Tsunami Epstein su Trump. E Vance cavalca l’onda Maga

Mentre il presidente degli Stati Uniti è preso dallo scandalo Epstein, il suo vice J.D.Vance – possibile presidente del futuro – si proietta sul palco Maga, nel pieno delle tensioni interne al movimento. Il suo intervento ad AmericaFest è da equilibrista che cammina sulle divisioni per arrivare fino in fondo alla successione presidenziale: «Non sono qui per fare test di purezza o per fissare linee rosse», ha detto tra le altre cose. Il vero scandalo dei nuovi Epstein files? Tutto quello che non dicono di Trump Una Maga-Guerra La guerra nel mondo Maga è deflagrata portata di telecamere nel corso di tutto il weekend. Vance ha mostrato tentativi di ricomporla senza però prendere posizione (o prendendola senza farlo troppo notare). Dal palco di AmericaFest, l’appuntamento annuale di TurningPoint USA, l’organizzazione fondata da Charlie Kirk, stratega assassinato lo scorso settembre, il vicepresidente Usa ha richiamato all’unità: «Quando dico che combatterò al vostro fianco, intendo tutti, nessuno escluso. Il presidente non ha costruito la più grande coalizione politica sottoponendo i suoi sostenitori a infiniti e controproducenti test di purezza». L’appello unitario è la risposta agli insulti che le diverse anime MAGA si sono scambiate dal palco di Phoenix, dove l’anima più ragionevole incarnata dal commentatore ebreo ortodosso Ben Shapiro ha attaccato i sospetti di antisemitismo ottenendo in cambio insulti dai radicali come l’ex FoxNews Tucker Carlson e Steve Bannon – che ha definito Shapiro «un cancro». Le divisioni politiche sono reali, tra i Maga c’è chi teme una deriva per la quale l’estremismo conservatore diviene anche antisemitismo e accettazione di qualsiasi teoria del complotto si scovi nei meandri dei social media e chi quelle teorie rilancia, solletica l’antisemitismo, alimenta un suprematismo bianco aggressivo. Queste personalità guadagnano milioni con i loro podcast, libri, canali social, conferenze ed essere in competizione, creare una fan base, denigrare i concorrenti serve anche a rimanere sulla cresta dell’onda. Trump mette pressione alla Danimarca, scontro diplomatico su una Groenlandia in bilico Effetto Epstein Sullo sfondo di questo scontro e di questa ricerca di visibilità c’è la vicenda degli Epstein files, per mesi agitati dalla base MAGA che aspettava di scoprire una rete di miliardari pedofili e che è invece divenuta un brutto intralcio per Trump. Una legge votata dal Congresso prevede la pubblicazione integrale, ma il dipartimento di Giustizia sta rallentando la loro diffusione e nelle pagine diffuse non ci sono riferimenti a Trump. Marjorie Taylor Greene, che da alleata di Trump è divenuta sua critica proprio sulla vicenda Epstein, ha scritto su X che «la gente è infuriata e si sta allontanando». Greene è solo una delle molte voci di destra ad aver criticato il rilascio a singhiozzo. I democratici hanno annunciato una risoluzione per far agire legalmente il Senato e ottenere la pubblicazione. Il dipartimento di Giustizia si difende spiegando che la lentezza è dovuta alla necessità di proteggere le vittime. L’unica certezza è che l’amicizia con il miliardario e la passione comune per le ragazze giovani rimane un problema per Trump – e la possibilità che questa chieda la grazia come ha detto suo fratello a Repubblica sarebbe un guaio ulteriore. Il discorso febbrile (e debole) di Trump: i nemici gongolano Tra queste fazioni il vice Vance prova a camminare sul filo. Sostenuto e finanziato dai miliardari della Big Tech che Bannon chiama “broligarchs” (crasi di brother/bro e oligarchi), Vance ha l’obiettivo centrale di tenere assieme il movimento perché punta ad essere il candidato repubblicano alle presidenziali del 2028 e per farlo deve evitare fratture eccessive che lo costringano a prendere posizione. Il vicepresidente aveva appena ricevuto il sostegno per il 2028 da parte di Erika, la vedova di Charlie Kirk che oggi guida l’organizzazione fondata dal marito, e ha usato il discorso per proporsi – senza annunci ufficiali – come la figura capace di tenere assieme la coalizione trumpiana. Vance sa che quel segmento che si appassiona ai toni bruschi e diretti del presidente è affascinato da figure come Bannon e non dalla Silicon Valley. Il vicepresidente sa anche che gli Usa devono agli investimenti sulla AI il Pil positivo e la Borsa che corre. I miliardari sono pure la cassaforte che finanzia le campagne elettorali ed esercitano grande fascino sui giovani maschi il cui voto a destra è una delle novità del 2024. Vance evita dunque di criticare chicchessia e ridimensiona l’idea che nel suo partito si annidi l’antisemitismo. In un’intervista con Unherd ha detto: «L'antisemitismo e tutte le forme di odio etnico non hanno posto nel movimento conservatore. Che si attacchi qualcuno perché è bianco, perché è nero o perché è ebreo, è disgustoso». Parallelamente è naturale che ci sia chi è critico di Israele e di alcune sue scelte, ha aggiunto, difendendo Tucker Carlson dalle accuse di antisemitismo. Per certi aspetti l’idea di Vance sembra quella di non scegliere, proprio come il suo capo: non occorre essere coerenti e ideologicamente puri ma utilizzare gli argomenti giusti a seconda del momento e delle circostanze, si può dare ai Tech Bros la deregulation che vogliono e parallelamente alimentare le frustrazioni della base il cui tenore di vita è peggiorato. Trump e l’avanzata dei tecnomonarchi, quando il tech rovescia la democrazia Che siano le trattative più che complicate per l’Ucraina, i files o i prezzi al consumo, Trump ha bisogno di parlare d’altro e forse è per questo che moltiplica le azioni contro il Venezuela. La Guardia costiera Usa sta dando la caccia a una terza petroliera venezuelana e nella notte ha annunciato l’avvio della costruzione di nuove navi da guerra. Né una cosa né l’altra raffredderanno il clima in casa MAGA.