Il presidente americano parla per un’ora e mezza con il capo del Cremlino mentre Usa e Bielorussia attivano uno scambio di prigionieri. Intanto il nuovo capo del Pentagono anticipa i punti cruciali del negoziato: «Niente Nato per Kiev e non si tornerà mai ai confini del 2014»
Donald Trump e Vladimir Putin hanno parlato al telefono per un’ora e mezza, a coronamento di una settimana iniziata con la rivelazione, da parte di Trump, di contatti fra i leader, e proseguita con uno scambio di prigionieri. La Casa Bianca ha fatto sapere che la Bielorussia ha rilasciato un detenuto americano e altre tre persone, con una decisione «unilaterale». Non è stato questo, però, l’unico argomento fra i leader, che hanno usato toni fiduciosi e positivi per commentare la conversazione, la prima fra i presidente dei due paesi negli ultimi tre anni. Il Cremlino ha detto che Trump è stato anche ufficialmente invitato a Mosca.
«Abbiamo discusso di Ucraina, Medio Oriente, energia, intelligenza artificiale, il potere del dollaro e vari altri argomenti», ha scritto Trump sul social. E ancora: «Abbiamo concordato di lavorare insieme, molto da vicino, inclusa anche la visita reciproca nelle rispettive nazioni. Abbiamo anche concordato che i nostri team inizino a negoziare immediatamente, e cominceremo con il chiamare il presidente dell’Ucraina Zelensky per informarlo della conversazione, cosa che farà ora».
Il portavoce del Cremlino ha detto che «Putin ha sottolineato la necessità di affrontare le cause profonde del conflitto e ha concordato con Trump sul fatto che una soluzione a lungo termine potrebbe essere raggiunta attraverso negoziati pacifici», dando la sua disponibilità ad accogliere funzionari americani in Russia per lavorare su diverse aree di cooperazione.
Non solo: in questa triangolazione Washington-Mosca-Kiev, si è inserita anche una telefonata con il presidente ucraino. «Ho appena parlato con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky», scrive sempre il presidente Usa su Truth. «La conversazione è andata molto bene. Lui, come il presidente Putin, vuole fare la pace». E ancora: «Abbiamo discusso di vari argomenti che hanno a che fare con la guerra ma soprattutto dell’incontro che si terrà venerdì a Monaco, dove il vicepresidente J.D. Vance e il segretario di Stato Marco Rubio guideranno la delegazione. Spero che i risultati di quell’incontro saranno positivi. È tempo di fermare questa ridicola guerra, dove ci sono state morte e distruzione massicce e totalmente inutili».
La posizione del Pentagono
Sullo sfondo di questo apparente idillio in perfetto stile trumpiano, il segretario del Pentagono, Pete Hegseth, ha tracciato in maniera ufficiale e impietosa il perimetro della politica trumpiana sull’Ucraina, argomento su cui il presidente negli anni ha lanciato messaggi talvolta contraddittori e quasi sempre avari di dettagli intelligibili.
Al vertice del gruppo di contatto sull’Ucraina, Hegseth ha detto che «gli Stati Uniti non credono che l’ingresso nella Nato sia un risultato realistico nell’ambito di un negoziato per concludere il conflitto» ed è anche «irrealistico» immaginare che il paese possa tornare ai confini del 2014. Non solo: «Perseguire questo obiettivo illusorio prolungherà soltanto la guerra e causerà più sofferenze».
A Bruxelles, il segretario di Trump non ha detto cose politicamente sorprendenti, ma ha formalmente cancellato alcuni pilastri della politica su Kiev articolata da Joe Biden. L’amministrazione democratica ha sempre difeso l’obiettivo ucraino di riprendere tutti i territori sottratti con la forza dalla Russia, specificando che eventuali concessioni territoriali sarebbero state decise soltanto dagli ucraini, mentre ora la politica ufficiale di Washington si discosta – giudicandolo illusorio e irrealistico – dall’obiettivo del recupero dell’integrità territoriale.
Biden aveva sempre reiterato anche la promessa di includere l’Ucraina nella Nato, cosa ribadita a più riprese dai membri dell’alleanza – anche se era chiaro che il processo sarebbe iniziato dopo la fine del conflitto – ma la chiusura di Hegseth sposta questo scenario in un orizzonte ipotetico e lontano, prossimo all’irrealizzabile.
Anche perché – questo il ragionamento che il segretario ha sbattuto in faccia agli alleati – avere l’Ucraina nella Nato significa attribuire all’alleanza la responsabilità di difenderla, cosa che gli Stati Uniti non hanno alcuna intenzione di fare, specialmente nell’ambito di una partnership che dipende ancora in larghissima parte dai contribuenti americani.
Il piano B
Hegseth ha chiarito che gli europei dovranno «fornire la stragrande parte» dell’assistenza all’Ucraina, visto che il conflitto minaccia innanzitutto loro, mentre ci sono «importanti fattori strategici che impediscono agli Stati Uniti di essere focalizzati innanzitutto sull’Europa».
Lo sguardo di Washington è sulle minacce alla «nostra patria», che vengono innanzitutto dalla Cina. In questa logica, Hegseth ha tiepidamente ringraziato i paesi come Polonia e Svezia, che hanno fatto sforzi per aumentare il budget dedicato alla difesa, ma «molto di più deve essere fatto»: «Non tollereremo più una relazione sbilanciata che incoraggia la dipendenza», ha detto. Da parte sua Zelensky, ha dato una risposta indiretta alla posizione americana in un’intervista con l’Economist, alla vigilia della conferenza sulla sicurezza di Monaco parlando del “piano B” che il paese sta già mettendo in atto visto che la via verso l’alleanza atlantica appare lunga, forse infinita.
«Se l’Ucraina non sarà nella Nato, significa che l’Ucraina costruirà la Nato sul suo territorio. Quindi, abbiamo bisogno di un esercito grande quanto quello che hanno oggi i russi». E per tutto questo, «abbiamo bisogno di armi e soldi. E chiederemo questo agli Stati Uniti», ha detto Zelensky, mentre quasi in contemporanea a Bruxelles il capo del Pentagono gli diceva, in buona sostanza, di andare a chiedere altrove.
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