Trump il vendicatore: incriminato l’ex capo Fbi che indagò sul Russiagate

Il percorso di trasformazione del potere giudiziario in un’arma politica nelle mani di Donald Trump procede senza intoppi. Giovedì sera la traiettoria è arrivata a una tappa importante e largamente annunciata: l’imputazione di James Comey, ex direttore dell’Fbi che ha indagato sui legami di Trump con la Russia, e a cui il presidente aveva giurato vendetta. Comey è formalmente accusato da una procura federale della Virginia di falsa testimonianza e ostruzione di una procedura del Congresso, in relazione a una testimonianza resa il 30 settembre del 2020 davanti alla Commissione giustizia del Senato. In quella sede, sotto giuramento, Comey disse di non aver autorizzato nessuna diffusione di informazioni ai media sulle indagini su Trump. Il suo secondo, Andrew McCabe, disse però che Comey aveva autorizzato il leak, e questa informazione fu inclusa in un rapporto compilato dell’ispettore generale del dipartimento di Giustizia, depositato nel 2018. Lo stesso documento, tuttavia, indicava anche che McCabe aveva mentito su altre circostanze. Trump, Ghislaine Maxwell e tutti i complotti del caso Epstein Appigli legali La presunta menzogna di Comey è diventata l’appiglio legale a cui Trump è rimasto appeso negli anni per incriminarlo, e occorreva arrivare a una decisione entro martedì prossimo, quando sarebbero scattati i termini della prescrizione. Il presidente ha desiderato così ardentemente e sfacciatamente la vendetta che quando il procuratore assegnato al caso ha segnalato che non c’erano sufficienti prove per un’incriminazione lui lo ha fatto rimuovere, mettendo in fretta e furia al suo posto Lindsey Halligan, una legale della Casa Bianca e lealista trumpiana, che ha eseguito gli ordini del capo con zelo e precisione. «Giustizia in America!», ha scritto Trump nel primo dei post su Truth per festeggiare l’incriminazione e denigrare Comey, «uno dei peggiori esseri umani che il paese ha mai visto». L’ex direttore dell’Fbi «è stato cattivo per il nostro paese, per molto tempo, e adesso inizierà a rispondere dei crimini contro la nazione». Era solo l’inizio di una escalation: «Che vi piaccia il Corrotto James Comey oppure no, e non riesco a immaginare come a qualcuno possa piacere, ha mentito! Non è una bugia complessa, è molto semplice, ma è importante. Non riuscirà a giustificarsi, è un poliziotto corrotto (dirty cop, ndr) e lo è sempre stato», ha scritto il presidente, e già che c’era ha anche attaccato il «corrotto» giudice federale che è stato sorteggiato per il caso, Michael Nachmanoff, nominato da Biden nel 2021. Insomma, secondo Trump, «James “poliziotto corrotto” Comey è stato un distruttore di vite, sapeva esattamente quel che diceva ed era una bugia molto seria e piena di conseguenze, per la quale deve pagare un prezzo altissimo!». Lo scontro fra i due va avanti da anni, e qualche mese fa il presidente ha dato mandato al dipartimento della Sicurezza nazionale e al Secret Service di indagare su Comey dopo che aveva pubblicato sui suoi social il numero “8647” composto da conchiglie trovate sulla sabbia. In una certa numerologia degli estremisti in rete, il numero 86 è un ordine di uccidere, mentre 47 si riferisce chiaramente a Trump, il 47esimo presidente degli Stati Uniti. Comey aveva ammesso di aver mandato un messaggio politico contro Trump, ma non sapeva, a suo dire, che si trattasse di un’istigazione alla violenza. «L’uso del potere mirato contro le persone distrugge lo stato di diritto», si era limitato a osservare. Anche prima, la Casa Bianca stava lavorando per farla pagare all’ex direttore dell’Fbi, ma l’episodio del numero incriminato ha rinfocolato i desideri di vendetta del presidente. O con me o contro di me, il virus dell’odio politico contagia tutta la destra La lista Comey ha risposto con un video su Instagram. «Ho grande fiducia nella giustizia federale», ha detto, usando toni di sfida. «Sono innocente, perciò andiamo a processo. E manteniamo la fede», ha detto, invitando tutti a non avere paura, ché la «paura è lo strumento dei tiranni». I reati che sono contestati a Comey non sono facili da provare, e solo di rado gli imputati sono stati condannati per crimini simili. Gli ultimi due sono legati proprio a Trump: il suo ex avvocato Michael Cohen – diventato poi un suo grande accusatore – e l’antico alleato Roger Stone sono stati condannati in circostanze analoghe. La procuratrice generale, Pam Bondi, in una nota ha detto che l’incriminazione «riflette l’impegno del dipartimento di perseguire chi abusa della propria posizione di potere per ingannare il popolo americano». La dichiarazione trabocca di amara ironia, detta da chi sta sistematicamente (e a questo punto apertamente) dando la caccia agli avversari politici con gli strumenti della giustizia, piegati al servizio del potere. La magistratura inquirente che si muove su mandato di Trump ha una lunga lista di obiettivi: il prossimo potrebbe essere John Bolton, ex consigliere per la Sicurezza nazionale diventato critico del presidente. Secondo alcune fonti, potrebbe essere incriminato già entro la fine della settimana.