, dopo il picco toccato a giugno, e nel mese di luglio l’inflazione è salita più lentamente rispetto alle aspettative. Ma sono per il momento brevi boccate d’ossigeno per un presidente in affanno. 

Dall’inizio della crisi energetica scatenata dall’invasione dell’Ucraina sono iniziati a comparire sulle pompe di benzina adesivi con Biden che punta il dito sul display del prezzo e dice “I did that!”, tanto per chiarire qual è uno dei temi portanti su cui il presidente si gioca una popolarità che è finita a livelli più bassi di quelli toccati da Trump nello stesso periodo della presidenza.

Carburante elettorale

Ma quanto conta il prezzo del carburante sull’esito delle elezioni?

È ovviamente difficile isolare l’impatto della benzina sul voto, ma uno studio comparato delle oscillazioni dei prezzi e dei consensi presidenziali fra il 1976 e il 2007 condotto da Laurel Harbridge, Jon Krosnick e Jeffrey Wooldridge stabilisce una correlazione di massima: l’aumento di dieci centesimi della benzina corrisponde a una flessione di 0,6 punti percentuali nella popolarità del presidente in carica. 

L’andamento dei consensi di Biden è sostanzialmente in linea con le stime dei politologi: la differenza fra il prezzo medio della benzina nel giorno dell’insediamento e il picco di giugno suggerirebbe un calo di oltre 11 punti percentuali, mentre l’indice è andato un po’ peggio. Perché oltre alla benzina c’è tutto il resto.

A differenza dell’Europa, negli Stati Uniti il prezzo alla pompa è un indicatore elettorale cruciale e durante le campagne si sono consumati psicodrammi enormi sul tema; eserciti di spin doctor e specialisti delle campagne hanno dovuto cambiare improvvisamente direzione o architettare strategie di contenimento per rispondere all’improvviso cambio di umore del paese dettato dalla crescita della benzina.

Il caso del 2008

Sembra lunare visto dal presente, ma c’è stato un momento durante la campagna del 2008, qualche mese prima del crollo di Lehman Brothers e del sistema finanziario, in cui il 72 per cento degli americani riteneva che il problema economico più grave da affrontare era il costo del carburante, cresciuto del 30 per cento nel giro di sei mesi.

Così i due candidati, Barack Obama e John McCain, che fino a quel momento si erano occupati innanzitutto di politica estera (c’era l’eredità delle guerre di George W. Bush con la quale fare i conti) si sono affrettati a proporre il taglio delle accise federali per tamponare il malcontento. Da lì c’è stata una rapida escalation.

Per rispondere ai repubblicani che ai comizi di McCain invocavano trivellazioni domestiche al grido di drill, baby, drill, i democratici hanno ceduto alla possibilità di nuove esplorazioni petrolifere e Obama, spaventato dalla flessione nei consensi, ha dovuto abbandonare la sua opposizione allo sfruttamento di giacimenti offshore.

Di lì a poco il grande crollo finanziario avrebbe reso tutto questo dibattito sostanzialmente inutile, dato che il crollo del petrolio ha portato la benzina verso prezzi bassissimi, e il presidente ha avuto molto altro a cui pensare. Ma in quel lasso di tempo era la questione che dominava completamente il dibattito nazionale e i calcoli elettorali.

Putin e il midterm

Quando ha bloccato le importazioni di petrolio russo per danneggiare la macchina bellica di Putin, Biden sapeva bene che la decisione avrebbe contribuito ad aumentare il prezzo e ha spiegato che «difendere la libertà avrà un costo».

Da adesso alle elezioni di novembre Biden e i democratici dovranno verificare se e fino a che punto gli americani saranno pronti a pagare il prezzo della libertà, incalzati come sono dall’inflazione domestica e dal costo della benzina, la misura più affidabile degli umori elettorali del presente

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